Paolo
Albani
LA CUCITURA
L'intervento riuscì
perfettamente. Era la prima volta che
un intervento del genere veniva eseguito, non solo in un ospedale
italiano,
ma nel mondo. Ne parlarono diffusamente i giornali e le televisioni. Un
articolo in terza pagina del New York Times mise in risalto, da
un lato, l'estrema ricercatezza della tecnica chirurgica impiegata (per
vari aspetti innovativa, precorritrice), dall'altro si soffermò
sulle conseguenze imprevedibili, specie sul piano psicologico, cui
possono
andare incontro i pazienti sottoposti a simili operazioni, senza
dimenticare
- aggiungeva l'articolista - gli interrogativi etici che tali imprese
sollevano,
rendendo ancor più problematica la loro accettazione da parte
degli
ambienti scientifici e dell'opinione pubblica.
Fu un intervento complesso, che durò 34 ore, e, per quanto
ben riuscito, mise a dura prova la capacità professionale,
ampiamente
riconosciuta a livello internazionale, dell'equipe del professor Carlo
Smuraglia, primario della Clinica Chirurgica I dell'Ospedale Niguarda
Ca'
Granda di Milano.
All'inizio, quando Alfonsina Lotti e Giuliano Brogi, lei
originaria
di un paesino della Basilicata, lui torinese puro, entrambi maestri di
scuola elementare, conviventi da più di vent'anni, senza figli,
in una villetta di loro proprietà nella periferia di Vigevano,
si
presentarono nello studio del professor Smuraglia, questi rimase
interdetto.
La richiesta era insolita, sbalorditiva.
- Spero ci abbiate riflettuto bene, è una scelta
difficile,
direi drammatica - esordì il professor Smuraglia, fugato il
primo
attimo di sconcerto. - Una volta effettuato l'intervento, dando per
scontato
che sia fattibile, cosa su cui nutro forti dubbi, le possibilità
di tornare indietro, voglio dire di riacquistare lo stato iniziale,
sono
quasi nulle, troppo pericolose. E poi, non siete più giovani, -
proseguì assumendo un'aria impensierita - e questo complica non
poco la faccenda, capite no?
Seduti su delle poltroncine
imbottite di stoffa rossa, vestiti
con una certa eleganza, particolare che, nel caso di Giuliano Brogi,
contribuiva
ad addolcirne i lineamenti spigolosi del volto, i due insegnanti
ascoltavano
in silenzio, con l'aria di chi è sereno, tranquillo, e allo
stesso
tempo fortemente motivato, risoluto, di chi ha effettuato una scelta
ormai
irremovibile e non si lascia smontare facilmente.
Da tempo, con un candore quasi infantile, disarmante, che
rasentava
la paranoia, i due insegnanti avevano deciso di mettere in pratica un
loro
«progetto esistenziale», se così possiamo chiamarlo,
e si erano convinti a tal punto della bontà di quel progetto,
che
ormai niente sembrava in grado di farli cambiare idea, nemmeno i
rilievi
critici del professor Smuraglia che pure, nel suo campo (i trapianti),
era una celebrità.
Per Alfonsina Lotti e Giuliano Brogi la soluzione da loro stessi
indicata al primario dell'ospedale Niguarda, era alla fin fine la
più
ragionevole, l'unica che, a livello di pelle, sentivano capace di
tradurre
in realtà quel progetto. Che poi, ridotto ai minimi termini, si
riassumeva nel desiderio (che non era un affare da poco, bensì
un'aspirazione
temeraria) di chiudere con il passato, di voltare pagina e proiettarsi
in avanti verso il raggiungimento di un «nuovo stile di
vita»,
l'attuazione di un sogno - con quel briciolo di utopismo velleitario
che
spesso i sogni si portano dietro condannandoli al limbo delle ambizioni
fallite - accarezzato fin dal giorno in cui erano andati a vivere
insieme.
Di quel «nuovo stile di vita», pieno di buone
intenzioni,
di sani ideali nutriti di solidarietà, di aiuto reciproco, di
sostegno
affettivo, da sperimentare - dicevano - in primo luogo all'interno del
rapporto di coppia, ne avevano parlato a lungo, giornate e notti
intere,
nella villetta comprata alla periferia di Vigevano, dimenticandosi a
volte
anche di mettersi a tavola, andando avanti solo a caffè e
pasticcini,
tanto erano presi dall'euforia della discussione.
Di fronte allo scetticismo
del medico, alle sue riserve, i due
insegnanti si limitarono a sorridere; lanciandosi delle occhiatine
ambigue,
uniti da una complicità che, a momenti, sembrava sprizzare un
che
di diabolico, di perverso.
A un certo punto, mentre il professor Smuraglia, impettito dietro
una fratina restaurata del seicento, continuava ad ammucchiare le sue
obiezioni,
una sopra l'altra, in un cumulo poderoso di dubbi, e a scrutarli
diffidente,
pensando tra sé: «Ma questi, chi me li ha mandati?»,
Alfonsina Lotti e Giuliano Brogi, candidi come due fidanzatini, dissero
quasi all'unisono:
- Per quanto ci riguarda, noi siamo pronti.
- La vostra vita cambierà radicalmente, - riprese il
professor
Smuraglia, che non si dava per vinto e insisteva, da medico scrupoloso,
nella sua opera di dissuasione, sotto sotto anche un po' infastidito
dall'atteggiamento
serafico, al limite della sfrontatezza, dei suoi interlocutori. - Ne
saranno
sconvolte le vostre abitudini. Non potrete più insegnare in
classi
diverse, ci avete pensato? E avete pensato anche al fatto che
sarà
più facile trasmettervi le malattie? E gli abiti? Quanto vi
costerà
farli su misura? Sembra una sciocchezza, ma... Dovrete imparare a
gestire
i movimenti del vostro corpo, anche i più elementari, i
più
banali, in modo nuovo, artificioso. Tutto diventerà più
complicato
e finirà per crearvi seri problemi. Del resto non abbiamo
esperienze
di vita di altre coppie da cui trarre insegnamento, di coppie nella
vostra
condizione, cioè in quella... - e qui il professor Smuraglia
ebbe
come un attimo di sbandamento, s'ingarbugliò nell'esposizione -
si capisce... in quella futura... ipotetica... da voi desiderata,
sempre
che sia tecnicamente realizzabile.
