Paolo Albani
LA POESIA
COME ESERCIZIO DIVERTENTE
E LA LETTERATURA POTENZIALE
Il gioco di parole è l’escremento
dell’ingegno
che vola.
[...]
Tutto quanto c’è di più nobile, di più sublime
e
incantevole
nell’umanità, e forse oltre l’umanità,
ha fatto dei giochi di parole.
Victor Hugo, I miserabili
1. Com’è noto, l’idea delle parole come strumenti attraversa
il pensiero del «secondo Wittgenstein». «Pensa agli strumenti
che si trovano in una cassetta di utensili:» - scrive Ludwig Wittgenstein
nel paragrafo 11 delle Philosophische Untersuchungen (Ricerche filosofiche)
(1953) - «c’è un martello, una tenaglia, una sega, un cacciavite,
un metro, un pentolino per la colla, la colla, chiodi e viti. - Quanto
differenti sono le funzioni di questi oggetti, tanto differenti sono le
funzioni delle parole».
Ogni segno, da solo, sembra morto, aggiunge Wittgenstein. Si anima
e prende vita soltanto nell’uso che ne viene fatto. Dunque ciò che
le parole designano è rivelato dal modo del loro uso.
2. Per esaltare l’uso particolare riservato alle parole in campo
poetico ovvero per illuminare quel lato della ricerca poetica che si caratterizza
come lavoro sul linguaggio può essere interessante soffermarsi sull’esperienza
dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), gruppo fondato
nel 1960 a Parigi da François Le Lionnais e Raymond Queneau, composto
di letterati e ricercatori scientifici, fra cui Noël Arnaud, André
Blavier, Italo Calvino, Harry Mathews, Georges Perec, Jacques Roubaud.
Dovendo trattare degli «utensìli della poesia»,
quale migliore osservatorio che un vero e proprio «opificio letterario»,
un’officina dove si manipolano, si smontano, si combinano in modo originale
le parole e si forgiano strutture per la produzione di testi letterari?
Storicamente l’Opificio di Letteratura Potenziale nasce nell’ambito
di una delle numerose Sottocommissioni di Lavoro del Collegio di ‘Patafisica,
accademia dello sberleffo e della fumesteria istituita l’11 maggio 1948
sempre a Parigi da un cenacolo di letterari, artisti e poeti depositari
della ‘patafisica, scienza delle soluzioni immaginarie, del particolare
e delle leggi che governano le eccezioni, teorizzata da Alfred Jarry in
Gestes et opinions du docteur Faustroll. Pataphysicien. Roman néo-scientifique
pubblicato postumo nel 1911.
Il carattere “potenziale” della letteratura praticata dall’OuLiPo risiede
nel fatto che si tratta di una letteratura ancora inesistente, ancora da
farsi, da scoprire in opere già esistenti o da inventare attraverso
l’uso di nuove procedure linguistiche, una letteratura mossa dall’idea
che la creatività, la fantasia trovano uno stimolo nel rispetto
di regole, di vincoli, di costrizioni (contraintes) esplicite, come
ad esempio quella di scrivere un testo senza mai usare una determinata
lettera (lipogramma). La costrizione è strumento creativo, che amplifica
le probabilità di raggiungere soluzioni originali, bizzarre: l’essere
«costretti» a seguire certe regole induce uno sforzo di fantasia;
la costrizione non restringe l’orizzonte delle strategie narrative dello
scrittore, al contrario ne allarga le «potenzialità visionarie»,
paradossalmente è «un inno alla libertà d’invenzione»,
capace, come ha scritto Calvino, «di risvegliare in noi i demoni
poetici più inaspettati e più segreti». Senza dimenticare
che esiste sempre la possibilità di «une légère
dérive» in grado di distruggere il sistema stesso delle costrizioni,
uno scarto giocoso e liberatorio che Perec ha chiamato clinamen (nella
fisica epicurea, una deviazione spontanea degli atomi). Già in Alfred
Jarry troviamo un riconoscimento dell'importanza de «la bête
imprévue Clinamen» di Epicuro, filosofo che per primo ha osato
mettere «un'indeterminazione» al centro di ogni possibile spiegazione
del mondo.
Se la letteratura è un gioco combinatorio che segue le possibilità
implicite nel proprio materiale, indipendentemente dalla personalità
del poeta, va detto anche, con Calvino, che tale gioco ad un certo punto
si carica di significati inattesi, di effetti imprevisti (il clinamen perechiano),
come nel procedimento del gioco di parole.
