Paolo
Albani
IL FASCINO
DI UNA BIZZARRA PAROLINA
postfazione al libro di
Virginia Boldrini,
Limericcando.
Raccolta di
limerick nuovi e vecchi,
Campanotto, Udine, 2012, p. 157.
Sembra che il termine
«limerick» venga dal gaelico irlandese luimneach che significa
«palude deserta». Trasferita sul piano del linguaggio
l’idea della palude, e per di più desertica come si addice di
solito ai luoghi di acqua stagnante, a me fa venire in mente un
qualcosa di torbido, di non chiaro, di non comprensibile.
Pensando alla palude mi viene anche in mente,
perversa associazione, La palude
definitiva di Giorgio Manganelli, ricognizione di un luogo in
cui è difficile entrare e impossibile uscire, che forse, come si
legge nel risvolto di copertina, è il luogo stesso
dell’immaginazione dello scrittore, un luogo sommamente rischioso e
enigmatico.
Il che ci traghetta dritti dritti sul terreno -
paludoso appunto poiché pieno di insidie e di tranelli
dov’è facile impantanarsi e perdere il lume della ragione - del nonsense che, come si sa, è
uno degli aspetti più affascinanti e divertenti dell’omonima
poesiola, il limerick, in origine di argomento decisamente osceno e
dunque poco raccomandabile, specie ai bambini, composta da cinque
versi, stretta in uno schema preciso che vede il primo, il secondo e il
quinto verso rimare fra loro, mentre il terzo duetta con il quarto
verso (la struttura è AABBA).
Edward Lear, cui principalmente il genere letterario
del limerick è associato, affrancò le sue strampalate
composizioni da ogni riferimento volgare, da parolacce da osteria,
anche perché i suoi destinatari almeno all’inizio - così
dice la tradizione - erano i nipotini del presidente della Zoological
Society, Lord Stanley, presso la cui residenza di Knowsley, vicino a
Liverpool, Lear si era recato per ritrarre (il nostro era anche un
bravo disegnatore) gli animali della collezione del Lord. I personaggi
raccontati da Lear compivano azioni assurde, illogiche e questo
divertiva molto i bambini facendo compiere loro un piccolo strappo alle
rigide regole dell’educazione vittoriana.
Io non so per chi abbia scritto i suoi limerick
Virginia Boldrini, se i suoi primi potenziali «committenti»
siano stati dei bambini o dei ragazzi, la cosa in fondo non ha alcuna
importanza. So però che i suoi limerick sono piacevoli e
ingegnosi, le rime risultano perfettamente a posto, combacianti a volte
in maniera spericolata e imprevedibile. I limerick della Boldrini sono
di una leggerezza che a prima vista può disarmare (nel senso di
toglierci ogni difesa razionale), ma non scade mai nell’ovvietà,
i loro versi mettono addosso una certa allegria e ci restituiscono lo
spettacolo di un variegato campionario di umanità del tutto
plausibile nel quale il lettore si specchia e affettuosamente si
riconosce.
E se poi qualcuno, leggendo i limerick della
Boldrini, dovesse chiedersi qual è il motivo che ha spinto il
fioraio di Piazza del Mercato a innamorarsi, non di una bella ragazza,
ma della statua al centro della piazza, ci sentiremmo di rispondergli
allo stesso modo in cui rispose il poeta W. H. Auden a una domanda di
uguale tono formulata dall’anglista Carlo Izzo: «Perché
no?».
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Nel 2006
sempre con l'editore Campanotto Virginia Boldrini aveva pubblicato un
libro di limerick intitolato Viaggio a Limerick e dintorni.
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