Paolo Albani

L’ELEFANTINO DI DÜSSELDORF

 

           


C’è una storia poco conosciuta che ha sfiorato, per quanto solo di striscio, Angelo Fortunato Formíggini (1878-1938), il grande editore di Collegara, frazione di Modena, che venne espulso dal Liceo Galvani di Bologna per aver scritto e stampato nel 1896, lo stesso anno in cui Alfred Jarry componeva il suo Ubu Roi, il poemetto La divina farsa. Ovvero la descensione ad inferos di Formaggino da Modena nel quale, al pari del padre della ‘Patafisica, satireggiava professori e compagni di scuola.





       Nel 1914, a Genova, Formíggini edita un libro di William Mackenzie (1877-1970), biologo, filosofo e parapsicologo inglese, nato e vissuto per lo più in Italia, docente di filosofia biologica all'Università di Genova dal 1939 al 1945. Nel testo di Mackenzie, intitolato Nuove rivelazioni della psiche animale (da esperimenti dell’autore), si racconta, al fine di avvalorare la tesi dell’intelligenza animale, il caso dei «cavalli calcolatori e pensanti di Elberfeld» di proprietà del negoziante di bigiotterie Karl Krall (1863-1929), divenuti famosi perché eseguivano calcoli complicati quali l'estrazione fino alla radice quinta di numeri a più cifre, e quello di Rolf, un terrier scozzese di tre anni passato alla storia col nome di «cane ragionante» poiché la bestiola, addestrata dalla sua padrona, la signora Paula Moekel di Mannheim, era in grado di contare e rispondere a domande complesse.

    Una curiosità: nel racconto «Nuove rivelazioni della psiche umana. L’uomo di Mannheim», uscito ne La spada (1942), Tommaso Landolfi ha fatto una esplicita parodia del libro di Mackenzie («uno "scherzo" in "perifrasi"» l'ha chiamata Sanguineti) rovesciando il ruolo dei protagonisti: nel racconto landolfiano gli esperimenti condotti dall’on. Onisammot Iflodnal, arzebeigiano, riguardano infatti l’«Uomo di Mannheim», il cui nome è Tommy o Tom, e la tesi che si vuole dimostrare è che, al pari dei cani, anche l’uomo sente, pensa e comunica le proprie idee.

         Ma torniamo a Formíggini. Nella «Nota dell’editore», premessa al libro di Mackenzie, Formíggini dice di essersi recato nell’estate 1913 nella «simpaticissima città di Elberfeld» per vedere con i propri occhi i famosi cavalli e di esser stato accolto con premurosa cortesia dal Signor Krall che «non si occupa quasi più della sua azienda: l’ha affidata ad un suo figliuolo, ed egli vive e lavora soprattutto per i suoi allievi, dei quali parla con entusiasmo e con grande amore». Arriviamo così al punto che c’interessa. Formíggini riferisce di aver chiesto a Krall se abbia tentato di istruire altri animali oltre ai cavalli e Krall gli risponde che «possiede anche un piccolo elefante, il quale è però “sgarbato e biricchino”».

      È noto che gli elefanti vengono addestrati per vari scopi: lavori di fatica, trasporto di persone o finiscono nei circhi equestri dove divertono il pubblico eseguendo difficili esercizi come alzarsi sulle zampe (la cosiddetta «verticale»), inginocchiarsi e camminare sulle ginocchia, sdraiarsi e altri ancora.

       L’affermazione di Krall che il suo piccolo elefante era «sgarbato e biricchino» farebbe pensare che l’animale, per colpa del suo caratteraccio, non sia stato mai addestrato. In realtà, da un articolo a firma di Fulbert von Buttel uscito sul numero 7 del 1914 della Tierseele, zeitschrift für vergleichende seelenklunde, rivista fondata dallo stesso Krall, apprendiamo che «Dudo», questo il nome dell’elefantino [qui sotto in una rara fotografia scattata nel 1913], fu venduto da Krall a un certo Jann Fuchs, imprenditore edile di Düsseldorf con la passione per la psicologia animale, che cercò di dimostrare la tesi dell’intelligenza animale ingegnandosi a far compiere a Dudo le stesse (o quasi) operazioni che la signora Moekel aveva sperimentato con il suo terrier Rolf.