La letteratura non si risolve in un problema d'ispirazione discesa
da chissà quali altezze o d'intuizione pura o di rispecchiamento
delle strutture sociali o di presa diretta della psicologia del profondo,
come vogliono le varie estetiche del novecento. Essa, come sottolinea Calvino,
è piuttosto «un'ostinata serie di tentativi di far stare una
parola dietro l'altra seguendo certe regole definite, o più spesso
regole non definite né definibili ma estrapolabili da una serie
di esempi o protocolli, o regole che ci siamo inventate per l'occasione
cioè che abbiamo derivato da altre regole seguite da altri».
In uno scritto intitolato «Avanguardia letteraria» (in:
Il
rumore sottile della prosa, Milano, Adelphi, 1994, pp. 72-77), Giorgio
Manganelli definisce gli scrittori d’avanguardia «puntigliosi escogitatori
di artifici, un poco pedanti, intelligenze naturalmente inclini agli aspri
e lucidi gaudi dell’acrostico, dei tecnopegnia, dei glifi, intenti agli
austeri estri combinatori del linguaggio», definizione che aderisce
bene a quella dello scrittore di letteratura potenziale.
Per Manganelli gli scrittori d’avanguardia sono «letterati in
quanto fanno letteratura d’artificio», a suo dire «l’unica
che sia legittimamente denominabile letteratura. L’amore delle combinazioni
improbabili, la scelta e la coltivazione di sintassi ostiche, ardue, inospiti;
insomma, la scelta delle strutture, di strutture arbitrarie e rigorose».
L’idea manganelliana di «una letteratura come artificio; fatto non
sentimentale, non privato, e nemmeno demonico, non morale, non sociale,
ma sommamente arbitrario e, insieme, rigoroso» è molto in
sintonia con quella oulipiana.
«A mio avviso» - continua Manganelli - «si dà
propriamente letteratura solo dove ci troviamo di fronte a strutture [...]
Non si scrivono poesie e romanzi per parlare direttamente al lettore, né
per coprirlo della tenera fanga dei nostri sentimenti, né per educarlo
a nobili sentimenti: ma, al contrario, perché, pur leggendo parole
che potrebbero essere in diversi contesti anche sentimentalmente attive,
le scorga nel loro valore strutturale, come ordine, disegno, organismo
impersonale; anche macchina». In conclusione - scrive Manganelli
- «la letteratura, ben lungi dall’esprimere la ‘totalità dell’uomo’,
non è espressione, ma provocazione; non è quella splendida
figura umana che vorrebbero i moralisti della cultura, ma è ambigua,
innaturale, un poco mostruosa. Letteratura è un gesto non solo arbitrario,
ma anche vizioso: è sempre un gesto di disubbidienza, peggio, un
lazzo, una beffa; e insieme un gesto sacro, dunque antistorico, provocatorio».
Certo, se non si vuole produrre soltanto degli automatismi formali
di mera tradizione manieristica spingendo il pedale delle permutazioni
molteplici, bisogna - come ammonisce Giambattista Vicàri, promotore
di quel formidabile laboratorio culturale che fu la rivista il
Caffè - proporsi sempre di ordire una burla alla ricerca
dell'imprevisto, come insegnano Carlo Emilio Gadda, Aldo Palazzeschi, Antonio
Delfini e per l'appunto Calvino e Queneau.
Gli scrittori oulipiani sono dei «topi che costruiscono da sé
il labirinto da cui si propongono di uscire». Quale labirinto? Quello
delle parole, dei suoni, delle frasi, dei paragrafi, dei capitoli, dei
libri, delle biblioteche, della prosa, della poesia.
Come scrive Le Lionnais nei due Manifesti (1973) di letteratura
potenziale l’OuLiPo si propone di intraprendere un lavoro, sistematico
e scientifico, sull’efficacia e la vitalità delle strutture letterarie
e artistiche artificiali. Nelle ricerche - ingenue, artigianali e divertenti
- dell’Opificio si possono distinguere due tendenze principali: una analitica
che si applica a opere del passato per cercarvi possibilità spesso
insospettate dagli autori e una sintetica rivolta ad aprire nuove vie,
ignote agli scrittori precedenti, grazie all’aiuto di tecniche matematiche
ed esplorando tutti gli aspetti formali della letteratura: costrizioni,
programmi alfabetici, consonantici, vocalici, sillabici, fonetici, prosodici,
rimici, ritmici e numerici. Lo scopo, per dirla con Queneau, è quello
di «proporre agli scrittori nuove “strutture”, di natura matematica
oppure inventare nuovi procedimenti artificiali o meccanici, contribuendo
all’attività letteraria: supporti dell’ispirazione, per così
dire, oppure, in un certo senso, un aiuto alla creatività».
Queneau insiste sul carattere «divertente» dei «giochetti
oulipiani» perché diverte chi stupisce ovvero chi riesce a
mostrare un aspetto sorprendente, inatteso, nuovo, inusitato del codice
linguistico, generando nel lettore sorpresa e spaesamento, concetti cari
ai surrealisti e ai formalisti russi.
