Paolo Albani
IL KILLER


Ieri pomeriggio verso le 19 ho ucciso il mio ventiquattresimo barbiere.
Gli ho sparato in faccia con una Beretta 90TWO munita di silenziatore. Senza pietà. Quando il barbiere era a terra, sanguinante, l’ho finito con due colpi al cuore, tanto per essere sicuro che fosse morto. Poi con calma ho tolto il silenziatore dalla pistola, ho riposto pistola e silenziatore dentro lo zainetto e sono uscito dal negozio. Tranquillo, senza fare una piega. Dopo di che mi sono incamminato a passo lento verso il parcheggio dove avevo lasciato la mia auto.
Fuori era già buio. Pioveva.
    Nel tragitto dal negozio del barbiere al parcheggio non ho incontrato nessuno. Anche questa volta il rischio è stato minimo. Ho scelto apposta per la mia nuova missione punitiva un quartiere poco abitato, in periferia.
    È il mio ventiquattresimo barbiere in un anno, così fanno in media due barbieri uccisi al mese. Non mi lamento. Già i giornali parlano del «killer dei barbieri» e l’associazione nazionale di categoria ha mobilitato i suoi iscritti, hanno fatto un’assemblea, guarda caso di lunedì, per discutere le misure da prendere. Dall’assemblea dei barbieri è uscito un comunicato patetico, piagnucoloso in cui si chiede al governo di emanare leggi più severe in materia di sicurezza.
Ho visto che sono apparsi dei vigilantes davanti alcuni negozi di barbiere, con tanto di pistolona che esce minacciosa dalla fondina e giubbotto antiproiettile.
Non sarà certo uno stupido vigilante in assetto di guerra a fermarmi.
Posso uccidere un barbiere quando voglio, e poi non è mica detto che debba ammazzarlo dentro il suo negozio, posso anche aspettarlo sotto casa, dopo che è smontato dal lavoro, e freddarlo lì sul portone di casa sua, magari davanti alla moglie e ai figli terrorizzati, tanto mi metto una calzamaglia in testa. L’ho già fatto altre volte, e loro, i barbieri, lo sanno bene, per questo hanno paura, sono diventato il loro incubo. Non si sentono più sicuri in nessun posto.
Io ho un vantaggio dalla mia parte. Ho il fatto che i barbieri sono disorientati, confusi, non capiscono perché il killer si accanisca in quel modo contro di loro, il movente che lo spinge a tanta crudeltà. Anche gli investigatori brancolano nel buio, non riescono a delineare una fisionomia psicologica dell’assassino, a ricostruirne un identikit. D’altronde, poveretti, non hanno niente in mano.
Ho letto su un giornale che un investigatore, che è voluto rimanere anonimo, ha detto che forse il killer è un barbiere anche lui, forse è uno che si è giocato la licenza da barbiere a causa dei debiti contratti con uno strozzino o che gli è venuto il tremito nelle mani essendo un alcolizzato e non riesce più a fare il barbiere e allora per vendicarsi, per ritorsione uccide i suoi ex colleghi.
Che idiota! Non ha capito proprio niente. Io non saprei fare la messa in piega nemmeno al parrucchino di una bambola. Però in compenso so sparare bene, mi alleno spesso al poligono.
Da qualche giorno ho aperto una pratica a carico del barbiere che ha il negozio in via Faenza, vicino allo stadio. Mi sto documentando sulle sue abitudini, lo pedino con discrezione. È giovane, sulla cinquantina direi. Bassino, carnagione olivastra, capelli brizzolati e naso un po’ schiacciato da boxeur. Scapolo. Fa una vita abbastanza regolare, monotona. La domenica si ritrova quasi sempre con un gruppo di amici per delle gite in bicicletta, vanno su per strade di montagna bardati da ciclisti professionisti con maglie a manica corta, salopette e casco di protezione, poi la sera finiscono tutti in pizzeria. In genere amano scalare il monte Savio.
Ho già un piano per togliere di mezzo il barbiere di via Faenza.
Il piano è questo: gli sparo in fronte con la mia carabina di precisione, una Beretta RX4 Storm, nascosto fra la boscaglia, quando lui arranca in bicicletta sulla salita. Lo faccio secco all’altezza del passo del monte Savio, sull’ultimo tornante quando la strada s’impenna paurosamente e raggiunge una pendenza dell’8 o 9 per cento. In quel punto i ciclisti vanno quasi a passo d’uomo.
Sarà facile centrarlo in fronte, ho una buona mira e nessuno sentirà lo sparo perché come al solito userò il silenziatore. Lì per lì penseranno che sia caduto per un salto di catena o per un malore, ma poi gli troveranno un forellino rosso proprio in mezzo alla fronte.
E così quella domenica, grazie a Dio, ci sarà un altro barbiere in meno al mondo. La mia venticinquesima vittima. Anche lui come gli altri arruffacapelli avrà finito di tormentare i suoi poveri clienti, di assillarli con quelle chiacchiere fastidiose, insopportabili da barbiere.
Le odio quelle chiacchiere da barbiere, così vuote, assillanti.
Le ho dovute sorbire per tanto tempo, fin da bambino.
Ora sono stufo, e ho detto basta.

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Questo testo è uscito su il Caffè illustrato, 61, luglio-agosto 2011, p. 13.
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Una nota a margine. A pag. 18 del n. 15 di Cantieri, newsletter della casa editrice biblohaus, c'è un articolo intitolato Ritagli quotidiani a firma MG [Massimo Gatta] che ha questa dedica: "A Paolo Albani, killer di barbieri".

Una versione modificata di questo racconto, intitolata Ho detto basta, è uscita sull'Almanacco 2016. Esplorazioni sulla via Emilia, a cura di Ermanno Cavazzoni, edito da Quodlibet Compagnia Extra nel 2016. Per leggere la recensione di Paolo Nori a quest'Almanacco 2016, uscita su "Libero" del 10 giugno 2016, cliccate qui.


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