IL COLLEZIONISTA DI FRASI OSCURE Sul tema dell’oscurità
della Letteratura, quella
con la L maiuscola, si potrebbero spendere fiumi (non torbidi) di
parole.
Qui, però, ci accontentiamo di richiamare un passo di Giorgio
Manganelli,
tratto dall’Elogio dello scrivere oscuro, là dove si dice
che lo scrittore, avendo «a che fare con una qualche forma di
caos»,
è costretto a lavorare senza capire «a fondo quello che ha
scritto». La mia moglie era agli scappini, il garzone scaprugginava, la fante preparava la bozzima... Sono un murcido, veh, son perfino un po' gordo, ma una tal calma, mal rotta da quello zombare o dai radi cuiussi del giardiniere col terzomo, mi faceva quel giorno l'effetto di un malagma o di un dropace! e poi, appena due righe sotto, irrompe un altro sproloquio: Oggi traneuguale per indottone consebase al tresico imparte Montecitorio per altro non sparetico ndorgio, pur secministri e cognando, insto allegò sigrede al presidente interim prepaltico, non manifolo di sesto, dissesto: Reagan, si può intervento e lo stava intemario anche nale perdipiù albato - senza stipuò lagno en sogno-la-prima di estabio in Craxi e il suo masso nato per illuco saltrusio ma non sempre. Il 5 aprile dello stesso anno Gerardo trascrive, in una calligrafia limpida e vigorosa, un nuovo singolare frammento: È proprio siccome circassi io a mal d’esempio da tamigiaturga di prossenetarti a te. Ostrigotta, ora capesco! Mairavrei credutala così bassenta. Non l’hai scorta al suo varone, a dondolarsi su un vacillavimine, con un foglio spartito in samassi di sigle, come chi suonasse chissà quale anienia, su un villanacello senza groppa né lanciando il nekkerelogio, per arre ed ore, lo spunto, il mariggio e la bellandata, coi fatti in altro stato, la gola alla larga speloncata, con sbrindelloncini per dentispazzini, sciuperandosi in fame solitaria, ingiusto il decreto di corte marziale, la zazzera irta per mella ventura, le frangie cascantigli giù sugli uocchi, agognizzando la vista stellata, e i gambi di colza e le mute ondine, i villi nuovi, le civette vecchie, e tutta la meschia che gli valse Parogia. Nei giorni successivi, il quadernetto si arricchisce di altri testi ugualmente caotici, ingarbugliati. Fra questi, una breve poesia, a fianco della quale, in stampatello, Gerardo evidenzia, cerchiandola con la biro, la parola «SENSUALE»: sgrondone
leucocitibondo, pellimbuto di farcime, E ancora, preceduto dall’interrogativo «Che fanno i morzacacchi, i gloriconi?», appare, non meno illeggibile e misterioso degli altri, un ulteriore deragliamento di significati: Recusia estemesica! Altrinon si memocherebbe il persuo stisse in corisadicone elibuttorro. Ziano che dimannuce lo qualitare rumelettico di sabirespo padronò. E sonfio tezio e stampo egualiterebbero nello Squittinna il trilismo scernosti d'ancomacona percussi. Tambron tambron, quilera dovressimo, ghiendola namicadi coi truffo fulcrosi, quantano, sul gicla d'nogiche i metazioni, gosibarre, che piò levapo si su predomioranzabelusmetico, rifè comerizzando per rerare la biffetta posca o pisca. Dopo di che, fino
all’ultima pagina, il racconto si dipana in
una selva di brani sconnessi, impenetrabili, senza un apparente filo
logico,
ricopiati con estrema cura da Gerardo nel suo quadernetto che, con il
tempo,
si trasforma sempre più in un mosaico di assurde citazioni che,
lette una dietro l’altra, fanno girare la testa. Ina vota gh'era
in ommu/ Merlommu bestuccu e felidommu./
E l'eiva semenau d'in campu/ De migo panigo/ Besteccu felinigu./ U ghe
va la quaia merlaia/ Bestucca felinaia./ A ghe l'ha maniau tuttu./ Cosu
fa cust'ommu/ Merlommu bestuccu felidommu?/ U va da u so capiteru/
Merleru
besteccu felineru./ Cosa gh'ei u me ommu/ Bestuccu felidommu?
luglio 2003
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