Le puntigliose argomentazioni del professor Smuraglia caddero
nel vuoto. Il terzetto si lasciò con una vaga promessa. Nulla di
stabilito. La questione era troppo delicata, ardua, e non soltanto dal
punto di vista chirurgico, per essere risolta in fretta, al termine di
quel colloquio.
Ci vollero circa due anni
al professor Smuraglia per studiarsi
attentamente il caso, insieme ai suoi collaboratori. Dopo interminabili
riunioni, prove di laboratorio, test sulla base di modelli matematici e
simulazioni, l'equipe del professor Smuraglia giunse infine a
individuare
una soluzione chirurgica affidabile, quella che, sotto il profilo della
sicurezza, offriva i margini più ampi.
Poiché Alfonsina Lotti e Giuliano Brogi appartenevano
allo stesso emogruppo (del resto avevano preso la loro decisione anche
sulla base di questa circostanza), non si pose il problema di rendere
compatibile,
di omogeneizzare il loro sangue, questione che, come si può ben
intuire, avrebbe impedito l'intervento. Dopo di che i medici
stabilirono,
fra le altre cose, che la connessione migliore, cioè la linea
della
saldatura che implicava i rischi minori sul piano emorragico, rischi
legati
a un possibile distacco dei collegamenti introdotti a livello dei
tessuti
e delle vene, e che al contempo garantiva la più alta
flessibilità
motoria, avrebbe dovuto investire, secondo i calcoli effettuati, gran
parte
dell'estensione delle braccia e delle gambe contigue dei due soggetti,
incluso un piccolo segmento dei rispettivi fianchi, in un tratto
situato
fra la cresta iliaca e l'area del coccige.
L'operazione fu un
capolavoro di ingegneria chirurgica. Dopo un
lungo periodo di convalescenza, trascorso in un centro di
riabilitazione,
costantemente seguiti dai medici dell'Ospedale Niguarda e personalmente
dal professor Smuraglia che prese a cuore il loro caso, Alfonsina Lotti
e Giuliano Brogi iniziarono con entusiasmo la loro nuova vita, in quel
nuovo stato di apparentamento corporeo.
E lo fecero contenti di poter assolvere finalmente insieme -
all'inizio con qualche inevitabile impaccio, però senza mai
perdersi
d'animo - tutte le funzioni che prima dell'intervento svolgevano da
soli,
separati, in tempi e in luoghi diversi, l'uno indipendentemente
dall'altro.
Adesso qualsiasi cosa avessero in mente di fare, li obbligava
a uno sforzo comune, a un tempo condiviso; ogni decisione - anche la
più
semplice come passeggiare in un giardino pubblico, prendere una penna,
defecare, fare la spesa in un supermercato, andare al cinema o mettersi
a letto - coinvolgeva entrambi, implicava un livello assoluto di mutua
corresponsabilità. Non esisteva più, fra loro, una
divisione
dei ruoli, una situazione per la quale uno dei due si sarebbe potuto
abbandonare
a un «Pensaci tu, che io sono impegnato in un'altra cosa»,
oppure a un «Ciao, me ne vado, ci vediamo stasera a cena».
D'altronde era questo che avevano sempre teorizzato, l'unione
della coppia (anche in senso fisico), una simbiosi perfetta quale
premessa
indispensabile alla realizzazione del «nuovo stile di vita»
su cui avevano speso tante belle parole.
Con una manovra non troppo difficile, piegando leggermente il
collo di lato e facendo ruotare all'indietro le braccia trasformate in
un unico arto, erano persino in grado, nonostante l'incollatura
laterale,
di darsi ancora dei baci, e di scambiarsi tenerezze, di palpeggiarsi su
tutto il corpo - effusioni che battezzarono, scherzandoci su, il
«nostro
tenero zig zig».
Una sola contrarietà, dopo l'intervento, venne a turbare
l'esistenza di Alfonsina Lotti e Giuliano Brogi, che per il resto
procedeva
in modo affiatato, armonioso. Un gesto che li ferì
profondamente,
e fu il rifiuto da parte dell'«International Siamese Twins
Association»
di accettare la loro domanda di adesione, rifiuto motivato con un
ragionamento
ineccepibile sotto il profilo strettamente scientifico, ma un tantino
capzioso,
privo di elasticità, sulle caratteristiche acquisite fin dalla
nascita,
sul primato indiscutibile della natura, e poi ancora sui legami di
sangue
e storie simili.
Loro ci tenevano molto ad essere accettati in quel gruppo, per
un fatto di appartenenza, di identità, di sintonia cosmica
(valori irrinunciabili al «nuovo stile di vita» che avevano
abbracciato), e quando arrivò la lettera
dell'«International
Siamese Twins Association» che respingeva la loro richiesta, ci
rimasero
male.
dicembre 2004
_________________________________________________________
Apparso su il Caffè illustrato, 23,
marzo-aprile
2005, p. 9.
Per tornare al sommario de il Caffè illustrato cliccate qui.
_____________________________________
Il racconto è uscito anche in
La governante di Jevons. Storie di precursori
dimenticati, Campanotto 2007.
HOME
PAGE TèCHNE RACCONTI
POESIA VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|