Paolo Albani
LA CODA RITTA

           
   
Quello che mi preme affrontare in questa sede è un fenomeno indecente, moralmente deprecabile nei confronti del quale mi auguro maturi al più presto una ferma presa di posizione da parte dell’opinione pubblica e delle autorità competenti. Mi stupisce che ancora il problema non sia stato sollevato da coloro cui spetterebbe l’attuazione di un intervento correttivo e che nemmeno le gerarchie delle varie confessioni religiose, sempre così sollecite a stigmatizzare situazioni scandalose, al limite della tollerabilità etica, abbiano fatto sentire la loro voce. Francamente, come cattolico, già da tempo mi sarei aspettato una severa e chiara condanna da parte del Papa durante una delle sue omelie domenicali.

      Avete presente quei cani, in genere di taglia piccola, che hanno la coda ritta, alzata in perpendicolare, sovente attorcigliata in un ghirigoro strambo proiettato verso l'alto? Ecco quei cani lì hanno la coda in alto non perché siano a caccia di qualcosa o per manifestare sicurezza, no, hanno la coda così perché sono nati con questo bizzarro scherzetto di natura, l’hanno congenita la coda ritta verso il cielo o a forma di spirale, è una caratteristica della loro corporalità canina.

      Ho fatto una breve ricerca e ho appurato che i cani con la coda ritta verso l’alto non sono pochi.

      A parte il caso diffusissimo dei bastardi, fra quelli di razza c'è il Carlino, un cane di origine cinese simile a un bulldog, ma più piccolo, che emette, durante il respiro, un rantolo dal suono asmatico, come succede a molti cani con conformazione brachicefala (che hanno cioè il cranio più largo che lungo): la coda del Carlino è a ricciolo, ripiegata su se stessa e poggia sulla schiena della bestiola. Anche l'Akita, chiamato anche Akita Inu, una razza giapponese di cani da lavoro utilizzati sia per la guardia che per la caccia («inu» significa «cane» in giapponese), ha la coda arrotolata sul dorso. Il Basenji, detto anche «Cane del Congo», è una razza che proviene dall’Africa, le cui prime tracce si ritrovano in tombe e graffiti risalenti a cinquemila anni fa. Il primo esemplare fu introdotto in Europa nel 1934. Per molti secoli è stato utilizzato per seguire le piste e segnalare la presenza di prede o di animali feroci nelle vicinanze. Era di solito molto impiegato per la caccia alla piccola selvaggina. Anche il Basenji, noto e popolare nell’antico Egitto, prediletto da molti faraoni, presenta una coda arrotolata sul dorso. Lo stesso vale per il Chihuahua, cane di piccole dimensioni il cui nome è dovuto alla capitale dell'omonimo Stato messicano: la coda del Chihuahua è portata alta e a volte piegata verso il dorso. Stessa caratteristica a proposito della coda si ritrova nello Spitz, nello Shiba, nello Chow chow, nell’Alaskan malamute, nel Pomeriana e in tante altre razze canine.

    Molti cani poi, come il Doberman o l’Australian Terrier, hanno la coda mozzata dall’intervento dell’uomo oppure nascono come si dice «anuri», cioè senza coda (come lo Schipperke, il Cane da Pastore Catalano, il Welsh corgi pembroke, il Mudi, il Pastore Australiano, il Bovaro delle Fiandre, il Bovaro delle Ardenne e molte altre) o «brachiuri», cioè con coda corta (come l’Epagneul Breton, il Bovaro dell’Entlebuch, il Cane da pastore di Oropa): in tutti questi casi si riscontra lo stesso delicato problema che coinvolge le razze che hanno la coda ritta.

     Che cosa accomuna la razza dei cani come il Carlino a quelle con la coda tagliata o inesistente? Si potrebbe riformulare l’interrogativo in quest’altro modo: qual è il problema che drammaticamente deriva dalla posizione della coda dei cani?

        La risposta è facile da intuire: la coda ritta, arricciata sul dorso, mancante o mozzata che sia lascia impudentemente visibile a occhio nudo l’ano dell’animale, scopre in modo indecoroso una delle parti più intime e meno nobili del corpo canino (lo stesso varrebbe per l’uomo che però, salvo casi particolari come quelli, per altro esecrabili, che si verificano nelle colonie di nudisti o nei film pornografici, ha normalmente l’accortezza morale e il buon gusto di non mostrare in pubblico il suo buco del culo).

     Si obietterà che i cani, come tutti gli animali d’altronde, non sono mai stati abituati a indossare degli indumenti per nascondere i loro genitali, come facciamo noi da alcuni secoli a questa parte. Gli animali circolano nudi da quando sono al mondo, senza alcuna malizia, e nessuno ha mai avuto nulla da obiettare sulla loro nudità.

       Questo è un dato incontrovertibile.

      Però, io dico, c’è nudità e nudità, e alcune parti del corpo degli animali, il buco del culo in primo luogo, e specie nei cani che vivono a stretto contatto con l’uomo, che sono, come si dice, «il loro migliore amico», oggi come oggi, in tempi di un riscoperto senso del pudore e del decoro della figura umana, possono urtare la sensibilità di persone particolarmente virtuose e morigerate in fatto di costumi sessuali.

   Intendiamoci, non sto dicendo che per ragioni etiche o di rispetto ai soggetti emotivamente più sensibili (la cosiddetta «buona società») bisognerebbe coprire, occultare il buco del culo, che ne so, delle rane o quello delle galline, che per altro sono animali che vivono per i fatti propri, in stagni fuori dai centri abitati o dentro dei recinti, lontani dunque dai traffici e dalle passioni che sostanziano nel bene e nel male la convivenza umana.

      In altre parole non intendo lanciare una campagna moralistica e indiscriminata contro l’esibizione palese del buco del culo nel mondo animale tout court. Più ragionevolmente e modestamente vorrei soltanto si ponesse maggiore attenzione da parte di tutti sul caso specifico e mirato (almeno per ora) di quei cani, bastardi e di razza (di cui all’inizio abbiamo offerto un piccolo, ma significativo campionario), che per ragioni anatomiche legate alla conformazione della loro coda lasciano in bella vista e alla luce del sole il buco del culo, che in quanto tale − e solo questo mi preme sottolineare − può costituire motivo di turbamento in certi ambienti sani, non sempre ben tutelati dalla società civile (si pensi in particolare agli adolescenti e alle donne) che credo sia giusto, comunque si affronti questa materia, vadano garantiti e protetti.

    Al riguardo, dico io, basterebbe attivare in virtù di un’apposita legge gli ambulatori veterinari e obbligare i proprietari dei cani che hanno il buco del culo vistosamente scoperto a sottoporre le loro bestiole a un piccolo e indolore intervento chirurgico (non si tagliano forse assurdamente le code di certi cani, come abbiamo già visto?), il cui costo sarebbe a carico della collettività. L’applicazione di mutande sulle parti intime dell’animale sarebbe, a conti fatti, antieconomica.

   L’intervento, ove necessario, servirebbe a ristabilire nell’amico più fedele dell’uomo, causa dell’involontaria offesa al pubblico pudore legata all’ostentazione del buco del culo, un comportamento decente e accettabile da tutti, qualunque sia la condizione sociale, la razza, la fede religiosa e politica di appartenenza.

       Fatta chiarezza su questo scottante problema, mi domando: perché il nuovo Papa, che ha fama di essere un innovatore e un capo spirituale di larghe vedute, non si è ancora pronunciato su di esso, magari coinvolgendo nella condanna dei cani con il buco del culo scoperto anche il suo omologo, il Patriarca della chiesa ortodossa?

 
luglio 2017

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