Paolo Albani
IL DISTACCO
Anatol riappese il ricevitore. Pensò:
l'obbligo
dell'autore è scomparire.
Enrique
Vila-Matas
Nel
mondo letterario accadono
fenomeni strani,
fenomeni all'apparenza inspiegabili: ogni tanto ad esempio uno
scrittore
scompare nel nulla. Fa perdere le sue tracce, esce di scena, quasi
sempre
in silenzio. A un certo punto, preso per mano da un destino
inesorabile,
uno scrittore sparisce, si rende irreperibile e nessuno sa dove sia
andato
a finire. Si eclissa come un puntino luminoso che d'improvviso si
spegne
nella notte, in lontananza.
È un fenomeno raro, ma accade. Uno scrittore si assenta
da casa e non ritorna più. Restano un mistero il suo distacco,
la
sua scomparsa, il perché e il come si sia
allontanato
d'improvviso, il più delle volte in punta di piedi, senza
lasciare
un biglietto, uno straccio di spiegazione, una postilla che permetta di
capire il suo gesto, di darsene una ragione.
Qualche volta succede che uno scrittore scompare nel nulla. E
allora chi gli ha vissuto accanto, chi lo ho frequentato nella vita
privata,
e anche i suoi lettori, i più fedeli (specie se si tratta di uno
scrittore famoso), restano lì, esterrefatti, spiazzati, a fare
congetture,
ipotesi, supposizioni. A chiedersi perplessi: «Ma perché?
Ma come?», a costruire castelli di domande, a snocciolare dubbi,
perché in fondo la scomparsa di uno scrittore è un evento
che getta nello sconforto, che inquieta, e non può essere
altrimenti.
Fra i casi di
«scrittori dissoltisi nel
nulla», celebre
è quello dello statunitense Ambrose Bierce (1842-1913?), autore
di un delizioso e irriverente Dizionario del diavolo. Nel
novembre
del 1913, da El Paso, Bierce raggiunge l'esercito rivoluzionario di
Pancho
Villa vicino a Chihuahua in Messico. Dalla città messicana
spedisce
il 26 dicembre 1913 la sua ultima lettera, dove parla di guerra. Dopo
di
che scompare nel nulla.
«Storie fantastiche si propagano intorno a lui»,
commenta Brian St. Pierre, «e, data l'inclinazione macabra dei
suoi
scritti, furono prese per vere. Era in Sud America, era in Inghilterra,
consigliere di Lord Kitchener durante la guerra mondiale, era in un
ospedale
psichiatrico... Le supposizioni durarono per vent'anni, ma non venne
mai
trovata alcuna traccia di Bierce».
Così come ce lo mostrano le sue fotografie, Arthur Cravan
(1881-1919?) è un omone alto più di due metri, i cui
occhi
hanno spesso un'espressione vaga e strana, un gigante che preferisce
«di
gran lunga la boxe alla letteratura». Fondatore di una piccola
rivista, Maintenant,
che vende trasportandone le copie su un carretto da fruttivendolo
ambulante,
Cravan è nipote di Oscar Wilde, di cui dice, quando già
lo
scandaloso zio è sulla soglia della vecchiaia: «L'adoravo
perché assomigliava a un grosso animale». Dopo vari
pellegrinaggi
(nel 1916, a Madrid, è messo al tappeto al primo round da Jack
Johnson,
il primo boxeur nero campione del mondo; nel marzo 1917 tiene a New
York
una conferenza sull'humour, ma viene arrestato perché,
completamente
ubriaco, comincia a svestirsi) Cravan si trasferisce in Canada e poi in
Messico dove sposa la poetessa Mina Loy, fa il professore di ginnastica
e ogni tanto s'inventa delle conferenze sull'arte messicana. Una notte,
nel 1919, prende il largo dal golfo del Messico a bordo di un piccolo
scafo
per un viaggio da cui non farà più ritorno. Anche lui,
come
Bierce, svanisce nel nulla.
Nell'Antologia dello humoir nero, Breton gli attribuisce
«una concezione del tutto nuova della letteratura e dell'arte,
simile
a quella che potrebbe avere, nel campo del bello spettacolo, un
lottatore
da fiera o un domatore».
