Allora,
mettiamoci a tavola: cosa volete per cena? Dei Manrovesci alla saporita
o delle Bazzecole in camicia? Per secondo uno Spezzatino di peti o le
Marmitte agliate in pisciaforte? E per chiudere in bellezza volete
buttarvi su un bel vassoio di Crocchette all’imbroglio o su un assaggio
di Sputasentenze?
Sono alcuni dei piatti serviti durante una cena nel
palazzo della Regina di Lanternese, paese abitato da una popolazione che
vive a lume di lanterna, elencati nel Gargantua e Pantagruele
(1532) di François Rabelais (i nomi dei piatti provengono dalla versione
stupendamente recata in lingua italiana da Augusto Frassineti).
Quello di Rabelais è uno dei numerosi esempi di
ricette strane, curiose, a volte immaginarie, che s’incontrano in
letteratura. Penso ad esempio a quelle della cucina futurista, come le
cotolette-tennis, cotolette di vitello cotte al burro e tagliate a forma
di un telaio di racchetta: al momento di servirle, vanno spalmate con
un sottile strato di pasta (fatta di mascarpone impastato con noci
tritate), sul quale sono tracciate alcune linee con salsa di pomodoro
mescolata con rhum. Le avrà mai assaggiate quell’istrione di Marinetti?
Oppure ai menu monocromatici della signora Moreau, descritti da Georges
Perec nel capitolo LXXI di La vita istruzioni per l’uso (1978),
menu con cibi ispirati a un solo colore: quello giallo, ad esempio,
prevede tortini di formaggio alla borgognona, morbidelle di luccio in
salsa olandese, spezzatino di quaglia con zafferano, insalata di mais,
sorbetti al limone. Per tacere dei menu patafisici, di quelli magici e
incantati delle favole, di quelli astrusi di alieni e popoli
inesistenti, la gastronomia potenziale dell’OuLiPo-OpLePo (Opificio di
Letteratura Potenziale) con i suoi gustosi esercizi di stile fra i
fornelli, e chi più ne ha più ne metta.
Perché mi soffermo su questa meravigliosa cuccagna
culinaria, da far venire l’acquolina in bocca a un digiunatore di
professione (come quello kafkiano)? Perché è appena uscito un Ricettario dei luoghi immaginari,
scritto e illustrato da Alberto Manguel, uno che d’immaginazione se ne
intende, non foss’altro per aver scritto con Gianni Guadalupi un
bellissimo Dizionario dei luoghi fantastici (1980), molto apprezzato da Italo Calvino.
Nella prefazione Manguel confessa di aver inventato
ricette fin da piccolo e che uno dei suoi scrittori-cuochi preferito è
Balzac (avete presente il girovita dello scrittore francese?), capace in
un solo pasto di mangiarsi voracemente cento ostriche di Ostenda,
dodici cotolette di montone immerse in salsa di peperoni, pomodori e
olive snocciolate, un’anatra con contorno di rape, una coppia di pernici
arrosto, una sogliola cucinata alla normanna, antipasti misti, dolce,
frutta, il tutto annaffiato da vini provenienti dai migliori vigneti.
Illustrazione di Alberto Manguel
Il Ricettario
di Manguel è diviso in quattro sezioni che trattano di antipasti e
zuppe, pietanze e salse, dessert e si chiude con le bevande. Ogni voce
prende lo spunto da un luogo immaginario per inventarsi, fornendo
ingredienti e dosi necessari, le modalità per cucinare la ricetta. Ciò
significa che la ricetta – sarà bene specificarlo subito – non si trova
dentro i libri degli autori citati da Manguel, ovvero non è il frutto
della fantasia di Omero, Plinio il Vecchio, Ariosto, Alexandr Puškin,
Herman Melville, Daniel Defoe, Thomas Bernhard, ecc., ma è inventata
dallo stesso Manguel che trae l’ispirazione culinaria da un luogo
immaginario (isola, regno, castello, bosco, città, ecc.) in cui quegli
stessi autori hanno ambientato i loro racconti.
Mi spiego con un paio di esempi. Se miscelo vodka,
succo di barbabietola (in mancanza di sangue), succo di pomodoro e di
ananas con un cucchiaio di succo di limone, guarnendo i bicchieri
riempiti di cubetti di ghiaccio con fettine di ravanello, la bevanda,
chiamata da Manguel «cocktail di sangue fresco», è una suggestione di
ciò che un noto conte della Transilvania propina agli ospiti del suo
castello, come si legge nel romanzo di Bram Stoker Dracula (1897).
Le «frittelle di pesce felice», a base di filetti di
pesce bianchi, rosa e scuri, altra ricetta proposta da Manguel, sono in
origine il piatto tipico della città di Zenobia, simile a Venezia, posta
su altissime palafitte, una de Le città invisibili (1972) di Calvino.
Al termine della cena, prima che torniate a casa,
vorrei sottoporvi un quesito. Cosa pensereste se, in un ristorante, il
cameriere vi portasse il menu sul quale, fra le pietanze di carne,
spiccassero ghiottonerie come queste: Omeoteleuti al formaggio,
Anacoluti fritti, Brachilogie alla brace, Ossimori buchi, Prolessi con
salsa verde; e fra le portate di pesce figurassero: Poliptoti con puré e
Litote al vapore con maionese, mentre la scelta del dessert prevedesse:
Variazioni di tmesi, Dattili, More di sillabe, e quella dei vini:
Allotrio, Lassa o Villanella?
Forse, avendo un po’ di familiarità con gli antichi
greci e romani, potreste pensare che il cuoco sia un retore burlone.
Ricettario dei luoghi immaginari
Alberto Manguel
traduzione di Giovanna Baglieri
illustrazioni dell'autore
Vita e Pensiero, pagg. 157, € 16