      Poiché Dudo, pur essendo ancora piccolo, pesava più di due tonnellate, Fuchs predispose un pannello quadrato di ferro (cm 40x40) così da permettere all’animale di batterci sopra con la zampa sinistra (come faceva anche Rolf), naturalmente in modo delicato, visto che Fuchs, quando lavorava con l'elefantino, teneva il pannello in mano. In pratica Fuchs insegnò a Dudo un linguaggio tiptostenografico in cui a ogni lettera corrispondeva un ben definito numero di colpi. Piano piano, come si apprende dall’articolo di von Buttel, l’animale iniziò a formulare varie risposte come «Fame», «Stanco», «Dudo nervoso», «Padrone buono», «Camminare», «Fare il bagno», eccetera, a fronte di altrettante precise domande.

     A un certo punto del suo articolo von Buttel riprende dal libro di Mackenzie (quello pubblicato da Formíggini nel 1914) i parallelismi esistenti fra i fenomeni dei cavalli di Elberfeld e quelli del cane di Mannheim, ovvero la potente memoria, le facoltà aritmetiche superiori a quelle dell’adulto umano medio, eccetera, e anche, cosa in apparenza sorprendente, l’umorismo.

      A proposito di quest’ultima qualità, von Buttel riporta la relazione fatta da Mackenzie di una seduta con Rolf svoltasi il 19 settembre 1912 alle ore 9,30. Mackenzie chiede al cane: «Lavori tu volentieri?» Rolf risponde decisamente: «No!» «Ma allora, se non lavori volentieri, perché lavori?» chiede ancora Mackenzie. «Debbo!» è la risposta di Rolf. «Se devi, vuol dire che non lavorando succede qualche cosa che vuoi evitare. Che cosa succede dunque se non lavori?» insiste Mackenzie. E Rolf risponde: «Botte!» A questo punto la famiglia Moekel che assiste alla seduta insorge e protesta vivacemente affermando che Rolf non è mai stato picchiato. Ma Rolf, commenta il biologo inglese, sembra molto soddisfatto della sua risposta e scodinzola allegramente. È evidente, scrive Mackenzie al termine della seduta, l’intenzione umoristica che ha dettato quella risposta.

    L’umorismo di Dudo, se così possiamo chiamarlo, ebbe un effetto non altrettanto divertente, osserva von Buttel. Sembra che gli elefanti siano molto sensibili alle vibrazioni che le loro zampe producono quando toccano il suolo; alcuni studiosi hanno ipotizzato che quelle vibrazioni siano dei veri e propri segnali, insomma che gli elefanti abbiano un loro linguaggio particolare che si esprime attraverso quelle vibrazioni. Così una volta, racconta von Buttel, di fronte alla domanda del suo padrone che gli chiedeva: «Puoi esprimere lo stesso concetto in un altro modo?», Dudo sollevò la zampa sinistra e con estrema violenza la scaraventò sul pannello di ferro che Fuchs teneva sollevato con le due mani; un gesto impulsivo, intenzionato con ogni probabilità  a far capire al suo istruttore, come in seguito si affrettò a spiegare lo stesso Fuchs, che era quello, per l'elenfantino di Düsseldorf, un altro modo di esporre lo stesso concetto, e cioè battere violentemente la zampa sul terreno.    

        Nell’incidente Fuchs si frantumò i polsi e i piedi, maciullati entrambi dall’urto rovinoso del pannello di ferro. Da quel giorno, per quanto malvolentieri, l’imprenditore di Düsseldorf decise di non portare più avanti l’addestramento di Dudo.


maggio 2013




Questo testo è uscito su il Caffè illustrato, 70/71, gennaio-aprile 2013, pp. 6-7.
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Si trova anche nel mio libro intitolato Fenomeni curiosi,
eBook pubblicato da Quodlibet nel 2014.



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