Anche il poeta statunitense Hart Crane (1899-1932?), dopo essersi
imbarcato a Veracruz per raggiungere New Orleans, sparisce nel golfo
del
Messico (ancora il Messico, che assurge drammaticamente a luogo di
sparizioni
letterarie per eccellenza!).
«L'ultimo a vederlo» racconta Enrique Vila-Matas
in Bartleby e compagnia (2000), «fu John Martin, un
commerciante
del Nebraska che chiacchierò con lui di questioni banali sul
ponte
della nave fino a quando Crane nominò Montezuma e il suo volto
assunse
un'allarmante aria d'umiliazione. Cercando di dissimulare la sua
improvvisa
tetraggine, Crane cambiò immediatamente argomento e chiese se
era
vero che c'erano due New Orleans. "Che io sappia," disse Martin,
"c'è
la città moderna e quella che non lo è." "Io andrò
in quella moderna per poi da lì camminare verso il passato,"
disse
Crane. "Le piace il passato, signor Crane?" Non rispose alla domanda.
Si
allontanò lentamente, ancora più cupo di qualche secondo
prima. Martin pensò che, se lo avesse incontrato di nuovo sul
ponte,
gli avrebbe chiesto di nuovo se gli piaceva il passato. Ma non lo vide
più, nessuno rivide Crane, si perse negli abissi del
Golfo».
Il caso di Jerome David Salinger è un po' diverso da
quelli
fin qui descritti. A differenza degli scrittori dileguatisi nel nulla,
per lo più, come si è visto, davanti alle coste del
Messico,
sappiamo che Salinger esiste, è ancora vivo, nascosto da qualche
parte, in un rifugio segreto, e che continua a scrivere. Dopo il
clamoroso
successo de Il giovane Holden, Salinger ha semplicemente deciso
di sparire, di ritirarsi a vita privata, quindi di non rilasciare
più
interviste e di non pubblicare più (a parte un lungo racconto in
forma epistolare apparso sul New Yorker nel 1997).
«Pubblicare
è una cosa brutta, molto brutta» ha detto una volta
Salinger.
«Capitano un sacco di spiacevoli imprevisti quando si pubblica.
Io
probabilmente sarei molto più felice se non avessi mai
pubblicato.
C'è una certa pace intorno quando non si pubblica quello che si
scrive».
Forse è per questo che Salinger ha scelto di restarsene
in silenzio, un silenzio volontario, programmato, ossessivamente
difeso.
L'ultima foto che ci rimane di lui, una foto famosa che ha fatto il
giro
del mondo, lo ritrae all'uscita di un ipermercato del New Hampshire
mentre
spinge un carrello della spesa.
L'elenco potrebbe continuare includendo nella nostra bizzarra
casistica gli scrittori scomparsi per ragioni politiche o razziali, di
cui non si sono mai ritrovati i corpi, inghiottiti nei lager nazisti,
nei
gulag sovietici o desaparecidos nelle carceri di un qualche
paese
dell'America Latina retto da un governo militare.
A proposito del fenomeno
degli «scrittori
scomparsi nel
nulla», non tutti sanno che un precursore di questa insolita
figura,
del letterato che si volatilizza come un fantasma, un'ombra illusoria,
un libro senza pagine, è il poeta australiano Norman Steele
(1830-1872?),
un agricoltore che ha sempre vissuto in un sobborgo della sua
città
natale, Brisbane, affacciata sulla costa orientale dell'Australia, un
uomo
dalle «sopracciglia folte come un cespuglio nel deserto» e
dai modi gentili, forse ereditati da un'aristocratica bisnonna inglese,
autore fra l'altro di un poema intitolato Anything new in prospect?
e di una commedia sulla pena di morte.
Nel giorno in cui festeggiava il suo quarantaduesimo compleanno,
il 26 luglio 1872, Steele fece recapitare a un certo numero di persone
- parenti stretti, amici ed estimatori (fra di essi anche la moglie
Mary
e i tre figli Bernard, Isabel e Patrick) - un «Atto di
disgiunzione»
(Act of disjunction) con il quale dichiarava perentoriamente il
suo meditato desiderio di non voler vedere più nessuno.
