A (S)PROPOSITO
DELL’INTROVABILITÀ
Ogni volta
che sento parlare di «libri introvabili», come nel caso
degli eccezionali libri futuristi raccolti da Echaurren, a me vengono
in mente, per una strana associazione d’idee, gli «oggetti
introvabili» di Carelman, ad esempio la caffettiera del
masochista che ha l’unico manico dal lato del beccuccio o il fucile per
canguri con la canna ondulata, modellata in senso ergonomico
sull’andamento saltellante dei canguri.
Ma in fondo, a pensarci su, l’associazione d’idee con gli oggetti di Carelman non è poi così stravagante come sembra, anche perché i libri, compresi quelli preziosi, rari, che nessuno ha mai visto in giro e che il bravo bibliofilo cerca come un segugio nei luoghi deputati - bancarelle, librerie specializzate, biblioteche di collezionisti, ecc. - senza mai lasciarsi scoraggiare, anche i libri, dicevo, sono degli oggetti, dei marchingegni con una forma peculiare, un aspetto fisico, una corporalità che ha la sua importanza, come no. «Quando le mie mani scelgono un libro da portare a letto o sulla scrivania, per passare il tempo in treno o per fare un regalo,» - scrive Alberto Manguel, noto in Italia soprattutto per un bellissimo Manuale dei luoghi fantastici in collaborazione con Gianni Guadalupi - «ne prendono in considerazione non solo il contenuto, ma anche la forma. A seconda dell'occasione e del luogo in cui voglio leggere, le mie preferenze andranno a qualcosa di piccolo e grazioso, oppure di grande e sostanzioso». Ma c’è un’altra associazione d’idee, altrettanto curiosa, che mi scatta quando sento parlare di «libri introvabili», e riguarda gli «scrittori introvabili». In questo caso, com’è ovvio, trattandosi di libri e di scrittori, il legame è molto più stretto e convincente. Il fatto è che ogni tanto, da qualche parte nel mondo, uno scrittore scompare, fa perdere le sue tracce e esce di scena, quasi sempre in silenzio. È un fenomeno raro, d’accordo, ma qualche volta succede che uno scrittore, vinto da un destino inesorabile, si volatilizzi nel nulla come un puntino luminoso che d’improvviso si spegne nella notte, in lontananza, che uno scrittore sparisca gettando nello sconforto i propri familiari, gli amici e anche i lettori più affezionati. Fra i casi di scrittori dissoltisi nel nulla, celebre resta quello dello statunitense Ambrose Bierce (1842-1913?), autore di un delizioso e irriverente Dizionario del diavolo. Nel novembre del 1913, da El Paso, Bierce raggiunge l'esercito rivoluzionario di Pancho Villa vicino a Chihuahua in Messico. Dalla città messicana spedisce il 26 dicembre 1913 la sua ultima lettera, dove parla di guerra. Dopo di che scompare nel nulla. Da allora una lunga serie di storie fantastiche si propagano intorno a lui: c’è chi lo vuole suicidatosi nei pressi del Grand Canyon e quindi mai entrato in Messico, chi ritiene sia stato ucciso in battaglia al seguito delle truppe di Villa, chi sostiene che lo abbiamo fucilato i villisti come spia, ecc. Per altri invece è in Inghilterra, consigliere di Lord Kitchener durante la guerra mondiale, o rinchiuso in un ospedale psichiatrico. Le supposizioni sono durate più di vent'anni, ma non si è mai trovata alcuna traccia di Bierce. Così come lo mostrano le fotografie, Arthur Cravan (1881-1919?) è un omone alto più di due metri, i cui occhi hanno spesso un'espressione vaga e strana, un gigante che preferisce «di gran lunga la boxe alla letteratura». Fondatore di una piccola rivista, Maintenant, che vende trasportandone le copie su un carretto da fruttivendolo ambulante, Cravan è nipote di Oscar Wilde, di cui dice, quando già lo scandaloso zio è sulla soglia della vecchiaia: «L'adoravo perché assomigliava a un grosso animale». Dopo vari pellegrinaggi - nel 1916 a Madrid è messo al tappeto al primo round da Jack Johnson, il primo boxeur nero campione del mondo; nel marzo 1917 tiene a New York una conferenza sull'humour, ma viene arrestato perché, completamente ubriaco, comincia a svestirsi - Cravan si trasferisce in Canada e poi in Messico dove sposa la poetessa Mina Loy, fa il professore di ginnastica e ogni tanto s'inventa delle conferenze sull'arte messicana. Una notte, nel 1919, prende il largo dal golfo del Messico a bordo di un piccolo scafo per un viaggio da cui non farà più ritorno. Anche lui, come Bierce, svanisce nel nulla. Nell'Antologia dello humoir nero, Breton attribuisce a Cravan «una concezione del tutto nuova della letteratura e dell'arte, simile a quella che potrebbe avere, nel campo del