Paolo Albani
L'IRRISPOSTABILE
Per quanto mi riguarda nella mia corrispondenza con lui,
cerco di essere il più discreto possibile. Mi guardo bene dal mettergli fretta,
di stargli con il fiato sul collo. Non sono il genere di persona invadente, amo
la discrezione, ho sempre paura di dar fastidio. Ma lui niente, comunque la
metti, non risponde. È una sua prerogativa, un dato fondante del suo carattere:
NON RISPONDERE MAI. Nemmeno una volta, per sbaglio. Ormai tutti sanno che è fatto così. Non si meravigliano
più. Per questo l’hanno soprannominato, con un colpo di genio linguistico,
«l’irrispostabile», un neologismo che sta per una persona che non risponde mai,
che non si degna di mandarti un cenno di risposta, di dirti cosa ne pensa del
contenuto del tuo messaggio. È un’emerita
stronzata, va bene, l’accetto, non me la prendo a male, sei libero di
pensarla come vuoi, ma almeno abbi la bontà di rispondermi per manifestare
questa tua limpida e sdegnosa opinione. Lo trovo calzante come soprannome, «l’irrispostabile»,
azzeccato, perché ricorda la parola «irresponsabile», ma anche «irritante», che
in effetti è ciò che appare agli occhi di tutti uno che, irremovibile e rigido
come la canna di un fucile, ha deciso di non cedere di un millimetro dal suo
comportamento di non-rispondente, di quello che se ne sta lontano dai
riflettori, in disparte – «chiuso in una torre d’avorio», come si dice – e non
si relaziona con nessuno. Alla fine uno spera sempre che lui a un certo punto, preso
da un slancio improvviso di commozione e di generosità, cambi atteggiamento, si
conceda una deroga e ti risponda, quando meno te l’aspetti, che ti sorprenda
facendosi vivo, mandando un segnale, sia pure telegrafico, centellinato al
massimo, dopo tutto quel tempo in cui non si è palesato nemmeno con l’emissione
di un monosillabo, rompendo il letargo in cui ha relegato (costretto) la sua
comunicazione personale. Uno non gli chiede di essere espansivo, generoso nella
risposta, nessuno lo pretende. Anch’io non sopporto quelli che si dilungano in
chiacchiere fumose, che la tirano per le lunghe, che sono logorroici, che fanno
giri di frasi vuote, interminabili, magari solo per dire che sono d’accordo con
te, che in molti casi basterebbe limitarsi a un semplice «ok», un «sì», un «va
bene», ma una parolina di riscontro, da lui, abituato a non rispondere mai, a
sottrarsi al dialogo per partito preso, una parolina liscia, poco impegnativa
sarebbe gradita, farebbe piacere, tanto per mantenere in piedi i contatti e non
perdersi di vista. Parlando con me,
alcuni amici del nostro giro si sono lamentati in modo pesante per come lui si
sta comportando con tutti noi, nessuno escluso; sta realmente esagerando, ha
superato ogni limite di sopportabilità, questo silenzio prolungato è assurdo,
questo ostinarsi a non rispondere mai è una follia. Ma chi crede di essere!
Vuol fare il prezioso, il ricercato, come quel personaggio di un film di Nanni
Moretti che dice al telefono: «Mi si nota di più se vengo e me ne sto in
disparte, o se non vengo per niente». Lui è da un bel po’ di tempo che non
risponde per niente. Ha fatto la sua scelta: astenersi in modo categorico da
ogni messaggio di risposta. Va poi a finire che uno si stanca e non lo chiama più.
Perché inseguirlo, tallonarlo se lui non risponde mai, fermo nella sua
posizione incomprensibile, nel suo ostruzionismo che non conduce da nessuna
parte? Non si muove di lì, non desiste. Nel nostro giro ci siamo domandati se
poteva essere successo qualcosa che lo aveva offeso, di cui non ci siamo
accorti, a volte sfuggono delle frasi storte, dette senza cattiveria, ma che
possono ferire una persona e tu non lo sai, non lo percepisci sul momento,
magari l’altro ha interpretato male, quelle frasi, gli ha dato un senso diverso,
contrario a quello che intendeva dire chi le ha pronunciate e si crea una
frattura involontaria fra gli interlocutori, anche quando si tratta di vecchi
amici, come nel nostro caso, una bolla d’incomprensione che può sfociare in reazioni
inconsulte, come la sua, che non risponde più ai nostri messaggi, che ci ha
cancellato – creature inferiori, non più degne di lui – dalla sua benevola considerazione. È triste dirlo, ma questa è la situazione in corso con il
nostro amico che persevera nella sua strategia di non risponderci mai, di continuare
a negarsi alle nostre sempre più rare sollecitazioni, dico «rare» perché anche
la nostra disponibilità – questo non deve meravigliare – ha raggiunto un
livello basso di espansione, ai limiti storici della nostra amicizia che pure
un tempo, non lo nascondo, era piacevole. Qualcuno, c’era da aspettarselo, si è indispettito e ha già
cominciato a non mettersi più in contatto con lui, a snobbarlo, disgustato dal
fatto che lui non risponde mai, che ha chiuso tutti i ponti dietro di sé senza alcuna
spiegazione, e questo, si capisce, lo ha reso decisamente antipatico, odioso, e
non invoglia certo a essere concilianti. Con chi, poi? Con uno che si è
impuntato, chissà per quale capriccio, a non rispondere mai e che perciò non ti
offre il minimo spiraglio di affidamento. È impensabile che uno che non ti
risponde mai sia considerato una persona a cui viene spontaneo dare fiducia.
L’ostinazione con cui quella persona non risponde mai ci allontana da lui, è
inevitabile, ci porta a farcelo dimenticare, per quanto una scelta simile possa
risultare dolorosa. Ogni giorno mi ripeto che è meglio lasciar perdere, che si
crogioli pure, l’amico, nel suo splendido isolamento, sempre che lo sia davvero
splendido per lui, che insista fin quando vuole a non rispondere ai miei (nostri)
messaggi, mi adeguerò a questo scenario che si è aperto davanti a me. Non ne
farò una tragedia, non è nel mio stile. Anch’io, come disse una volta Robert Walser al suo amico di
passeggiate Carl Seelig, «Voglio essere dimenticato», e pace all’anima sua. Che
vada a farsi fottere. Non voglio farmi condizionare dal bizzoso separatismo di
un «irrispostabile». Resta un dubbio, che non si regge su nulla ma plausibile:
che lui sia morto. La storia prenderebbe un’altra piega. Tutto questo polverone
agitato intorno al suo (ipotetico) silenzio, da noi inteso erroneamente come un
suo cocciuto attributo che lo avrebbe spinto a non rispondere mai, non sarebbe
che un’interruzione non programmata, indipendente dalla sua volontà. Uno di
quei contrattempi che sfuggono al nostro controllo.
giugno 2020 _________________________________________
Per andare o tornare al menu dei miei raccontini del mese cliccate qui. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA |