Paolo Albani

UN PITTORE «VISIONARIO»
DI MEZZANO DI RAVENNA:

ANNIBALE LUIGI BERGAMINI



 

      C'è un aneddoto su Annibale Luigi Bergamini (Mezzano di Ravenna, 20 novembre 1921 – Fusignano, 6 dicembre 1992), pittore che ha vissuto trent'anni della sua vita nel manicomio di Imola, che mi ha colpito. L’aneddoto è questo: Bergamini si metteva a dipingere sull'argine di un fiume e diceva all'amico che lo accompagnava: «Dam e' ross ch'um scapa e tramont!», «De ross an no piò», «Dam e' verd, ch' l'è li stess!» È un atteggiamento, quello espresso da Bergamini nel dialogo appena riportato, involontariamente dadaista, sintomo di un candore disarmante e derisorio di fronte all’agire artistico, che a me ha fatto ricordare ciò che il poeta russo Velemir Chlébnikov, autoproclamatosi all’inizio del secolo XIX Presidente del Globo Terrestre, diceva agli amici cui portava un testo per qualche almanacco: «Se non va, ritoccatelo».




   L’aneddoto su Bergamini è raccontato da Giulio Ruffini (1921-2011), uno degli artisti romagnoli più interessanti del secolo scorso, il cui studio il Bergamini «pittore visionario» frequentò da giovane. Sempre Ruffini racconta un altro aneddoto divertente legato alla vita di Bergamini: questi, testa grossa e gambe storte, aveva un amico appassionato di piano che s’era impuntato a voler correggere la nona di Beethoven perché, a suo giudizio, il finale non andava bene, era sbagliato. «Come se», commenta Ruffini, «prendo il “Giudizio” di Michelangelo e vado a correggerlo perché è sbagliata la posa di una figura o c’è una cosa che non ci andava. Roba da matti» (traggo queste notizie dal catalogo della mostra Annibale Luigi Bergamini (1921-1992). L’incanto e l’invisibile, a cura di Orlando Piraccini, tenutasi presso il Palazzo del Capitano a Bagno di Romagna dal 10 maggio al 1 luglio 2012).

    Fin dal 1948, anno della sua entrata nell’istituto psichiatrico imolese denominato Villa dei Fiori, dove segue un piccolo atelier, e anche dopo la fine della sua degenza, avvenuta nel 1975, quando viene ospitato nella comunità aperta la «Celletta» di Maiano di Fusignano, sistemata in una ex scuola elementare di campagna, Bergamini, non digiuno di pittura dato che in età giovanile ha messo piede nell’Accademia di Belle arti di Ravenna, dipinge con attrezzature e tecniche diverse una quantità enorme di opere fra le quali l’affresco dietro il catino absidale e una serie di tavole a carattere religioso presso la chiesa della Madonna del Pilar di Maiano. È una pittura, quella di Bergamini (lo dico qui da non specialista), che non ha secondo me, come accade spesso nelle figurazioni ossessive e reiterate di molti artisti-degenti di manicomi, un carattere marcatamente naif, primitivo; si apre invece a suggestioni oniriche, surreali, a un uso del colore moderatamente sorvegliato, con gradazioni e contrasti tenui e a volte minacciosi e inquietanti per la loro cupezza.




      Nel marzo 2013, grazie all’amico fotografo Giovanni Zaffagnini, nativo di Bagnacavallo, ho potuto visitare, insieme a sua moglie Anna e alla mia compagna Ada (solo ora mi accorgo che hanno entrambe un nome palindromo e monovocalico, vorrà dire qualcosa?), guidati egregiamente da Lino Costa, ex assessore alla cultura del comune di Fusignano, gli affreschi nella chiesa di Maiano e il magazzino dentro il Museo Civico San Rocco sempre a Fusignano dove sono conservate molte delle opere di Bergamini. L'esperienza della comunità aperta, mi racconta Giovanni, è stata «terapeutica» non solo per i degenti ma anche per i cittadini fusignanesi che, dopo un'iniziale diffidenza verso i «diversi», hanno constatato la natura pacifica di queste persone fino a organizzare serate gastronomiche presso la «Celletta». Bergamini, prosegue Giovanni, era piccolo di statura con lo sguardo costantemente rivolto a terra dove raccoglieva mozziconi di sigaretta. Un incessante borbottio annunciava la sua presenza. Fumatore accanito eseguiva ritratti ai clienti dei vari bar in cambio di sigarette. Era anche possibile ottenere dipinti su richiesta; in questo caso si doveva sborsare una modesta somma all'ente preposto alla comunità che la versava in un fondo personalizzato.

