A Giovanni C.,
che ne ha scritti molti
di racconti di questo genere.
A un primo, superficiale approccio, potrebbe sembrare un paradosso, ma
questo è un racconto che non esiste, nel senso letterale del termine. Il
che significa che il racconto qui riprodotto, dove si parla di un
racconto che non esiste, non pretende lo si consideri un racconto, a
tutti gli effetti, secondo il canone dominante. E questo, credetemi, non
è un giochetto di parole, un trucco illusionistico. Nemmeno la parodia,
tanto per intenderci, dell’espressione ingannevole (e seduttrice) di
Magritte quando mostra una pipa e scrive: CECI N’EST PAS UNE PIPE.
Ma se questo racconto non esiste, allora cosa stiamo
leggendo? vi domanderete (mi metto nei panni dell’avvocato del diavolo
di me stesso).
Bella domanda.
Questo racconto non è davvero un racconto. Potete
starne certi. E chi lo dice? Lo dico io, che sono l’autore di questo
racconto che non esiste. Perciò tranquilli, fidatevi.
Non siamo dentro le pieghe di quei raggiri che gli
scrittori, da marpioni, escogitano chiamando i loro racconti impossibili
(Tommaso Landolfi) o invisibili (Ernesto Ragazzoni) o formati da pagine
bianche (David Lodge) o mai scritti (Marcel Bénabou, George Steiner).
(1)
Non c’entrano niente questi espedienti maldestri o
sperimentazioni arzigogolate con il racconto contenuto nello spazio
tipografico che avete davanti.
Il mio, lo ripeto, è un racconto che non esiste, sotto qualsiasi prospettiva lo si guardi.
Parafrasando la lista stilata da Italo Calvino a
proposito dei libri non letti, sostituendo alla parola “Libri” la parola
“Racconti”, avremo:
Racconti Che Puoi Fare A Meno Di Leggere; Racconti Fatti Per Altri Usi
Che La Lettura; Racconti Già Letti Senza Nemmeno Bisogno D’Aprirli In
Quanto Appartenenti Alla Categoria Del Già Letto Prima Ancora D’Essere
Stato Scritto; Racconti Che Se Tu Avessi Più Vite Da Vivere Certamente
Anche Questi Li Leggeresti Volentieri Ma Purtroppo I Giorni Che Hai Da
Vivere Sono Quelli Che Sono; Racconti Che Hai Intenzione Di Leggere Ma
Prima Ne Dovresti Leggere Degli Altri; Racconti Troppo Cari Che Potresti
Aspettare A Comprarli Quando Saranno Rivenduti A Metà Prezzo; Racconti
Idem Come Sopra Quando Verranno Ristampati Nei Tascabili; Racconti Che
Potresti Domandare A Qualcuno Se Te Li Presta; Racconti Che Tutti Hanno
Letto Dunque È Quasi Come Se Li Avessi Letti Anche Tu; Racconti Che Da
Tanto Tempo Hai In Programma Di Leggere; Racconti Che Da Anni Cercavi
Senza Trovarli; Racconti Che Riguardano Qualcosa Di Cui Ti Occupi In
Questo Momento; Racconti Che Vuoi Avere Per Tenerli A Portata Di Mano In
Ogni Evenienza; Racconti Che Potresti Mettere Da Parte Per Leggerli
Magari Quest’estate; Racconti Che Ti Mancano Per Affiancarli Ad Altri
Racconti Nel Tuo Scaffale; Racconti Che Ti Ispirano Una Curiosità
Improvvisa, Frenetica E Non Chiaramente Giustificabile; Racconti Letti
Tanto Tempo Fa Che Sarebbe Ora Di Rileggerli. (2)
Nessuna di queste categorie, estrapolate dalla
citazione di Calvino, rientra in quella di cui sto parlando in questo
momento, ovvero il racconto che non esiste. E non esiste – lo ribadisco –
semplicemente perché non è mai stato concepito, progettato e quindi
realizzato. Non è nemmeno rintracciabile nel limbo dei racconti a
venire, potenziali. Non ha alcuna consistenza o parvenza di un racconto.
È un racconto, per dirla tutta, che, nell’attimo stesso in cui prende
forma, si autodistrugge, nega sé stesso. E lo nega di fatto, non a
parole.
