Paolo Albani
LA BADANTE

 

 

        Ormai sono vecchio, vado per gli ottanta, ma la cosa più triste è che mi sento vecchio. Converrete con me che c'è una bella differenza tra essere e sentirsi vecchi.

     La verità è che divento sempre più sbadato, dimentico le cose, non trovo più gli oggetti: occhiali, penne, libri, le chiavi di casa, il cellulare. Una volta ho messo su a scaldare un pentolino con dell’acqua per farmi un tè, poi mi sono seduto sul divano del soggiorno a guardare la televisione. Dopo una mezzora sento un forte odore di bruciato. Torno in cucina e mi accorgo che il pentolino ha ancora il gas acceso sotto, mi avvicino e scopro che l’acqua è completamente evaporata: il pentolino, dentro, si è tutto incrostato di una patina marrone, una schifezza, si è rovinato. L’ho dovuto buttar via.

     Un’altra volta ho dimenticato il portafoglio dentro il frigorifero, l’ho ritrovato quando sono andato a prendermi una birra nel frigo, che ormai non ci pensavo più al portafoglio, ero convinto di averlo perso chissà dove o che me l’avessero rubato in autobus o al supermercato; oggigiorno ci sono dei ladri così bravi che potrebbero sfilarti il portafoglio anche quando leggi il giornale su una panchina o chiedi un’informazione stradale a un vigile urbano.

     Ho raccontato questi episodi a mio figlio Alberto, il più grande, che vive a Milano, fa l’ingegnere civile, quando è venuto a trovarmi (succede di raro, Alberto ha molto lavoro e non ha tempo da perdere, giustamente). Lui mi dice preoccupato:

– Papà, tu non puoi restare da solo. È venuto il momento che ti prendi una donna fissa in casa, una badante. Lo spazio c’è. La mettiamo nella stanza che era della mamma.

Alberto ne ha parlato con gli altri miei due figli, Luisa e Cristiano, e anche loro si sono trovati d’accordo: papà (che poi io odio quando mi chiamano papà; da piccoli li avevo abituati a chiamarmi «babbo», come si usa a Firenze e in Toscana, e credo pure in Sardegna, ma tutti e tre sono andati al Nord a lavorare e hanno preso quest’abitudine peregrina di chiamarmi «papà», e l’hanno trasmessa anche ai loro figli che sono i miei nipoti), papà, dicevo, – hanno acconsentito Luisa e Cristiano di fronte alla proposta di Alberto – ha bisogno di una badante.

I miei figli sono in gamba specie nelle faccende organizzative, come lo sono in genere quelli del Nord, anche se tutti e tre sono venuti su un po’ di manica corta, con questo voglio dire che sono un po’ tirati, avari, a differenza del loro babbo, che sono io, che invece è uno spendaccione, che ha sempre preferito, nei limiti del possibile, spendere e spandere per non farsi mancare nulla. Comunque in poco tempo i miei figli mi hanno trovato una badante, o «assistente domiciliare» come la chiamano quelli politicamente corretti; l’hanno trovata in un’agenzia di Servizi di Assistenza qualificata agli anziani e io non ho opposto resistenza. Meglio che starmene da solo, mi sono detto; per di più, libero dall’incombenza dei lavori domestici, potrò dedicarmi ai miei passatempi preferiti, leggere più libri, dedicarmi di più al giardinaggio, andare al cinema e a teatro, vedere più spesso i pochi amici che mi sono rimasti.

Così l’altro giorno è arrivata a casa mia Iryna Dybenko, una signora ucraina di quasi cinquant’anni, ma non li dimostra, è una bella donna, vedova con due figli che vivono a Kiev, il marito è morto in un incidente stradale, lei ha studiato letteratura moderna e contemporanea del suo paese, in particolare si è specializzata nella poesia di Taras Ševčenko (1811-1861), autore di ballate e poemi epici di stampo nazionale. Dopo la scomparsa del marito, ha lavorato per qualche tempo come centralinista in una grande azienda pubblica. Poi ha deciso di venire in Italia per mantenere i figli agli studi, disposta a fare la badante.

