Non
ne posso più. Sono al limite della sopportazione. Oggi alla radio, per
l’ennesima volta, ho sentito il conduttore di una trasmissione culturale
(e sottolineo culturale) affermare candidamente dopo aver masticato un’allitterazione involontaria: «Scusate il gioco di parole».
Ma scusarsi di che? Di un gioco di parole? E perché
mai uno dovrebbe vergognarsi di aver fatto un gioco di parole? Ma siamo
impazziti! Ha qualcosa di sconveniente, di volgare, di stupido il gioco
di parole? Chi non perde l’occasione di far uscire dalla propria bocca
un piagnucoloso «Scusate il gioco di parole», sa quel che dice? Ha
coscienza della bestialità di cui è vittima?
Fosse per me, adotterei provvedimenti drastici, in
ogni circostanza, contro i responsabili della diffusione di una frase
tanto disonesta e inopportuna. Fastidiosa persino all’udito. Multe
salate, carcere preventivo, punizioni corporali, confino su un’isola
sperduta in mezzo all’oceano Atlantico, a circa 1.900 km dalla costa
dell’Angola.
Lo so che non è politicamente corretto, ma dopo aver
sentito per la milionesima volta il ritornello «Scusate il gioco di
parole», affibbierei all’odioso pentito di turno, se l’avessi a portata
di mano, un sonoro scappellotto sulla nuca. Che gioia!
La misura è colma: stilerò una petizione, un
Manifesto per sensibilizzare l’opinione pubblica contro l’uso della
bieca formuletta, così da metterla al bando. Niente più «Scusate il
gioco di parole». Vietato pronunciarla. Legittimarla. Canonizzarla.
Spero vi aderiranno gli intellettuali più sensibili e fuori dal coro,
pagherò a mie spese, grazie a un prestito bancario o a una colletta fra
amici e parenti, lo spazio sui più importanti quotidiani nazionali per
far conoscere la mia battaglia.
Aveva ragione Giampaolo Dossena a dire che «il gioco resta circondato dal discredito
in molti ambienti». (1) Questo discredito ha un’eco ben rintracciabile,
si riflette, in modo chiaro, nella codarda affermazione di chi,
scivolato su un gioco di parole non previsto, si affretta vigliaccamente
a chiedere scusa.
Uno parla in pubblico – supponiamo al microfono di una radio –,
snocciola tranquillo un discorso e gli scappa di mettere in fila queste
parole: «Ammesso e non concesso che il sesso ecc. ecc.», dopo di che fa
subito marcia indietro, sfodera l’imbarazzante e non più tollerabile
rituale fraseologico, «Scusate il gioco di parole», o «Scusate il
bisticcio», che è la stessa cosa, una variante che nulla cambia al senso
del futile rammarico.
Provate a dirlo a Gino Patroni (1920-1992), il più
grande epigrammista italiano, che vi scusate per un gioco di parole, lui
che fece arrabbiare il premio Nobel Salvatore Quasimodo con questi
versi:
Mensa popolare
Una
zuppa
di
verdura
ed
è
subito
pera. (2)
Una volta Patroni è con Gianni Brera, assistono a una
partita di calcio, entrambi sono giornalisti sportivi. A un certo punto
Patroni si avvicina a Brera e gli sussurra all’orecchio: «Orsù!». Brera
lo guarda stranito, si aspetta che all’esortazione segua un concetto.
Non segue nulla. «Orsù cosa?!» lo incalza Brera. E Patroni: «Una
famiglia di orsi recentemente scoperta in Sardegna».
Ditelo a Patroni, se avete il coraggio, che vi
scusate per essere caduti nella trappola diabolica di un gioco di
parole, e vediamo come reagisce lui.
Gino Patroni (1920-1992)
E se vi sembra troppo di parte o partigiano Patroni
(qui sento il sopraggiungere al galoppo di un nuovo mortificante
«scusate il gioco di parole»), chiedetelo pure all’Orbo Veggente,
Gabriele D’Annunzio, che riempie «Di spruzzi, di sprazzi» la poesia L’onda, (3) o scomodate, se preferite, il compassato Eugenio Montale, il cui anagramma è uomo inelegante, che si lascia prendere la mano e sforna nella poesia I nascondigli II, echeggiando il Vate di Pescara, il verso «e solo la spuma entrava a spruzzi e sprazzi». (4)
Credete che i due, D’Annunzio e Montale, sommi poeti,
si scuserebbero per questi -uzzi e questi -azzi che stridono fra loro,
che fanno scintille?
Manco per il cazzo, mi verrebbe da dire, se mi passate il gioco di parole.
Note
(1) Giampaolo Dossena, Note all’edizione italiana, in Roger Caillois, I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine, traduzione dal francese di Laura Guarino, Bompiani, Milano 19892, pp. 229-245.
(2) Gino Patroni, Il meglio di Gino Patroni. Epigrammi editi e inediti, memorie di vita, prefazione di Arrigo Petacco con uno scritto di Ettore Alinghieri, Longanesi, Milano 1994, p. 32.
(3) Gabriele D’Annunzio, Versi d’amore e di gloria, edizione
diretta da Luciano Anceschi, a cura di Annamaria Andreoli e Niva
Lorenzini, introduzione di Luciano Anceschi, 2 voll., Mondadori, Milano
1982-1984, vol. 2, p. 537.
(4) Eugenio Montale, Tutte le poesie, a cura di Giorgio Zampa, Mondadori, Milano 1984, p. 701.
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Testo edito da FUOCOfuochino, la casa editrice più povera del mondo, nel maggio 2024 con una prefazione di Michele Mellara che potete leggere cliccando qui.
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Questo racconto, con il titolo
(Non) scusate il gioco di parole, esce
sulla «Domenica de il Sole 24 ore»
del 16 giugno 2024 a p. XI.