Lo spirito che contraddistingue gli «esercizi letterari»
dell’OuLiPo è molto vicino a quello che presiede la creazione dei
“ready made” di Marcel Duchamp che, per altro, fu membro corrispondente
del gruppo francese e morì oulipiano. Come si è detto, nell’officina
oulipiana si parte spesso da un testo “già fatto”, “trovato”, esistente,
per metterne in luce le proprietà latenti, i significati potenziali
attraverso varie tecniche combinatorie. Per Marcel Duchamp anche i giochi
di parole sono dei “ready made”, delle presenze oggettive, “trovate”, il
cui senso, al di là dell’apparenza banale, va ricavato e che, pur
restando latente, conferisce all’oggetto come alla frase quell’aura che
lo nobilita. Con i giochi di parole Duchamp vuole riscattare la parola
scontata, ovvia, mostrandone la bellezza attraverso un processo di spostamento
più o meno astratto: introducendo una parola familiare in un’atmosfera
diversa, si ottiene qualcosa di paragonabile alla distorsione in pittura,
qualcosa di sorprendente e di nuovo, significati inattesi collegati all’interrelazione
di parole disparate. Al pari dell’accostamento di due oggetti differenti
(come una ruota e uno sgabello), così anche quello fra due parole
diverse provoca degli effetti di sorpresa innescando un cortocircuito della
fantasia capace di mettere in luce le proprietà latenti di una parola
o di un giro di frase.
Fra i numerosi giochi letterari elaborati dagli oulipiani ricordiamo:
a) la letteratura definizionale: si parte da una frase qualsiasi
e si sostituisce a ogni parola la definizione che ne dà il vocabolario;
b) il metodo S + 7 che consiste nel sostituire a ogni sostantivo
di una frase di partenza il settimo sostantivo successivo in ordine alfabetico
di un vocabolario;
c) l’omosintattismo: si scrivono le parole di una frase una
per una in colonna, sulla sinistra di un foglio; in una colonna centrale
se ne fa l’analisi grammaticale; quindi in una terza colonna a destra si
scrive una nuova frase che corrisponde parola per parola all’analisi grammaticale,
ma totalmente diversa dalla frase di partenza.
La letteratura “sous contraintes”, arte combinatoria per eccellenza,
annovera fra le sue perle in prosa, formanti ormai un repertorio classico,
romanzi come La disparition (1969), scritto senza mai usare la lettera
“e”, Les revenentes (1973), scritto invece usando solo la lettera
“e”, e La vie mode d’emploi (1978) di Georges Perec, Il castello
dei destini incrociati (1973) e Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979)
di Italo Calvino, La belle Hortense (1985) di Jacques Roubaud.
A fianco dell’OuLiPo sono nati poi l'OuLiPoPo (Ouvroir de Littérature
Policière Potentielle), l'OuCuiPo (Ouvroir de Cuisine Potentielle),
l'OuPeinPo (Ouvrier de peinture potentielle), l’OuMuPo (Ouvroir de Musique
Potentielle) e l’OuCinéPo (Ouvroir de Cinéma Potentielle).
Senza disdegnare opere di teatro e di altri “generi” espressivi, l’OuLiPo
opera anche nel campo informatico attraverso l’ALAMO (Atelier de Littérature
Assistée par la Mathématique et les Ordinateurs), fondato
nel 1982 da Paul Braffort e Jacques Roubaud.
Il gruppo produce testi di «carattere generale» - come
La
littérature potentielle. (Création Re-créations Ré-créations)
(1973) e Atlas de littérature potentielle (1981), firmati
entrambi con la sigla “OuLiPo”, e poi OuLiPo 1960-1963 (1980) di
Jacques Bens e La Bibliothèque Oulipienne (1981), a cura
di Jacques Roubaud - e pubblica ne «La Bibliothèque Oulipienne»
delle plaquettes, in seguito raccolte in volume - i fascicoli da 1 a 52
in 3 volumi presso l’editore Seghers nel 1990 e quelli da 53 a 62 in un
volume presso l’editore Castor Astrol nel 1997.
Naturalmente l’OuLiPo
ha un sito on line e organizza delle letture pubbliche in place Jussieu
a Parigi chiamate “Les jeudis de l’OuLiPo”.
[3. Paragrafo dedicato agli esempi di poesia oulipiana.]
[4. Paragrafo dedicato all'esperienza “oulipiana” in Italia.]
Per riassumere l’humus, lo «spiritello irriverente» che
accomuna molte delle esercitazioni oulipiane possiamo avvalerci del verso
finale di una famosa poesia del Palazzeschi futurista:
e lasciatemi divertire!
* * *
Relazione tenuta al convegno su "Gli utensili della poesia", svoltosi a
Duino l'11, 12 e 13 giugno 1999.
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