Manganelli (che si autodefiniva «esperto di cose
inesistenti») ha parlato di non-nati, cioè di individui mai venuti al
mondo (la maggioranza, se raffrontati ai “nati”); allo stesso modo il
racconto (o meglio il “resoconto”) che state leggendo non ho alcuna
difficoltà a definirlo un non-racconto.
Si potrebbe scrivere una Storia letteraria dei racconti che non esistono,
un volume di molte pagine, in cui parlare, ad esempio, dei racconti mai
scritti da James Joyce, da Céline o da Canetti o da Nabokov. Vi siete
mai chiesti se Antonio Delfini abbia scritto un racconto sulla pesca a
strascico o se Goffredo Parise si sia occupato, in un racconto, delle
frodi alimentari? Nessuno dei due scrittori lo ha mai fatto, non ha mai
scritto racconti sulla pesca a strascico o sulle frodi alimentari. Sono
racconti che non esistono nelle loro biografie. Sarebbe inutile
cercarli.
Una furbata che non digerisco è quella degli
scrittori che scrivono un racconto (o un romanzo) sul tema
dell’impossibilità di scrivere un racconto, e su questa impossibilità di
scrivere un racconto costruiscono il loro racconto (esistono anche film
su registi che non riescono a fare un film, e il film è un pretesto per
descrivere i tormenti di un regista in crisi che non riesce a fare un
film). (3)
Quante volte ci siamo imbattuti in questa grottesca, e
allo stesso tempo truffaldina, messa in scena. Viene quasi da
sorridere.
Il mio racconto – spero sia ben chiaro – non è un
racconto sull’impossibilità di scrivere un racconto, viaggia,
lasciatemelo dire, su un’altra dimensione concettuale, su un altro
pianeta letterario. Il mio racconto che non esiste lo è sul serio
inesistente. Non è una burla. Non sto simulando di non scrivere un
racconto, mentre invece, sotto sotto, zitto zitto, lo sto scrivendo, che
è – come già detto – un procedimento vecchio come il cucco, un
artificio consunto, ormai andato in soffitta.
Tutti coloro a cui ho rotto le scatole affinché
avessero la pazienza di leggere questo racconto che non esiste mi hanno
fatto la stessa obiezione: Scusa, ma perché scrivere un racconto su un
racconto che non esiste? Bastava limitarsi a non scrivere nulla,
astenersi dalla scrittura, e tutto sarebbe finito lì, con buona pace
tua, e del racconto che non esiste.
L’obiezione, lo ammetto, ha una sua logica. Ma dimentica un particolare.
Per rendere conto dell’inesistenza di un racconto
bisogna fornirne la dimostrazione, imboccare la strada giusta, e l’unica
dimostrazione praticabile è scrivere un racconto che non esiste.
In fondo è questa la ragione per cui mi sono deciso a scrivere questo sracconto (se ci sono le sconclusioni, allora possono darsi anche gli sracconti)
che avete sotto gli occhi, un piccolo tassello per la conoscenza di
quello che è un racconto che non esiste, perché, come dice Vladimir
Jankélévitch, «Una conoscenza alla quale manca qualcosa può essere vera,
e una conoscenza alla quale non manca niente può essere falsa!». (4)
Vladimir Jankélévitch (1903-1985)
«Jankélévitch? Non so nemmeno chi sia» – mi chiede
un amico, accarezzandosi il mento, perplesso. «Che c’entra questa
citazione?».
C’entra, c’entra – gli rispondo –, l’osservazione di
Jankélévitch, filosofo francese, casca a pennello, perché mette il dito
nella piaga: non c’è nulla che si riesce a conoscere in modo
soddisfacente, figurarsi la morfologia di un racconto che non esiste.
Note
(1) Sul tema dei libri non scritti, mi permetto di rimandare al mio Su alcuni libri progettati e mai scritti,
«Culture del testo e del documento. Le discipline del libro nelle
biblioteche e negli archivi», 30, settembre-dicembre 2009, pp. 5-10.
(2) Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Einaudi, Torino 1979.
(3) Sui film nei film: Alberto Anile, Dizionario del cinema immaginario. I film che esistono solo dentro i film, prefazione di Paolo Mereghetti, Lindau, Torino 2019.
(4) Vladimir Jankélévitch, Il non-so-che e il quasi niente, introduzione di Enrica Lisciani Petrini, traduzione di Carlo A. Bonadies, Einaudi, Torino 2011, p. 140.
novembre 2023
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