Paolo Albani
IL FRIGORIFERO



 La cosa che lo faceva soffrire di più in quel periodo era vedere il suo frigorifero vuoto.
 Era una grande desolazione ogni volta che trovava il frigorifero vuoto, completamente sguarnito, senza la minima traccia di cibo come se fosse stato nuovo di zecca. Quando l’apriva e vedeva che era vuoto, gli veniva una tale tristezza, uno sconforto che si sarebbe messo a piangere. 
Non sempre tuttavia il frigorifero di Gino Marinai era mestamente e squallidamente vuoto. Qualche volta, in piena solitudine, poteva esserci rimasta una scatoletta di pomodori pelati aperta con una linea di muffa galleggiante sullo strato sottile di polpa, ricordo dell’ultimo spaghetto al sugo cucinatosi, oppure una o due foglie d’insalata appassite, o ancora uno yogurt scaduto, una tazza di latte ingiallito, una burriera con il coperchio di plastica senza il minimo indizio di burro, una carota annerita e grinzosa, o soltanto un vasetto con un filo appena di marmellata sul fondo o una crosta di parmigiano reggiano avvolta nella pellicola trasparente.
Insomma se per caso c’era qualcosa in uno scomparto del frigorifero, in genere era un avanzo, un residuo malconcio e putrefatto, una testimonianza del passato, che come spettacolo visivo era ancora più deprimente che trovarsi di fronte al nulla, al vuoto, alla mancanza di tutto.
Quando Gino Marinai, che viveva da solo, pensava al suo frigorifero vuoto gli veniva il mal di stomaco dal nervoso, la nausea, e allora, per farsi passare il nervoso, mangiava un quadratino di cioccolata fondente o un biscotto integrale.



Marinai aveva una coppia di amici, marito e moglie, che abitavano vicino a Fiesole, alle Caldine, entrambi molto bravi in cucina, dei cuochi provetti, che, al contrario del suo, possedevano un frigorifero sempre pieno di ogni bendiddio, stracolmo di roba, infilata dentro il frigorifero a forza, pigiata, ammassata dappertutto, che faticavano a chiuderlo il frigorifero dalla quantità di beni gastronomici che conteneva. 
Di certo - s’immaginava Marinai - lo chiudevano a spallate il frigorifero oppure tenendo le braccia premute sullo sportello finché non sentivano il clic della chiusura. 
Ogni quindici giorni circa gli amici del Marinai erano soliti fare una spesa pantagruelica alla Coop; riempivano fino all’inverosimile un paio di carrelli e se ne tornavano a casa con sette, otto sacchetti gonfi di prodotti alimentari, che Marinai con quella roba lì ci avrebbe mangiato almeno due anni di seguito, a dir poco.
Sotto questo aspetto,  Marinai li invidiava molto i suoi amici delle Caldine, perché per lui rappresentavano il simbolo stesso dell’abbondanza, dello stare bene in salute, della liberazione dal bisogno di procurarsi del cibo e quando li andava a trovare la prima cosa che faceva, buttandola sullo scherzo, era di aprire il loro frigorifero e di riempirsi gli occhi con quello spettacolo di ricchezza inaudita, di benessere superlativo. 
La visione del frigorifero aperto dei suoi amici era per il Marinai un godimento immenso, straordinario, come osservare un quadro cubista o un'installazione per un amante dell’arte contemporanea, una scena esemplare, al limite del sensuale.
 Tutto ciò accadeva perché Gino Marinai, poco socievole di natura, odiava profondamente i supermercati, i centri commerciali, i grandi magazzini, le ipercoop e tutto quanto assomigliava a quelle super strutture infernali, odiava il rito del mettersi in fila davanti a una cassa e detestava ogni forma di caos riconducibile a un assembramento di consumatori, e perciò si guardava bene dal fare la spesa in quei non-luoghi assurdi, confuso fra quelle deliranti concentrazioni di braccia che si protendono freneticamente a carpire, smaniose, ogni tipo di mercanzia dagli scaffali. 
Ragione per cui, alla fine, il risultato era che il suo frigorifero rimaneva quasi sempre vuoto per lunghi periodi, cosa che lo gettava in uno stato di cupa afflizione.

 Quando in tarda età Gino Marinai morì, che alla fine pesava poco più di sessanta chili, la sorella minore che non lo frequentava ormai da tempo, pur vivendo nello stesso quartiere, solo due isolati più avanti, rimise piede nell’appartamento del fratello e trovò dentro il suo frigorifero - un Whirlpool ancora perfettamente funzionante, con tutte le lampadine e le spie accese - un accumulo disordinato di oggetti che nel vederli la sorella minore di Marinai si spaventò e ebbe come un mancamento.
 Messi lì alla rinfusa dentro il frigorifero c'erano:

 - una serie di pile di diversa grandezza nel posto solitamente riservato alle bottiglie;
- un gomitolo di lana azzurra;
 - una sveglia;
 - dei barattoli di vernice;
 - un ferro da stiro piccolo, da viaggio;
 - una sporta contenente delle mollette per i panni;
 - un’enciclopedia e un vocabolario della lingua italiana;
 - una radiolina;
 - una sciarpa ben ripiegata;
 - una scatola piena di candele;
 - una risma di carta ancora intatta;
 - un ventaglio spagnolo;
 - un mazzo di carte;
 - una boccetta di profumo da uomo;
 - un tubetto di dentifricio;
 - dell’acqua ossigenata;
 - un vasetto di vetro con delle chiavi dentro;
 - un portafotografie;
 - delle ricevute di bollette pagate;
 - un paio di occhiali con la montatura di tartaruga;
 - un sellino di bicicletta;
 - un calendario con la pubblicità di una marca di orologi.

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