Quando Gian Franco Gasparini mi ha parlato della Rolling School e del
progetto intitolato «la manutenzione del quotidiano», mi sono ricordato
che sul quotidiano, cioè sulla vita di tutti i giorni segnata spesso da
un senso di noia e da una disarmante coazione a ripetere, avevo qualche
tempo fa sviluppato una riflessione filosofica un po’ – non vi sembri
presuntuoso – alla maniera di Martin Heidegger il cui modo di ragionare
segue quasi sempre un ritmo stilistico in cui si alternano domande e
risposte.
La riflessione era questa.
Quando in un determinato contesto
storico e spaziale io dichiaro in modo perentorio: «Mi sono rotto i coglioni», che cosa intendo dire esattamente con
questa lapidaria quanto singolare affermazione? Per cercare di rispondere
all’interrogativo evitando di arenarsi in vuote e farraginose disquisizioni,
converrà partire da un
approfondimento del significato della prima parte dell’espressione in oggetto e
cioè «Mi sono rotto».
Procedendo per approssimazioni successive
sarà opportuno domandarsi subito: quale senso dobbiamo
attribuire all’iniziale e iniziatico «Mi sono»? Un primo
livello di spiegazione investe il ruolo del pronome «mi»,
classico sostituto del nome che in forma atona o debole esprime la
prima persona singolare. Com’è noto esso corrisponde alla forma
tonica o forte «me» e dunque rimarca senza alcun dubbio che
il soggetto della frase è un «io», per quanto
mascherato da un «mi» avente valore di semplice
indicazione. Dove conduce questo ragionamento? Ci porta a dire che sono
io a essermi rotto, e non un io diverso da me oppure un astratto quanto
illogico «non-io»; da ciò ne consegue che sono
proprio io a pormi come soggetto coscientemente interprete di uno stato
d’animo che in questa fase analitica preliminare possiamo a grandi
linee definire di «rompimento».
Che cosa simboleggi il concetto di rompimento lo
vedremo meglio in seguito.
Intanto cominciamo con lo specificare che la parola
«rotto» è il participio passato del verbo
«rompere» che in una prima accezione significa:
«spezzare, spaccare, dividere qualcosa in più parti
specialmente con la forza», ma possiede anche altri significati,
ad esempio in senso figurato può voler dire «non
rispettare, violare un obbligo morale, non tener fede».
È sufficiente questo approccio semantico? No,
non lo è per il semplice fatto che il verbo
«rompere» nella frase in questione è intransitivo
pronominale. Che cosa comporta quest’ulteriore specificazione
grammaticale? Comporta semplicemente che il verbo oggetto della nostra
analisi va assunto tenendo conto delle sue proprietà, ovvero
della sua corretta configurazione morfologica che si concreta nella
parola «rompersi», il cui ausiliare è il verbo
«essere»; ciò che in definitiva spiega formalmente
la declinazione del sopraindicato «Mi sono rotto» da cui
siamo partiti.
Che cosa implica tutto questo? Implica un diverso
significato del verbo in esame che, preso ancora una volta in senso
figurato, l’unico che riesca sotto ogni aspetto a soddisfare i criteri
di un’efficace disambiguazione linguistica, fa sì che
«rompersi», data la specificazione derivante dal
complemento oggetto «coglioni», sia equiparabile a
«seccarsi, arrabbiarsi, averne abbastanza».
Ma in che senso i coglioni illuminano il significato
ultimo del verbo «rompersi» nella frase: «Mi sono rotto i coglioni» di
cui stiamo cercando di sviscerare le potenzialità assertive?
Proviamo per un attimo a spostare il ragionamento su
un piano comparativo. Se io dico: «Mi sono rotto una
gamba», qual è l’informazione standard che viene veicolata
al destinatario del mio messaggio? È chiaro che in questo caso
il verbo «rompersi» si delinea come quella parte del
discorso riferibile specificatamente a un’azione particolare,
esclusiva, ovvero all’azione che ha provocato la rottura fisica,
materiale della mia gamba (resta qui indifferente se ciò sia
imputabile a una caduta da cavallo, a un colpo ricevuto durante una
partita di calcio o a un altro fattore x).
Ora la questione estremamente delicata che si pone
è la seguente: la rottura di una gamba, in qualunque modo essa
sia stata causata, detiene di per sé la stessa valenza
cognitiva, lo stesso grado di verifica empirica di una rottura di
coglioni? In altri termini gamba e coglioni sono entrambi riconducibili
a un'unica, invariante tipologia di rottura? La verità è
che i coglioni citati nella frase «Mi sono rotto i
coglioni», sebbene identificabili con la parte anatomica del
corpo maschile comunemente denominata «testicoli», hanno in
questo particolare sintagma un valore metaforico.
A cosa allude l’uso metaforico dei coglioni?
Principalmente al fatto che la rottura dei coglioni non va intesa in
termini letterali; perciò quando si pronuncia la frase «Mi sono rotto i coglioni» non
significa che si sia verificata una reale frattura dei coglioni in
quanto ghiandole sessuali maschili preposte alla formazione degli
spermatozoi, ma soltanto che essi, rappresentanti ideali dello stato
d’animo del soggetto di cui sono attributi, si sono platonicamente
rotti nel senso che hanno esaurito la loro riserva di
sopportabilità e tolleranza ambientale, fenomeno che
costituisce, ecco il punto cruciale della nostra analisi, l’ontologia
stessa del rompimento di coglioni.
"cessati spiriti", pezzi sparsi di mondo, 21, almanack, scepsi & mattana editori, agosto 2021, p. 14.