CHE NON ERA UN LIBRO di Paolo Albani Ho trascorso la mia
adolescenza divorando avidamente
album di
fumetti con storie avvincenti alla Tex Willer e romanzi del genere
«cappa
e spada», «isole del tesoro», «tigri feroci
nella
giungla» e cose simili. Malgrado ciò il primo libro
importante
della mia vita non è stato, come si potrebbe credere, un libro
di
avventure. Non c'è niente di
strano in quello che sto
dicendo, sul
serio. Non molto tempo fa - e qui apro un inciso - mi è capitato
di leggere le Letture facoltative (2006) della poetessa polacca
Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996. In una di
queste letture la Szymborska sostiene che anche un calendario da parete
con i foglietti che si strappano via via può ritenersi un libro,
e grosso per di più, dal momento che non può contare meno
di trecentosessantacinque pagine. Ci sopravviveranno milioni di libri, una parte considerevole dei quali scritta male, datata e senza senso - scrive la Szymborska. Il calendario è l'unico libro che non si prefigga di sopravvivere a noi tutti, che non aspiri a una sinecura sugli scaffali di una biblioteca, è programmaticamente effimero. Nella sua umiltà non si sogna nemmeno di essere letto per intero, pagina dopo pagina, e solo per ogni evenienza è corredato da una dovizia di testi. C'è di tutto un po': gli anniversari storici che ricorrono quel tal giorno, stornelli, massime auree, barzellette (ovviamente da calendario!), dati statistici, indovinelli, ammonimenti contro il fumo e consigli per combattere gli insetti domestici. Il calendario come un libro. Un'idea curiosa, no? Ma se è la Szymborska a sostenerla, allora non si fatica a crederle, perché lei è un premio Nobel, e i Nobel non si danno alla leggera, sono riconoscimenti attribuiti a persone ingegnose, di cui possiamo fidarci, e di grandi vedute. Il primo libro importante
della mia vita non è
stato però
un calendario; ricordo, questo sì, che aveva una forma bizzarra,
non proprio rettangolare come hanno in genere i libri. Le pagine erano
rilegate a filo, e la copertina (o meglio il rivestimento sottile che
fungeva
da copertina), che a sfiorarla con la punta delle dita sembrava
velluto,
sapeva di bucato fresco, intrisa com'era di quell'odore acre di lavanda
che si sente quando si aprono i cassetti di un vecchio comò, e
poi
ricordo ancora l'estrema leggerezza di quel «libro», fatto
di un materiale deformabile e così morbido che una volta - avevo
trascorso un intero pomeriggio immerso nella sua lettura senza
concedermi
una pausa - ci appoggiai la testa sopra come su un cuscino e mi ci
addormentai
quasi di colpo per un'oretta buona. A proposito di libri
preziosi - e qui, se non vi
dispiace, apro
un altro inciso - mi vengono in mente gli «esercizi di
falsificazione
letteraria» di Umberto Eco, raccolti nel Diario minimo
(1963).
Fra gli esercizi c'è una recensione a due opere di grande
valore,
edizioni numerotées in folio tirate in molti esemplari. Stampate
in recto e in verso, le due opere esibiscono, in
controluce,
un pregevole lavoro di filigrana frutto di alto artigianato e di
estrema
efficienza tecnologica. il gusto della novità maschera l'estetica dell'obsolescenza, e cioè del consumo. Estremo gioco barocco, amministrato da un manieristico Tesauro, l'esemplare numerato che abbiamo sott'occhio sembra ancora prometterci, attraverso la cifra che lo contraddistingue, la possibilità di un possesso intimo, ad personam. Inganno, perché sappiamo che il gusto dello sperpero intellettuale porterà ben presto il lettore a cercare altre copie, altri esemplari, come per ritrovare attraverso il cambio continuo quelle garanzie che l'esemplare singolo non gli dà. Segno in un mondo di segni, ciascuna di queste opere risulta un modo per distoglierci dalle cose. Il suo realismo è fasullo, come il suo avanguardismo psichedelico cela alienazioni più profonde. Comunque siamo grati all'editore di averci inviato le copie omaggio per recensione. Le opere di cui si parla
nella recensione sono le
banconote da
cinquantamila e da centomila lire stampate nel 1967 nell'Officina della
Banca
d'Italia. In questo caso abbiamo a che fare non con un calendario, ma
con
delle banconote fresche di conio trattate come se fossero dei libri e
l'operazione,
sebbene lì per lì possa lasciare interdetti, non è
priva di un certo grado di fondatezza, di plausibilità, come
testimonia
per l'appunto la recensione di Eco. Naturalmente il mio libro -
o meglio quello che stimavo
essere
un libro, ma che in definitiva non lo era, come suppongo ormai si
sarà
capito - non aveva niente da spartire con i calendari né con i
biglietti
di banca o con altre forme di denaro e neppure, tanto per restare in
ambito
economico, con la scheda di una dichiarazione contributiva. L'opportuna ristampa della notissima pubblicazione, tempestiva in questo scorcio di stagione, rimane sempre il più brillante esempio della pur discussa azione dello Stato al livello della promozione culturale. Benché incentrato sulle matematiche severe, l'esigenza sostanzialista dell'opera induce il lettore ad una piena collaborazione che lo porta quasi inconsapevolmente ad assurgere al livello di coautore; e obbliga gli italiani a superare la tradizionale vocazione umanistica, in un benefico condizionarsi alle strutture reali, a storicizzare - diremmo - le loro vicende singole, in un rigore senza indulgenze. Il «libro»
preso in esame - qualora non si
fosse intuito
- è il vecchio Modello Vanoni che un tempo serviva alla
dichiarazione
dei redditi. Non ricordo più che fine abbia fatto quel libro-non libro della mia adolescenza. È probabile sia andato perduto durante un trasloco (qualcosa va sempre smarrito quando si cambia casa) o durante una gita scolastica, o forse l'avrà trovato quel ficcanaso di mio fratello Bruno e magari se lo sarà giocato per due lire alle figurine o alle carte con la banda di scioperati e di teste vuote che frequentava a quel tempo. Questo numero dell'Almanacco, intitolato "Biblionostalgia. Divagazioni sentimentali sulle letture degli anni verdi", a cura di Mario Scognamiglio, contiene testi di (in ordine di apparizione) Umberto Eco, Giulio Andreotti, Paolo Albani, Annalisa Bruni, Arturo Capasso, Salvatore Carrubba, Gianni Cervetti, Matteo Collura, Gianandrea de Antonellis, Oliviero Diliberto, Gianfranco Dioguardi, Curzia Ferrari, Mauro Giancaspro, Giuseppe Marcenaro, Elio Palombi, Mario Scognamiglio, Pietro Spirito, Armando Torno. |