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AGA MAGÉRA DIFÚRA
LABORATORIO SULLE LINGUE IMMAGINARIE
Paolo Albani 


Codex Seraphinianus

1. Introduzione alle «lingue immaginarie». Che cosa sono e come sono strutturate. Breve panorama di lingue inventate nella letteratura, nella poesia, nel cinema, nel teatro, nelle arti visive, nella musica, nel fumetto. Alcune esemplificazioni: i gerghi incomprensibili di François Rabelais; le Fànfole di Fosco Maraini (di cui esiste anche una versione musicata); la canzone inventata da Charlot nel film Tempi moderni; il grammelot di Dario Fo; lo scat dei jazzisti; gli alfabeti inventati da Paul Klee. In questa fase propedeutica saranno visionati materiali di varia natura (diapositive, cassette audio, video VHS e CD).

2. Esercitazioni sulle lingue immaginarie. Possibili vie per costruire una lingua inventata.

PRIMO ESERCIZIO:

inventare delle «parole-valigia» o «parole-macedonia» attaccando la testa di una parola con la coda di un’altra. Traducendo I fiori blu (1965) di Raymond Queneau, Italo Calvino scrive tossulta per esprimere l’azione di una persona che «tossisce e sussulta». Umberto Eco ha inventato delle parole-valigia cui ha dato una definizione divertente come Arfabeto Sistema di scrittura per cani; Vampirla Discendente inabile del conte Dracula; Oromogio Swatch che suona solo le ore tristi; Cornitologo Etologo che studia l’adulterio tra uccelli; Dentifreezer Borsa termica per conservare le dentiere; Ponyclinico Ospedale per equini. 
 


SECONDO ESERCIZIO:

la «lingua locopea» di Ersilia Zamponi, autrice de I draghi locopei. Imparare l’italiano con i giochi di parole, Torino, Einaudi, 1986. S’inventano alcune parole inesistenti (ad esempio: cirà, garosa, romire, gragliano, ecc.) e si attribuisce a ognuna di esse un significato (ad esempio: strega, cattiva, abitare, bosco, ecc.). Quindi si sostituisce in un testo di partenza («C’era una volta una strega cattiva che abitava in un bosco ecc.») le parole inventate ottenendo un racconto misterioso («C’era una volta una cirà garosa che romiva in un gragliano ecc.»). 
 

TERZO ESERCIZIO:

disegnare alfabeti immaginari, prendendo spunto dall’alfabeto degli abitanti dell’isola di Utopia, descritto da Tommaso Moro; da quello usato nell’isola di Stranalandia, raccontato da Stefano Benni, e dalla «scrittura illeggibile di un popolo sconosciuto» di Bruno Munari.  

QUARTO ESERCIZIO:

scrivere poesie alla maniera delle fànfole di Maraini: «Il lonfo non vaterca né gluisce / e molto raramente barigatta, / ma quando soffia il bego a bisce bisce / sdilenca un poco, e gnagio s'archipatta». Il gioco consiste nel rispettare la grammatica, la sintassi e la morfologia della propria lingua, e allo stesso tempo nello sconvolgerne il lessico con parole che assomigliano a quelle vere, ma che non esistono («sdilenca» ricorda nel suono «sbilenca», ma non si trova sul vocabolario). Le parole – come dice Maraini - diventano giocattoli, caramelle da rigirare tra lingua e palato per assaporarne i profumi e scoprirne i valori cromatici e tattili.


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