 

Oggi ho portato Iryna a fare un giro per il quartiere. Le ho fatto conoscere i negozi dove mi servo, siamo stati al giardino pubblico, vicino a casa mia, che ha uno spazio ben attrezzato per i giochi dei bambini: scivoli, altalene, casette di legno colorate; le ho fatto visitare anche la chiesa della mia parrocchia perché Iryna mi ha detto che è cattolica e vuole andare alla messa, almeno due o tre volte alla settimana. Entrare in chiesa è stato un po’ difficoltoso perché bisogna superare una scalinata leggermente ripida, ma con l’aiuto di un signore molto gentile ce l’abbiamo fatta.

Per far piacere a Iryna ho imparato alcuni piatti tipici ucraini. La cucina ucraina è stata influenzata in particolare da quella russa e polacca; gli ingredienti sono per lo più funghi, verdure, barbabietole, frutta e vari tipi di erbe. Lei ha un sacco di allergie e quindi devo stare attento a non cucinare alimenti che le facciano male. Da quando è arrivata Iryna, per non fare due menu diversi, sono diventato vegetariano, come lei che odia la carne, anche per ragioni animaliste.

Nella stanza di Iryna, che poi era lo studio di mia moglie, ho messo un televisore in modo che lei possa vedere i programmi che le piacciono in totale autonomia, e dato che ho la parabola può vedersi anche la televisione ucraina. A Iryna piace molto la televisione, a volte sento che la tiene accesa fino a notte tarda, con il volume alto (mi ha detto che ha qualche problema all’udito), ma a me non dà noia, anzi sentire le voci e i rumori dei programmi televisivi che provengono dalla sua stanza, in piena notte, mi fa compagnia, mi fa sentire meno solo, tanto di notte dormo poco.

Per aiutare Iryna a lavarsi e a vestirsi al mattino (lei ha il suo bagno indipendente, in casa mia per fortuna ci sono due bagni), ho assunto una signora peruviana, me l’ha presentata un amico che lavora nel volontariato, però non ho detto niente ai miei figli che altrimenti avrebbero fatto chissà quante storie per il costo extra della signora peruviana, che pago io volentieri, di nascosto a loro, con la mia pensione, mentre lo stipendio di Iryna (a dire il vero modesto, una miseria da taccagni) se lo dividono i miei tre figli, bontà loro, che a testa verrà non più di 200 euro. La signora peruviana torna anche la sera, dopo cena, per mettere a letto Iryna.

Il giovedì di ogni settimana, come tutte le badanti, Iryna ha il suo giorno libero. Le badanti ucraine si ritrovano nella saletta di un circolo Arci in via Mercadante al numero 58; l’accompagno io al circolo, ogni giovedì, non mi costa nulla, e mi trattengo fino a sera quando riporto Iryna a casa mia. Ho fatto amicizia con alcune badanti ucraine, specie con una che nella sua città, Leopoli, faceva il medico, le chiedo dei consigli per i miei acciacchi, mi fido poco del mio medico di famiglia. Un amico di mio figlio Cristiano, che a quanto pare frequenta quel circolo, deve avermi visto e l’ha spifferato a Cristiano che mi ha mandato un messaggino con WhatsApp:

– Papà, ma che cazzo ci facevi l’altro pomeriggio nel circolo Arci «Mario Bencini» con le badanti ucraine?

Iryna non parla italiano, solo qualche parola. Per comunicare ho deciso di seguire un corso di ucraino organizzato privatamente da un’amica di Iryna, una certa Sasha Moroz; i soldi che spendo per il corso (metteteci anche il costo dei libri in lingua, una grammatica, il dizionario compatto Zanichelli italiano-ucraino e viceversa, video cassette, ecc.) sono un titolo di spesa del mio bilancio personale che mi guardo bene dal comunicare ai miei figli che, se sapessero che spendo dei soldi per imparare l’ucraino, sarebbero capaci di farmi interdire. La prossima estate ho già in programma di andare a Kiev con Iryna, non solo per turismo, ma anche per approfondire la mia conoscenza della lingua ucraina.

