Paolo Albani
MATTI DI MILANO E BOLOGNA





        Forse ogni città del mondo dovrebbe avere un repertorio dei pazzi, così come in ogni città esistono le guide dei ristoranti e degli alberghi. Lo auspica Roberto Alajmo introducendo il Repertorio dei pazzi d’Italia (il Saggiatore, 2012), una «finta enciclopedia» da lui curata che raccoglie le testimonianze di vari scrittori, fra cui Silvia Ballestra, Marcello Fois, Sandro Veronesi, su un campionario di persone strambe e lunatiche che si aggirano per le città italiane.

   Questi repertori – sostiene Alajmo, autore di due precedenti e fortunati repertori dei pazzi della città di Palermo (Garzanti, 1994, e Mondadori, 2004) – possono servire a migliorare la conoscenza di ogni luogo attraverso le storie e le filosofie dei matti che, paradossalmente, nella società moderna assolvono a una funzione importante: non smarrire la strada del buonsenso.

     Prendendo a modello la struttura borgesiano-perecchiana dei libri di Alajmo, un altro scrittore, Paolo Nori, ha organizzato in varie città, Bologna, Milano, Torino, Roma, ecc., dei seminari di letteratura in cui ha fatto lavorare i partecipanti sul tema della «mattità», con il compito di riportare episodi e comportamenti bizzarri di cui sono protagonisti i cosiddetti matti, gente stravagante e squinternata che in genere non è mai stata in manicomio, ma che ha qualche rotella fuori posto, il che produce spesso effetti umoristici involontari.

      Da questi primi seminari sono nati due godibili libretti, scritti a più mani, intitolati non a caso Repertorio dei matti della città di Bologna e Repertorio dei matti della città di Milano, appena usciti per Marcos y Marcos. I paragrafi che contengono le storie dei matti delle due città si aprono quasi tutti allo stesso modo: «Uno…» o «Ce n’è uno che…» E così apprendiamo che a Bologna c’era uno che ripeteva sempre: «A me non mi devono toccare mani e piedi. Mi possono fare tutto, baciare, abbracciare, farmi le fotografie, regalare i cioccolatini, sputare, mi possono pure sputare, ma non mi devono toccare mani o piedi», e un altro, un tipo grasso con i capelli grigi, che domandava alla gente: «E la Moldavia? Lei sta andando in Moldavia?» A Milano invece c’è uno che sul tram si mette a nitrire come un cavallo per prenotare la fermata e fa il gesto di chi tira a sé le redini per fermare una diligenza e un altro che da decenni scrive dappertutto insulti al diavolo: «Satana Culo», «Satana digiunatore».

      Tanto per rimanere in tema di follia, è uscito da poco un breve e sfolgorante testo di Charles Nodier (1780-1844), scrittore preromantico (Tommaso Landolfi tradusse due suoi racconti), bibliofilo e altro ancora (critico letterario, entomologo, botanico, studioso dei sogni, ecc.), intitolato Bibliografia dei folli. Su qualche libro eccentrico (1835), curato da Jacopo Narros (fra i partecipanti al repertorio dei matti della città di Milano) per Note Azzurre, collana e-book di Quodlibet. Per libro eccentrico Nodier intende «un libro che viene fatto al di là di tutte le norme comuni della composizione e dello stile, e di cui è impossibile o molto difficile indovinare lo scopo, ammesso che sia capitato che l'autore avesse avuto per combinazione uno scopo scrivendolo». La lista dei folli di cui si occupa Nodier è ristretta ai folli ben accertati che non hanno avuto la gloria di fare setta (criterio che più tardi adotterà anche Raymond Queneau), tali sono ad esempio il frate domenicano Francesco Colonna, mirabile autore del visionario Hypnerotomachia Poliphili, illustrato da splendide xilografie e contenente geroglifici egiziani inventati, Guillaume Postel, Simon Morin, Jean Demons, Bluet d'Arbères, Antoine Gaillard, nonché Cyrano de Bergerac di cui Nodier, contro il giudizio sprezzante di Voltaire, riabilita la burlesca audacia. Il testo di Nodier, come osserva Narros, è importante perché inaugura gli studi sui folli letterari che sfoceranno nell’ampio e formidabile lavoro di Queneau, solo di recente edito: Aux confins des ténèbres. Les fous littéraires (Gallimard, 2002).



Domenica - Il Sole 24 Ore, 190, 12 luglio 2015, p. 26.
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