pagina del sito di Paolo Albani

Massimo Gatta
  LE ROI EST FONDU
FUOCOfuochino, Viadana, 2019







           

[Introduzione di Paolo Albani]

IL PIÙ SORPRENDENTE
REFUSO LETTERARIO?

 

     Metto subito le mani avanti: ci tengo a precisare che la tesi non è mia, ma del critico letterario Alan Murray, collaboratore saltuario del «New Dublin Magazine», personaggio non nuovo a interpretazioni – diciamo così – spericolatamente leggere e prive di riscontri seri, che lo relegano fra i personaggi più inaffidabili e mal visti dell’establishment del mondo culturale irlandese.

La tesi di Murray, avanzata in un libretto di poche pagine (54, compresa l’introduzione) intitolato Literary myopia. An exemplary case (La miopia letteraria. Un caso esemplare) (2017), è che il Finnegans Wake di James Joyce, pubblicato a Londra da Faber and Faber il 4 maggio 1939, dunque diciassette anni dopo l’Ulysses, non sia nient’altro che «a gigantic mountain, a heap of transcription errors» («una gigantesca montagna, un cumulo di errori di trascrizione»).

Su cosa si fonda la tesi di Murray? Procediamo con ordine.

In primo luogo ci sono i noti problemi agli occhi di cui soffriva Joyce, gravi disturbi oculari, causati da ricorrenti attacchi di irite complicati da glaucoma e cataratta, che lo condussero quasi alla cecità, costringendolo a subire ben undici interventi chirurgici. In una lettera del 25 marzo 1925 alla Harried Shaw Weaver (1876-1961), sua devota mecenate e prima editrice di Dedalus e, praticamente, dell’Ulysses, Joyce scrive: «Mi piacerebbe farmi leggere di nuovo Vico nella speranza di poter riprendere a scrivere un giorno o l’altro». Il fatto che Joyce debba farsi leggere qualcosa (in questo caso Vico) testimonia dell’estrema precarietà della sua vista. È già da qualche anno (esattamente dal 1923, quando il titolo provvisorio è Work in progress) che ha iniziato a lavorare al Finnegans Wake, e ci vede sempre meno (oltre ai problemi oculari, Joyce soffre di gastrite, febbre reumatica, carie dentale, sciatica, artrite e malattie veneree). Questo il primo elemento a sostegno della tesi di Murray.

Il secondo elemento si chiama Antoinette Dubois (1916-1988), la dattilografa di Joyce, una ragazza timida e senza istruzione, amica di quella Raymonde Linossier che aveva battuto a macchina circa settanta pagine del capitolo "Circe" dell’Ulysses. Murray sostiene di aver visionato alcune lettere spedite dalla Dubois alla madre in cui la giovane dattilografa confessa di non capire quasi niente di ciò che Joyce le detta e quindi di improvvisare nella battitura, di fare di testa propria («Il signor Joyce parla troppo veloce e in più storpia maledettamente le parole, dato che quasi sempre è alticcio» si lamenta la ragazza). «È il libro più incomprensibile e assurdo che abbia mai battuto a macchina fino a oggi» scrive la Dubois alla madre in una lettera datata 21 aprile 1937. A questo punto il cerchio si chiude, con soddisfazione di Murray: Joyce, semi-cieco, non può rileggere ciò che ha dettato alla Dubois e a malincuore deve fidarsi del lavoro di battitura della sprovveduta ragazza.

Il libretto di Murray si chiude con una frase di Joyce, tratta dall’Ulysses, riportata dal critico irlandese per affondare il dito nella piaga e ironizzare sulla scrittura illeggibile e schizofrenica, nonché erratica del Finnegans Wake, ma in realtà – a giudizio di Murray – semplicemente piena di strafalcioni linguistici (altro che parole-valigia o parole-tuono!).

La frase di Joyce è questa: «A man of genius makes no mistakes, his errors are volitional and are the portals of discovery» («Un uomo di genio non commette errori, i suoi errori sono volontari e sono l’anticamera della scoperta»).     

                                                                                               


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Una versione modificata di questo testo
è comparsa nel mio DUE SCRITTARELLI
SU JAMES JOYCE
, illustrazioni di Lino Di Lallo,
Quaderni di stretta brevità, collana a cura di Lino Di Lallo,
Il Formichiere Editore, Foligno 2022.





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