Il giorno dopo aver spedito quel documento, Steele si
allontanò
da casa, in compagnia - sembra - del suo cane da pastore Nick, senza
portarsi
via niente, nessun oggetto personale. Dal suo guardaroba -
dichiarò
la moglie alla stampa - non mancava un solo indumento, né un
paio
di calzini né un vestito. Da allora, nonostante le ricerche
della
polizia che durarono alcuni mesi e quelle di un detective privato - un
certo Godwin Tompkins di Melbourne - ingaggiato dalla moglie, di lui
non
si seppe più nulla.
Fra le sue carte, «custodite in un disordine
metafisico»
sulla scrivania di un piccolo studio la cui unica finestra guardava su
immenso campo di granturco, verso le montagne della Nuova Inghilterra,
non furono trovati biglietti di addio, né tracce di poesie
inedite
né alcun documento di carattere letterario.
L'ultimo scritto che Norman Steele lasciò ai posteri
fu quell'«Atto di disgiunzione», a tutela del proprio
desiderio
di scomparire.
Repertorio n.
26662
Raccolta n. 13181
ATTO DI DISGIUNZIONE
Queensland, Australia
Regno di Gran Bretagna
Addì 29 luglio 1872
L'anno milleottocentosettantadue,
il giorno ventinove del mese
di luglio
in Brisbane, nel mio studio, posto al numero 54 di Doublet Street,
avanti
a me si è presentato il signor Norman Steele, nato a Brisbane il
26 settembre 1830, da Sally Mitchell e Ned Steele, residente a
Brisbane,
634 Howard Street, di professione agricoltore, poeta a tempo perso, il
quale nella piena funzione delle proprie facoltà mentali
di voler rendere esecutiva la sua
ferma decisione di non
vedere più,
a partire dalla data posta in calce, tutti (nessuno escluso) i suoi
parenti,
conoscenti, amici o sedicenti tali.
Con il presente «atto di disgiunzione», il
dichiarante afferma categoricamente di recedere da ogni forma di
rapporto,
collegamento, adiacenza, contiguità, accostamento, contatto
(epistolare,
fisico e di qualsiasi altro tipo in occasione di eventi specifici come
cene per anniversari, compleanni, feste religiose, visite a musei,
mostre,
conferenze, vacanze, spettacoli teatrali, incontri di pugilato, serate
al pub e simili) con il genere di persone sopra indicato.
In particolare, il dichiarante esprime la sua profonda e
irremovibile
volontà di non intrattenere più alcuna relazione
con
i seguenti individui:
Mary
Steele
Bartholomew
Lubbock
Bernard
Steele
Angelica
Elgar
Isabel
Steele
Cindy
MacArthur
Patrick
Steele
Philip
Freeman
Hank
Bullogh
Amy
Siddons
Priscilla
Albermarle Zachariah Fulton
Donald
Jeffers
Gilbert
Palgrave
Nigel
O'Brien
Melanie
Finn
Alfie
Drinkwater
Deborah Robins
Nancy
Sullivan
Nathaniel
O'Connell
Gabriel
McKinley Christabel Aldrich
Doreen
Felding
Annie
Edgeworth
Seymour
Sinclair Polly
Nicolson
Paul
Marquand
Arthur
Radcliffe
Geoff
Anstey
Virginia
Burbage
Peter
Walker
Carrie
Erskine
Oliver
Mitchell
Nancy
Lowell
Sophia
Mitchell
Rupert
Gilder
Carol
Anderson
Primrose
Langton
Michael
Ellwood Morgan
Fulton
Sandi
Lundy
Margot
Reeve
In virtù del
documento in questione, le sopra
menzionate
persone sono inibite, per sempre e senza possibilità
di
deroga, dal perpetrare qualsivoglia tentativo di approccio (nelle
forme
sopra specificate e in tutte quelle immaginabili) con il dichiarante,
pena
l'immediata denuncia alle competenti autorità giudiziarie.
Richiesto io Notaio ho ricevuto questo atto che ho letto al
comparente il quale, da me interpellato, lo approva come conforme alla
Sua volontà.
Consta di due pagine e della terza sin qui, scritte da persona
di mia fiducia ai sensi di legge, su di un solo foglio.
In
fede
Il
notaio
agosto 2004
________________________________________
Il testo è uscito nel mio La governante di Jevons.
Storie di precursori dimenticati,
Campanotto, Udine 2007.
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