Paolo
Albani
LE MACCHINE
PER SCRITTORI IN CRISI
Nella visita alla Grande
Accademia di Lagado, capitale dell'isola
di Balnibarbi, il medico Lemuel Gulliver incontra, fra gli altri
scienziati,
un professore che in una grande aula, circondato da quaranta scolari,
illustra
le proprietà di una macchina composta di vari pezzetti di legno
grossi come dadi, congiunti da esili fili di ferro, in cui è
travasato
l'intero vocabolario della lingua di Balnibarbi. Grazie a quella
macchina
la persona più ignorante, con poca spesa e uno sforzo muscolare
minimo, può scrivere libri di filosofia, poesia, politica,
legge,
matematica e teologia, senza alcun bisogno di genio o di studio.
È uno dei primi esempi (prototipi) rintracciabili in letteratura
di «macchina per fabbricare libri», uno strano marchingegno
che, per altro, muove da un dato reale: le affascinanti
proprietà
combinatorie del linguaggio umano che fa uso infinito di mezzi finiti
(una
manciata di lettere).
Un caso interessante, che ricorda l’invenzione swiftiana, è
quello dell’orologiaio francese Absalon Amet che, nel Settecento,
fabbrica
il Filosofo Meccanico Universale, un apparecchio, grande come
un’intera
stanza, in grado di produrre una quantità quasi infinita di
frasi,
combinando una serie di vocaboli (sostantivi, avverbi di ogni sorta,
congiunzioni,
negazioni, verbi sostantivati, ecc.) scritti su delle targhette
disposte
a loro volta su ruote dentate caricate a molla e regolate nel loro
movimento
da uno speciale congegno a scatto che periodicamente ferma
l’ingranaggio.
Ne parla Rodolfo J. Wilcock ne La sinagoga degli iconoclasti
(1972).
Muovendo dalla «potente verità» che «la
grammatica
inglese è governata da regole pressoché matematiche nel
loro
rigore», un giovane intraprendente che sogna di fare lo
scrittore,
Adolph Knipe, inventa una macchina in grado di produrre qualsiasi tipo
di storia uno desideri. È ciò che Roald Dahl racconta ne
«Lo scrittore automatico» (1953).
All’inizio degli anni sessanta Nanni Balestrini compose delle poesie
con l’ausilio di un calcolatore elettronico. Il procedimento usato da
Balestrini
per creare le sue poesie combinatorie si basava sulla divisione
in «elementi», cioè in gruppi di poche parole legate
sintatticamente, di tre brani presi a campione. Immagazzinate
particolari
istruzioni, il calcolatore era capace di combinare le frasi dei tre
testi
di partenza in modo da generare poesie di senso preciso.
Di un fenomeno analogo - la «produzione meccanica di
poesie»
effettuata da un cervello elettronico in California partendo da 3500
parole
e da 128 modelli sintattici - riferisce Gabriel Zaid nell’articolo
«Esplorazioni
d’ingegneria letteraria» apparso su il Caffè (5-6,
1968).
L'esperimento di Balestrini fa venire in mente il racconto in
forma teatrale di Primo Levi «Il Versificatore» (1966). Qui
il protagonista è un poeta che sgobba senza «mai un
momento
di libera ispirazione» per comporre carmi nuziali, poesia
pubblicitaria,
inni sacri, ecc. Un giorno il poeta acquista da un rappresentante di
nome
Simpson il Versificatore, una macchina per comporre versi
munita
di tastiera simile a quella degli organi e delle Linotype. Basta
impostare
l'argomento, il tono, lo stile, la forma metrica, ecc., e la macchina
compie
veri prodigi. Il racconto di Levi, che riporta alcuni esempi di poesie
create dal Versificatore, si conclude con queste riflessioni
del
protagonista: «Posseggo il Versificatore ormai da due anni. Non
posso
dire di averlo già ammortizzato, ma mi è diventato
indispensabile.
Si è dimostrato molto versatile. […] Gli ho insegnato a comporre
in prosa, e se la cava benissimo. Il testo che avete ascoltato, ad
esempio,
è opera sua».
L’io narrante de «Lo scrittore robot» (1988) di Luigi
Malerba è un ingegnere progettista che si è dato alla
letteratura
e vuole «robotizzarsi» il più possibile, affidando a
un computer la stesura del suo nuovo romanzo. Perciò si attiva
per
inserire nella memoria del computer i dati sulle sue intenzioni
letterarie,
e cioè sul tipo di romanzo che intende scrivere, sulle emozioni
che vuole provocare nei lettori, sulle idee generali alle quali intende
ispirarsi.
Così come accade in quasi tutti i racconti citati, una
«macchina per fabbricare libri» nasce dall’esigenza di
contrastare
la fiacca creativa di uno scrittore. Allora, in quanto oggetto
letterario,
una «macchina per fabbricare libri» non è
nient’altro
che la proiezione fantasiosa del travaglio che investe uno scrittore a
corto d’idee (condizione sofferta oggi - ci sembra - da non pochi
scrittori).
il Caffè Illustrato, 48, maggio/giugno 2009, p.
12.
Per tornare al sommario de il Caffè illustrato cliccate
qui.
HOME
PAGE TèCHNE
RACCONTI
POESIA
VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|