Paolo Albani
LO SGUARDO


   
Con il sopravanzare degli anni, quasi fosse una legge fisica, divento sempre più intollerante. È una cosa di cui non vado fiero, ci crediate o no, ma purtroppo non riesco a farci nulla. La vecchiaia – dicono i vecchi, che la sanno lunga sull’argomento avendone un’esperienza diretta – è una brutta bestia.
    Tanto per fare un esempio, e limitarmi a un frammento del mio smisurato campione d’intolleranze, non sopporto che mi guardi intensamente, ovunque mi trovi, per strada o in altre circostanze, è un atteggiamento che m’infastidisce, mi urta non sapete quanto.
    A volte, mentre cammino per andare da qualche parte – a fare la spesa, a visitare un amico, al cinema, alla posta, insomma là dove ho intenzione di andare, il luogo d’arrivo adesso non ha importanza per il discorso che sto affrontando –, mi succede d’incrociare un tizio o una tizia, di solito persone anziane, che mi guardano fissi negli occhi, mi osservano senza togliermi lo sguardo di dosso, mi scrutano, in modo insistente, tant’è che in un primo momento mi viene da pensare che magari lo conosco, l’impertinente guardone stradale.
    Invece no, non è così, ignoro chi sia il maleducato che mi fissa, e non ho la minima idea perché lo faccia. Che gusto ci trovi a puntarmi gli occhi addosso.




    Se non fosse che sono una persona civile, nonostante l’incresciosa situazione, evito di dare in escandescenze perché altrimenti avrei voglia di rispondere alla sfrontatezza di quello sguardo insopportabile tirando fuori, da parte mia, uno sguardo altrettanto aggressivo, dicendo a muso brutto al tizio o alla tizia che mi fissano spudoratamente: «Ehi, che cazzo hai da guardare?».
    Ci sono dei casi che rasentano la follia.
   Un giorno m’imbatto in uno di questi maniaci dello sguardo fisso, lo supero sul marciapiede mentre procediamo in direzioni opposte, quasi ci sfioriamo con i gomiti, dopo di che, fatti alcuni passi, decido di voltarmi per vedere se il tizio mi stia ancora guardando.
    Non ci crederete, ma quello a sua volta si è fermato e continua a guardarmi, ostinato, senza alcuna vergogna, le mani sui fianchi.
    «Che fai, mi provochi? Vuoi la rissa?», penso.
    Vi sembra normale? L’istinto mi porterebbe a ficcargli due dita negli occhi, così impara a molestare la gente con il suo sguardo indagatorio. Ma siccome, come dicevo, sono un signore e ho la mia dignità, tiro a dritto. Lascio che mi si guardi senza reagire. Non voglio mettermi allo stesso livello di quei tipi, orrore!, che uccidono per uno sguardo di troppo (rivolto alla propria fidanzata, a un malavitoso, al bullo di una gang giovanile). Gesti assurdi di cui purtroppo sono piene le cronache, ma che non meritano la mia attenzione. Io per fortuna sono di un’altra pasta. Sbraito, sbraito, ma poi non farei male a una mosca, figurarsi per uno sguardo, sia pure persecutorio.
    E però, quando mi guardano con troppo invadenza e sfacciataggine, allora non resisto, mi sale il sangue al cervello. Divento intollerante (conseguenza del fattore-vecchiaia?). Dentro di me, scatta la molla della cattiveria. M’incazzo.
    C’è gente che ti guarda anche mentre pedala in bicicletta. Inaudito.
    Cammini sul marciapiede, tranquillo, immerso nei tuoi pensieri, e d’un tratto ti affianca uno (un anziano, capelli bianchi e sopracciglia folte) che pedala, in bicicletta, e mentre continua a pedalare gira lentamente la testa, per non perdersi nulla del tuo viso, ti guarda, un’ispezione minuziosa, tu ricambi lo sguardo, sorpreso per l’insistenza («Allora? Che c’è?»), e quello continua a pedalare e a guardarti, come se nulla fosse. «Vuoi qualcosa?». Che gioia andasse a sbattere contro un palo, mentre ti guarda pedalando.

Avete mai sentito una punturina, una fitta come di uno spillo sulla nuca, seduti al cinema o a teatro? Vi girate e scoprite che c’è uno (non vorrei sbagliarmi, ma è un anziano), qualche fila dietro, che vi sta fissando. Guarda verso di voi, gli occhi incollati sulla vostra nuca, come due ventose. È una sensazione strana. Lo sguardo di uno sconosciuto, un gesto immateriale, capace di pungervi la nuca, di farvi sentire fisicamente un dolorino, com’è possibile? Roba da non crederci. Ha tutta l’aria di un sortilegio, la magia di una fattucchiera. Eppure, succede. A me è successo, più di una volta. E vi garantisco che non è piacevole accorgersi di essere guardato, spiato di nascosto, alle spalle. E chissà da quanto tempo.
    «Non hai altro di meglio da fare che guardare me?».

    A questo punto, mi prendo una pausa di riflessione e mi chiedo: non è che l’ossessione di sentirmi perseguitato da uno sguardo, da un’occhiata che mi sfiora, per strada o in uno spazio chiuso (bar, cinema, discoteca, stadio, treno, ecc.), non derivi da una forma latente di paranoia, di delirio demenziale (c’entra di nuovo la vecchiaia)?
    Forse la verità di questa storia degli sguardi, che vivo come minacce, interferenze intimidatorie, è che sono paranoico, o almeno lo sto diventando sempre più con il passare degli anni.
Non lo nego. È un dubbio legittimo. Gli estremi per essere paranoico, li ho tutti. Del resto, anche alcuni dei miei amici, che mi conoscono bene, al riguardo pensano che io sia malato, un paranoico incallito e che se voglio salvarmi ho bisogno di cure, affidarmi a uno strizzacervelli.
    Tanto legittimo, il dubbio, che, se devo dirvela tutta, non vi nascondo (spero di non offendervi) che persino il vostro sguardo, quello che scorre sulle righe di questo racconto, ora, in questo preciso istante, mentre siete impegnati a leggerlo, mi crea una certa inquietudine, un leggero fastidio.
Quasi si trattasse – sono serissimo – di un’intrusione nella mia vita privata, di una prepotenza bella e buona contro la mia persona.
    «Non avete altre cose più interessanti da leggere?».


luglio 2024

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