Iryna è una persona dolcissima. L’altro giorno, con la sua vocina musicale che mi ricorda le note saltellanti di un carillon, mi ha chiesto se per favore potevo cambiare detersivo per i pavimenti perché quello al profumo di agrumi – che uso da una vita – le dà fastidio, le fa venire il mal di testa. – Certo Iryna, nessun problema, lo cambio – le ho detto. – Ti va bene al limone? Lei ha risposto che preferirebbe uno neutro, senza allergeni, senza nichel e dermatologicamente testato, e così ho fatto. Adesso quando do il cencio per terra, di solito ogni due giorni, uso un detersivo per pavimenti neutro, e Iryna è contenta. Mi sorride riconoscente.

A me piace stirare. Fra le incombenze domestiche, è quella che mi pesa di meno; non appena il cesto dei panni asciutti è pieno, mi metto a stirare con un certo appagamento fisico. E in questo Iryna mi è di grande aiuto: mi dà consigli utilissimi, mi suggerisce – lei che non può farlo – il modo più efficiente per stirare i pantaloni o le sue camicette di seta (Iryna adora la seta); mi ha fatto comprare un prodotto che si chiama «Stira e Ammira», uno spray naturale all'amido di mais (per fortuna Iryna non è allergica al mais) che elimina facilmente grinze e pieghe, come si legge sulla bomboletta. Nella stiratura Iryna è molto esigente, mi costringe a stirare due o anche tre volte gli stessi indumenti se hanno delle pieghe capricciose, che sono brutte a vedersi addosso, sembra che uno – come dice Iryna – abbia dormito senza spogliarsi, vestito, sotto le coperte.

Iryna è golosa di gelato, le piace in particolare il gusto alla vaniglia. Quasi sempre, al termine della nostra passeggiata pomeridiana, ci fermiamo da «Perché no», una gelateria che fa un gelato artigianale buonissimo, e tutte le volte Iryna si prende una coppetta alla vaniglia da 2 euro. La imbocco con una paletta di plastica e quando le rimane un po’ di vaniglia agli angoli della bocca le passo un fazzolettino di carta per pulirla e la cosa, non lo nascondo, mi provoca una leggera eccitazione, mi agita fino a smuovere, nonostante la mia veneranda età, quel piccolo residuo di libidine che mi è rimasto, e qui forse ci sarebbero tutti gli estremi per sfiorare il ridicolo.

Lo stesso turbamento ormonale provo – sfiorando di nuovo il ridicolo – tutte le volte che Iryna mi chiede di pettinarla; i suoi capelli biondi sono morbidi e lunghi e quando ci affondo la spazzola, con estrema delicatezza, sollevandoli appena in modo da scorgere, posizionato dietro di lei, il suo collo di un bianco latteo e un frammento dell’estremità nuda della sua schiena, mi sembra di «accarezzare il cielo con una mano» («пестить небо однією рукою»), per usare un’espressione poetica che ho imparato da Iryna che ogni tanto mi legge delle poesie degli autori ucraini che ha studiato e ama di più.

 So bene perché, fra le numerose badanti proposte dall’Agenzia cui si sono rivolti, i miei figli hanno scelto proprio Iryna, che è ridotta com’è ridotta dopo l’incidente stradale in cui ha perso la vita il marito e lei, che stava in macchina, seduta accanto al posto del guidatore, si è salvata per un miracolo. Non sono mica un ingenuo. L’avrete certo capito anche voi, comunque ve lo dico io perché l’hanno fatto. L’hanno fatto per una bieca questione di soldi: come badante Iryna, avendo perso gli arti superiori e inferiori, costava poco sul mercato dell’assistenza agli anziani. Questa è l'unica, vera ragione per cui Iryna è venuta a casa mia, assunta dai miei figli per fare la badante.

Ma il bello non finisce qui: mi piacerebbe vedere la faccia dei miei figli quando, dopo la mia morte, il notaio Francesconi leggerà loro il testamento che ho scritto appena un mese fa.

Chissà come la prenderanno.

         

gennaio 2018

_________________________________________

Per andare o tornare al menu dei miei racconti-bonsai cliccate qui.



HOME   PAGE        TèCHNE         RACCONTI     POESIA VISIVA

ENCICLOPEDIE   BIZZARRE       ESERCIZI   RICREATIVI       NEWS