Paolo Albani
SIAMO TUTTI STUPIDI?






       La letteratura sulla stupidità vanta ormai una feconda raccolta di studi, in forma di conferenze (ne tenne una sull’argomento Robert Musil nel 1937), di elogi (da Erasmo da Rotterdam a Jean Paul), di dizionari (famoso quello dei luoghi comuni di Flaubert), di monografie su riviste, di antologie di citazioni, di pamphlet (Carlo M. Cipolla).

    Ora arriva in libreria Stupidi si nasce o si diventa? di Ferrando Mantovani, professore emerito di diritto penale nell’Università di Firenze, edito da ETS di Pisa, un lavoro corposo (369 pagine) con un sottotitolo a dir poco impegnativo: Compendio di stupidologia.

     Sì perché l’intento (fra il serio e il faceto) di Mantovani è quello di gettare le basi di una nuova scienza: la stupidologia, appunto, il cui insegnamento l’autore si auspica di vedere adottato in corsi biennali nelle Facoltà umanistiche. Nel libro si affrontano in uno stile (pseudo)scientifico i problemi di definizione della stupidità e quelli classificatori delle sue varie tipologie, delle sue cause, delle leggi che la governano, fino al problema della difesa contro la stupidità.

   Definibile in negativo, la stupidità è per Mantovani l’assenza di intelligenza, ovvero la capacità di non risolvere i problemi, anzi di crearli, esasperali, complicarli. Da una concezione colpevolistica, maturata in epoca antica, per cui la stupidità è un fatto di natura magica, si è passati a quella razionalistica dell’Illuminismo che vede nella stupidità un’alterazione della mente, concezione simile a quella organico-patologica del positivismo scientifico di fine ‘800, per giungere poi a quella psicoanalitica della scuola freudiana (la stupidità è un disturbo psichico) e infine, verso gli anni 70 del secolo scorso, a quella che intende la stupidità come una forma di devianza, effetto di conflitti sociali. Il quesito «stupidi si nasce o si diventa?» ha avuto risposte divergenti che oscillano fra i sostenitori dell’esistenza di una predisposizione individuale alla stupidità e coloro per i quali la stupidità dipende da fattori storici, ambientali e culturali. Quanto alle leggi della stupidità individuate da Mantovani, esse ci dicono che la stupidità è la «costante» più costante della storia dell’umanità; è distribuita in tutti i gruppi umani, in percentuale tendenzialmente uguale; non muta nel tempo e nello spazio; lo stupido, nato o diventato, resta irrimediabilmente stupido; la stupidità contemporanea è stabilmente attiva; si accresce per stratificazioni, il che significa che l’umanità diventa sempre più perfettamente stupida.

     Se c’è un limite in molte delle teorizzazioni sulla stupidità, compresa quella di Mantovani, è di considerare solo un aspetto – negativo, e perciò stesso banale − della stupidità. Artista silenziosa come la chiamò Musil, la stupidità presenta una gamma imprevedibile di potenzialità creative dissacranti. È la Bestia Trionfans che fa uscire la saggezza dalla sua tana (Oscar Wilde). Insomma esiste una stupidità assennata, non malvagia (gli stupidi non avrebbero mai inventato la polvere da sparo né la bomba atomica), una stupidità capace di trasformarsi in un’arma critica contro la falsa saggezza dei professoroni e di lasciarsi catturare da figure di antieroi quali Don Chisciotte, Bouvard e Pécuchet, il buon soldato Švejk, o da movimenti di avanguardia come Dada. È con questo tipo positivo di stupidità che dobbiamo imparare a fare i conti, in modo intelligente, seguendo il consiglio di Erik Satie: «Se si è stupidi, bisogna esserlo sul serio».


Domenica - Il Sole 24 Ore, 16, 17 gennaio 2016, p. 25.
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