    Rubo ancora dai ricordi di un altro amico, Giuseppe Bellosi, poeta, studioso di folklore e antropologia culturale, oltre che grande conoscitore della poesia di Raffaello Baldini (in una sua nota biografica leggo con estremo apprezzamento che «sta seguendo un corso di specializzazione per diventare analfabeta») queste annotazioni sulla figura di Bergamini: «Lo si incontrava spesso a Maiano e a Fusignano. Il parroco di Maiano, don Carlo Conti, fu probabilmente uno dei suoi primi committenti. Come primo lavoro gli affidò la decorazione dell'abside. Il soggetto fu suggerito dal parroco, ma poi il pittore nell'elaborazione si prese molte libertà. Il parroco fece installare un'impalcatura di tubi e Bergamini ebbe libero accesso alla chiesa, dove ogni tanto dipingeva anche durante le funzioni. Il parroco, a quanto ne so, espresse più volte alcune perplessità riguardo alle scelte iconografiche del pittore, ad esempio gli angeli dipinti come donne in abito da sera e con le scarpe, ma Bergamini apportò solo piccole modifiche (l'aggiunta di un velo sulle scollature, se non ricordo male). Quando il dipinto fu terminato, il parroco, mi confessò poi, ebbe la tentazione di passarci sopra una mano di bianco, perché quegli angeli-donna avrebbero potuto essere motivo di scandalo. Ma, prima di mettere in atto il suo proposito, pensò di chiedere un parere a Mons. Antonio Savioli, storico dell'arte e presidente della commissione diocesana per i beni artistici, il quale salvò l'opera dalla distruzione e anzi si fece fare un ritratto dallo stesso Bergamini. Poi il parroco commissionò al pittore altri grandi quadri con episodi del vangelo, che Bergamini dipinse nel teatro attiguo alla chiesa di Maiano e che si trovano nella stessa chiesa, e diverse madonne col bambino».

     Quando si parla di «pittori folli», o come si dice oggi «outsider», viene subito in mente l’Art Brut, espressione coniata da Jean Dubuffet per indicare una creatività senza sovrastrutture culturali o estetiche di bambini, alienati mentali e più in generale di tutti quei soggetti non integrati nel mercato dell’arte e nel sistema di movimenti e tendenze culturali. Appena rientrato da una delle sue prime peregrinazioni in Svizzera alla ricerca di opere dal carattere marginale, Dubuffet abbozza una definizione di Art Brut: «Disegni, dipinti, opere d’arte di ogni tipo, create da tenebrose personalità, da maniaci, scaturite da impulsi spontanei, animate dalla fantasia o dal delirio, ed estranee alle regole dell’arte ufficiale» (Jean Dubuffet, «Note pour les fins-lettrés (1945)», in Prospectus et tous écrits suivants, Gallimard, Paris, 1967, I, p. 88). È straordinaria la somiglianza di questa definizione con quella dettata da Raymond Queneau ne Les enfants du limon (1938) per designare la fisionomia del «fou littéraire»: «Un autore edito le cui elucubrazioni (non uso il termine in senso dispregiativo) si allontanano da tutte quelle professate dalla società in cui vive, sia da tale società nel suo insieme, sia dai diversi gruppi, benché minimi, che la compongono, elucubrazioni che non rimandano a dottrine anteriori e che non hanno avuto eco alcuna. In breve, un “folle letterario” non ha né maestri né discepoli».








    Di recente sono state allestite in Italia due suggestive mostre riguardanti la pittura dei folli. La prima, intitolata Arte, genio, follia. Il giorno e la notte dell’artista, da un’idea di Vittorio Sgarbi (per il quale, è più forte di me, devo confessare una viscerale idiosincrasia), si è tenuta fra il gennaio e il maggio del 2009 presso il Complesso Museale Santa Maria della Scala di Siena, con sezioni curate da vari specialisti come Giulio Macchi, Giorgio Bedoni, Lucienne Peiry, Augusto Agosta Tota, Marco Moretti, Jean-Jacques Lebel e Julius Hummel; catalogo Mazzotta. Nella sezione dedicata a «Alcuni casi italiani tra normalità e follia» figurano due quadri di Bergamini: La barca sul lago (s.d.) e La Madonna con il Bambino (s.d.). Secondo quanto mi dice Lino Costa, Sgarbi non appena vide i quadri di Bergamini fece interrompere la stampa del catalogo della mostra senese per poterli inserire.

   Inspiegabilmente, e con estremo rammarico, non trovo invece alcun quadro di Bergamini nella mostra Borderline. Artisti tra normalità e follia. Da Bosch a Dalí, dall’Art Brut a Basquiat, a cura di Giorgio Bedoni, Gabriele Mazzotta e Claudio Spadoni, catalogo Mazzotta, aperta il 17 febbraio 2013 presso il Museo d’Arte della città di Ravenna, dunque a pochi chilometri da Fusignano, città dove Bergamini ha vissuto e dipinto le sue bizzarre opere.

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Le immagini nel testo riproducono alcuni quadri di Bergamini. Dall'alto in basso: Autoritratto, s.d., olio su tela, cm 49x39 (Fusignano, collezione privata); Paesaggio montano, s.d., tecnica mista su legno, cm 129x199 (Fusignano, Raccolta Comunale d'Arte); Paesaggio con case, s.d., olio su tela, cm 32x33 (Fusignano, collezione privata).



La Piê, 3, maggio-giugno 2013, pp. 105-107.


Il testo è stato pubblicato, senza le riproduzioni dei quadri di Bergamini, anche nel mio Visionari. Briciole critiche su Carlo Dossi, Italo Svevo Editore 2022.




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