Paolo
Albani
L'ANIMA DEI CALZINI
Nel 1935, a Vienna, il professor
Peter Kien, illustre studioso di sinologia,
nonché appassionato bibliofilo, custode di una biblioteca
personale
formata da più di venticinquemila volumi, mise a punto le basi
di
una nuova disciplina da lui coraggiosamente denominata Caratteriologia
dei pantaloni (Charakterologie nach Hosen). Scopo di questa
insolita
materia, come si arguisce dal titolo, è dedurre da una serie di
dati sui pantaloni (colore, tipo di stoffa, pregio, altezza dal suolo,
buchi, larghezza, rapporto con le scarpe, macchie e loro natura) il
carattere
e la professione di coloro che li indossano.
All’argomento Kien si applicò per un lungo periodo condensando
alla fine i suoi sforzi in un saggio corredato da un’«Appendice
sulle
scarpe» («Anhang über die Schuhe»), scritto –
come
lui stesso c’informa - «con la massima facilità nel giro
di
tre giorni».
Per la sua ricerca Kien trascorse gran parte delle giornate
dell’inverno
del 1935 a sorvegliare i movimenti degli inquilini del palazzo in cui
viveva,
attraverso uno spioncino collocato a mezzo metro da terra. In questo
modo
vide sfilare davanti ai suoi occhi pantaloni di ogni genere, alcuni
dalla
forma dimessa, senza piega, tenuti con umile cura, pantaloni che davano
poco importanza a se stessi e tradivano una certa intelligenza; altri
con
un aspetto più tagliente e rigoroso disegnavano con il pavimento
un angolo acuto.
I pantaloni
tipici del ladro assassino - osserva Kien
nel suo studio - sono sformati alle ginocchia, soffusi del riflesso
rossiccio
del sangue ormai sbiadito, animati da sgradevoli movimenti compiuti al
loro interno, viscidi e logori, gonfi, scuri, ripugnanti.
Qualche anno dopo la
pubblicazione dello scritto di Kien, e forse -
come alcuni sostengono - da esso influenzato, appare sempre a Vienna un
libretto del filosofo e pittore Gottfried Schlimm intitolato L’anima
dei calzini (Die Seele der Söckchen), riscoperto grazie alla
premurosa
e infaticabile passione per la cultura mitteleuropea di Alba Frosini,
docente
di Letteratura e Lingua tedesca all’università di Bologna, che
ne
ha curato la traduzione italiana presso l’editore Rumma di Ancona (pp.
IX + 67, Euro 18,00).
Schlimm è un fanatico dell’eleganza, - scrive la Frosini
nella prefazione a L’anima dei calzini - un dandy che si
atteggia
a pensatore raffinato, che accomuna la vita elegante all’«arte di
spendere il proprio reddito da uomo di spirito», un esteta per il
quale l’elegantologia è una «scienza che ci insegna
a non far nulla come gli altri, pur sembrando far tutto come
loro»,
definizioni riprese fedelmente dal Traité de la vie
élégante
di Balzac, testo che lo stesso Schlimm ha tradotto in tedesco per una
rivistina
di poesia, arte e spettacolo, Die Meistersinger (I maestri
cantori),
pubblicata a Linz nel maggio del 1934, e non andata oltre il primo
numero.
Per tutta la vita Schlimm ha inseguito tenacemente un unico modello
di perfezione. Un modello che lo ha portato per tutta la vita a
dipingere
calzini, sempre e solo calzini, al pari di ciò che fece, molti
anni
più tardi, Clément Cadou con i mobili (cfr. il saggio di
Georges Perec, Ritratto dell’autore visto come un mobile, sempre,
che figura anche, al n. 56, in MIRABIBLIA. Catalogo ragionato di
libri
introvabili, Bologna, Zanichelli, 2003).
Calzini nelle posizioni più disparate: sopra una sedia; dentro
una cesta di panni sporchi; sul pavimento o sopra un letto in
disordine;
appesi a un filo, come ginnasti a testa in giù, tenuti fermi
dalla
presa sicura delle mollette; abbandonati in un viottolo di campagna;
messi
ad asciugare vicino a una stufa a legna; arrotolati dentro un paio di
scarpe
nere, imbrattate di fango; oppure sporgenti da un cassetto semiaperto,
nuovi, con il cartellino di vendita ancora bene in vista.
Misteriosamente, soltanto in due tele (Il tavolo a mezzogiorno,
1934, cm 20x40, e Visione sotto la luna, 1938, cm 45x75), i
calzini
non hanno il ruolo di protagonisti, ma s’intravedono di lato o sullo
sfondo,
seminascosti dietro insignificanti nature morte - vasi da fiori,
bottiglie
o pesci con gli occhi tristi e spaventati.
I quadri di Schlimm, ispirati a un’evanescente plasticità del
cotone, della seta, della lana, ci mostrano, in varie posizioni e
atteggiamenti,
calzini accoppiati in perfetto ordine e di genere maschile. Su
quest’ultimo
dettaglio, la Frosini non nasconde il suo disappunto sottolineando come
la misoginia che traspare dai calzini dipinti da Schlimm s’intrecci
(è
proprio il caso di dirlo) a un’altra loro caratteristica, anch’essa
densa
di significati reconditi, ovvero la mancanza di buchi e di frinzelli,
una
costante nell’immaginario calzinesco del pittore viennese.
In un solo caso, adagiato su una spiaggia deserta, sotto un cielo
plumbeo
che minaccia di aprirsi in temporale, Schlimm ha dipinto un calzino
desolatamente
orfano del suo gemello (l’opera del 1922, cm 40x70, s’intitola
emblematicamente
Lontananza).
Cedendo a un impulso giocoso c’è poi un quadro (l’unico del
genere) - L’accostamento non voluto del 1937, cm 70x100 – dove
Schlimm
ha raffigurato due calzini spaiati, uno blu e l’altro grigio perla, con
un ricamo sulla parte alta, che sembrano guardarsi in modo affettuoso,
ammiccare divertiti in una marea di libri sparsi qua e là su una
scrivania, dietro la quale si scorge, appeso a una parete illuminata
dal
sole, un calendario con i numeri e le lettere del mese in rosso su uno
sfondo bianco. Il calendario indica la data del 7 dicembre 1898,
che poi è la data di nascita dell’artista.
Se è vero che i calzini
hanno un’anima - scrive Schlimm cercando
di dare un senso alla propria ossessione - questa si manifesta nella
loro
inconfondibile forma, lunga e corta, nella trama dei disegni che ne
abbelliscono
lo slancio, nei colori, nella morbidezza avvolgente del loro tessuto,
che
è poi il loro vissuto, fatto di giri a rovescio, di lussuose
trasparenze,
di odori mal celati, di piccolissime smagliature che, come succede ai
bozzoli
da cui fuoriescono le farfalle, si tramutano con il tempo in spiragli
di
luce.
Poi conclude il libro con questa
melanconica riflessione:
Paradossalmente
l’anima dei calzini si nasconde là
dove meno ci si aspetterebbe di trovarla, sul filo impercettibile della
loro salda aderenza alle gibbosità del mondo, contatto che ci fa
sentire vivi, sebbene precariamente vacillanti e di passaggio.
il Caffè illustrato, 12, maggio-giugno 2003, pp.
6.7.
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Il racconto è uscito anche in
La governante di Jevons. Storie di precursori
dimenticati, Campanotto 2007.
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