Paolo Albani
LE MEDUSE CON L'OCCHIO DI LINCE
 

          

A un giovane aspirante scrittore che gli chiede consigli, Aldous Huxley, autore del famoso romanzo di fantascienza Il mondo nuovo (1932), raccomanda di comperare una coppia di gatti, di osservarli e di descriverli. Questo a testimonianza di come l’osservazione degli animali – anche di quelli più comuni, domestici – sia un’attività stimolante e suggestiva, fonte d’infinita meraviglia e di delizia.

   L’aneddoto è citato in Romanzi dettati dai grilli, racconto di Primo Levi contenuto nella raccolta di testi leviani dedicati agli animali Ranocchi sulla luna e altri animali, a cura di Ernesto Ferrero (Einaudi 2014). Perché Levi, oltre che straordinario scrittore, fu anche molte altre cose, come ricorda lo stesso Ferrero, e cioè: naturalista, etologo, antropologo, linguista e perfino brillante zoologo.

    In qualche modo è proprio al Levi studioso di animali che fa pensare il libro di racconti di Paolo Pergola Attraverso la finestra di Snell. Storie di animali e degli umani che li osservano, uscito da poco nella Piccola Biblioteca di Letteratura inutile, originale collana ideata e diretta da Giovanni Nucci per le Edizioni Italo Svevo. Intanto perché, al pari dello scrittore torinese, anche Pergola è uno scienziato, uno stimato biologo marino, che in questo libro riesce a saldare con intelligenza e sorvegliata cura l’ibridismo – scientifico e letterario – che lo contraddistingue, in una simbiosi capace d’incarnarsi in una scrittura piacevolmente divulgativa e a tratti anche umoristica.

     Di cosa parlano i racconti di Pergola? Sono storie curiose, in certi casi al limite del bizzarro, che hanno per protagonisti, come recita il sottotitolo, da un lato una serie di animali, tutti rigorosamente veri, e il loro non sempre noto comportamento, e dall’altro alcuni professori, per lo più statunitensi, che, con i loro assistenti, dottorandi e studenti, si prodigano in ricerche in prevalenza eseguite in territori esotici, studiosi tutti rigorosamente frutto della fantasia dell’autore, per quanto sicuramente ispirati a personaggi reali, incontrati dallo stesso Pergola durante i suoi numerosi viaggi di studio all’estero.

      Partiamo dalla fine, cioè dall’ultimo racconto, che dà il titolo al libro, in cui si spiega, in un serrato e divertente dialogo fra padre e figlio, che cos’è «la finestra di Snell», un fenomeno legato alle cubomeduse dei Caraibi che vivono tra le mangrovie e hanno diversi occhi in ognuno dei ropali, organi sensoriali posti sotto il loro ombrello. C’è un occhio che rimane sempre rivolto verso l’alto, puntato su una specie di cerchio illuminato, un cono di luce di circa novantasette gradi, appunto «la finestra di Snell», attraverso la quale le cubomeduse riescono a vedere le mangrovie che contengono il plancton di cui questi animali si nutrono.

     In un altro racconto si parla delle interazioni tra cernie e murene. Da brave opportuniste, alcune cernie vanno a caccia facendosi aiutare da altre specie, soprattutto murene, ma anche polipi. La cernia si piazza davanti alla tana di una murena; per stanarla comincia a vibrare il corpo a alta frequenza; quando la murena si degna di uscire, la cernia l’accompagna verso la preda, e il gioco predatorio è fatto.

    A proposito delle orche, Pergola ci svela come riescono a nutrirsi delle aringhe atlantiche. Una volta intercettato il banco delle arringhe, che per stare unite emettono dei peti, un suono tipo FRRR FRRRR FRRRR, le orche circondano il banco e a turno vi s’intromettono dentro, quindi cominciano a prendere a codate le arringhe che, tramortite, vengono mangiate; a ogni codata, segue un fragoroso boato.

    Alcuni studi, illustrati da Pergola, sarebbero degni di quei premi Ignobel annualmente assegnati a ricerche «strane, divertenti e perfino assurde», lavori improbabili che «prima fanno ridere e poi danno da pensare», come lo studio su Le basi della scelta dell’altezza da cui lasciar cadere le cozze, nelle cornacchie nord-occidentali. Le cornacchie lanciano le cozze da circa cinque metri d’altezza per romperle e per mangiarsele. E qui, per un simpatico cortocircuito, il pensiero va all’infelice morte di Eschilo, colpito da una tartaruga lasciata cadere da un’aquila che intendeva spezzarne il guscio sul cranio calvo e lucente, scambiato per una pietra, dello sfortunato poeta ateniese.

    Negli anni Cinquanta furono pescati e rilasciati, dopo averli misurati e marcati, alcuni squali di Groenlandia, racconta Pergola in un altro capitolo del libro. Dopo cinque anni uno di questi squali viene ricatturato e si constata che è cresciuto di soli cinque centimetri, una media di un centimetro all’anno. Poiché è uno squalo di cinque metri, il fatto che sia cresciuto così poco significa – secondo calcoli basati sulle curve di crescita di altri squali – che aveva un bel numero di anni, forse centinaia di anni, e perciò non è da escludere – è una congettura – che gli squali della Groenlandia abbiano potuto incrociare i drakkar, navi da guerra dei vichinghi, o le caravelle di Colombo in viaggio per le Americhe.

    Gli scarabei stercorari, durante le loro passeggiate, sono soliti ogni tanto montare in cima alla pallina di sterco che trascinano con fatica. Per scoprire il perché di tale comportamento, un ricercatore – scrive Pergola – inventa uno strano dispositivo: costruisce, usando del silicone, degli stivaletti da applicare alle zampe anteriori dello scarabeo allo scopo di verificare se è la sabbia rovente a provocare la sua insolita condotta, cosa che, dopo l’applicazione degli stivaletti, sembrerebbe plausibile.

     Le storie raccontate da Pergola mostrano una volta di più quanto siamo diversi dagli animali, il che non significa che siamo a loro superiori, per quanto un rinoceronte o un moscerino non abbiano mai scritto, almeno fino a oggi, un’opera paragonabile alla Divina commedia. Come umano, un colibrì è un disastro, non saprebbe mai avvitare una lampadina. Ma come colibrì, – s’interroga Pergola – cosa sappiamo fare noi? Non sappiamo né volare né succhiare il nettare da un fiore.

   

Domenica - Il Sole 24 Ore, 220, 11 agosto 2019, p. 33.

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