bello spettacolo, un lottatore da fiera o un domatore». Anche il poeta statunitense Hart Crane (1899-1932?), dopo essersi imbarcato a Veracruz per raggiungere New Orleans, sparisce come Cravan - incredibile coincidenza- nel golfo del Messico. «L'ultimo a vederlo» racconta Enrique Vila-Matas in Bartleby e compagnia, «fu John Martin, un commerciante del Nebraska che chiacchierò con lui di questioni banali sul ponte della nave fino a quando Crane nominò Montezuma e il suo volto assunse un'allarmante aria d'umiliazione. Cercando di dissimulare la sua improvvisa tetraggine, Crane cambiò immediatamente argomento e chiese se era vero che c'erano due New Orleans. "Che io sappia," disse Martin, "c'è la città moderna e quella che non lo è." "Io andrò in quella moderna per poi da lì camminare verso il passato," disse Crane. "Le piace il passato, signor Crane?" Non rispose alla domanda. Si allontanò lentamente, ancora più cupo di qualche secondo prima. Martin pensò che, se lo avesse incontrato di nuovo sul ponte, gli avrebbe chiesto di nuovo se gli piaceva il passato. Ma non lo vide più, nessuno rivide Crane, si perse negli abissi del Golfo». Nell'agosto del 1927, il 17 o forse il 18 di quel mese, Johannes Theodor Baargeld, pseudonimo di Alfred Grünwald, pittore e scrittore tedesco, tra i principali animatori del gruppo Dada a Colonia, che da anni ormai non dipingeva più, durante l'ascesa dell'Aiguille de Bionnassay nelle Alpi francesi, scomparve nella neve travolto da una valanga. Sembra - non ricordo più dove ho letto questo aneddoto - che il giorno prima della disgrazia, seduto al tavolo di un rifugio, davanti a un gran numero di boccali di birra sia vuoti che pieni, Grünwald abbia aggredito verbalmente alcuni alpinisti con i quali aveva intavolato un'animata discussione sul senso dell'arte urlando loro questa frase: «Dada vi seppellirà tutti!» Un caso diverso è quello di Jerome David Salinger. A differenza degli scrittori dileguatisi nel nulla, Salinger ha vissuto nascosto da qualche parte, in un rifugio segreto, e ha continuato a scrivere. Dopo il clamoroso successo de Il giovane Holden, Salinger ha semplicemente deciso di sparire, di ritirarsi a vita privata, quindi di non rilasciare più interviste e di non pubblicare più (a parte un lungo racconto in forma epistolare apparso sul New Yorker nel 1997). «Pubblicare è una cosa brutta, molto brutta» ha detto una volta Salinger. «Accadono un sacco di spiacevoli imprevisti quando si pubblica. Io probabilmente sarei molto più felice se non avessi mai pubblicato. C'è una certa pace intorno quando non si pubblica quello che si scrive». Forse è per questo che Salinger ha scelto di restarsene in silenzio, un silenzio volontario, programmato, ossessivamente difeso fino alla sua morte. L'elenco degli scrittori scomparsi nel nulla include naturalmente anche quelli che si sono eclissati contro la loro volontà, ovvero che sono stati costretti al silenzio per ragioni politiche o razziali, di cui non si sono mai ritrovati i corpi, inghiottiti nei lager nazisti o nei gulag sovietici o desaparecidos nelle carceri di un qualche paese dell'America Latina governato da una giunta militare. Esiste infine una figura di scrittore anomalo la cui «introvabilità» risiede nel fatto, decisamente atipico nel panorama letterario, di non aver mai scritto un libro, o quasi. Valga per tutti l’esempio straordinario di Roberto Bazlen, detto Bobi, triestino, colto lettore in particolare di letteratura tedesca e stimato consulente editoriale di molte case editrici italiane fra cui Bompiani, Einaudi e Adelphi. Amico di Joyce, Saba e Montale, è grazie alle sue scelte che si sono conosciute in Italia le opere di Freud, Kafka e Musil. Nella sua vita Bazlen non pubblicò mai un libro. Ecco, in estrema sintesi, sono queste le cose che, per una strana associazione d’idee, mi vengono in mente ogni volta che sento parlare di «libri introvabili», di libri come quelli, futuristicamente elettrizzanti, che Echaurren ha raccolto con tanta passione e accuratezza setacciando da par suo bancarelle e sarchiando robivecchi. Postfazione al libro di Pablo Echaurren, Gli introvabili. Futurismo shock, a cura di Massimo Gatta, introduzione di Andrea Kerbaker, Bibliohaus, 2011, pp. 81-86. Per leggere la recensione al libro fatta da Stefano Salis su Domenica de Il Sole 24 ore del 4 dicembre 2011 cliccate qui. Per andare al menu delle mie prefazioni, postfazioni e affini cliccate qui.
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