Paolo Albani
L'ARRETRAMENTO

 

 

                                                                                                                                   A Vanni,
                                                                                  che di computer se ne intende.



                                                               

                                                                                            

Da più di cinque anni uso lo stesso computer. Ometto la marca per non fare pubblicità. Ma posso garantirvi che è un buon computer. Non ha mai visto un tecnico, il che vorrà dire pur qualcosa. Non si è mai beccato un virus e non mi ha mai lasciato a terra. Ormai senza un computer non si può vivere. Tutte le nostre operazioni più importanti (scrivere poesie e romanzi, mandare mail, pagare bonifici, leggere quotidiani, tenersi informati sulle novità culturali, comprare biglietti di aereo e del treno, prenotare la visita di un museo, guardare filmini per soli adulti, e tantissime altre) si realizzano tramite il computer, con una rapidità e una precisione sempre più sbalorditive.

È un’altra vita quella che viviamo insieme al nostro computer, e grazie a lui, alle sue funzioni e servizi indispensabili, il nostro tempo libero si è allungato. Anche se, stare lontano dal mio computer, a volte è una sofferenza, e la sua compagnia mi è gradita anche quando non devo lavorare. Persino in vacanza me lo coccolo sulle ginocchia, in spiaggia, rilassato su un’amaca.

Qualcuno ha provato a spiegarci che ormai siamo delle protesi dei nostri computer (e già che siamo mettiamoci pure anche gli smartphone), che sono loro a dettare le regole, a stabilire le tabelle di marcia dei nostri comportamenti, delle nostre interrelazioni sociali. Forse l’analisi è un po’ esagerata, ma indubbiamente qualcosa di vero c’è.

Se non fosse che si tratta di un oggetto, di una macchina programmata in un certo modo, che risponde a certi parametri di prestazione, mi verrebbe quasi da dire che gli voglio bene al mio computer (non allo stesso livello della mia fidanzata, ma insomma ci siamo vicini, benché il paragone – computer-mia fidanzata – non abbia alcun senso). In ogni caso provo per lui un sentimento di affetto, nonché di stima per quello che fa per me. Per come si sacrifica per me sollevandomi da compiti che, se dovessi svolgere senza il suo aiuto, sarebbero gravosi, ingestibili. Non ci voglio nemmeno pensare.

Gli sono riconoscente, e non mi vergogno a confessare che ormai non riesco a progettare nulla che non abbia il supporto del mio computer. Il suo consenso. Tenerlo all’oscuro delle mie decisioni, sarebbe un affronto alla sua intelligenza.

Il mio computer, come tutte le macchine del suo tipo, non è un “animale meccanico” statico. Ha le sue pulsioni innovative, nel senso che periodicamente si rinnova. Non sta con le mani in mano. Non vegeta. Ci chiede ogni tanto di installare degli aggiornamenti. Per il nostro bene.

A volte penso che in varie Silicon Valley, sparse nelle parti più nascoste del mondo (la segretezza garantisce la protezione dei brevetti), ci siano frotte di ingegneri informatici, di tecnici, fisici, matematici, di cervelloni che hanno studiato al MIT della Cambridge statunitense indaffarati a creare aggiornamenti per i nostri computer. Sono lì, questi tecnici, un esercito di soldatini al servizio delle multinazionali Big Tech, li vedo che lavorano come matti, giorno e notte, dentro le loro camicette azzurre o bianche con le maniche lunghe tirate su fino al gomito e i capelli a spazzola, da marine, che brigano, eccitati, per trovare le soluzioni più avanzate, più adeguate alle prestazioni dei nostri computer.

Se non che, qualche volta, arriva un imprevisto.

I cervelloni delle Silicon Valley vanno pazzi per gli imprevisti, li adorano, li invocano danzando come i pellerossa per invocare la pioggia nei periodi di siccità, perché gli imprevisti sono sfide che impongono loro salti di qualità, sperimentazioni eccentriche, verifiche al limite delle capacità umane. Più aumentano gli imprevisti nel campo dei computer, e più i cervelloni delle Silicon Valley sono felici poiché devono affinare le armi tecnologiche. L’agonismo li fa sballare.


 

A proposito d’imprevisti, due giorni fa, il mio computer, quello che ho da più di cinque anni e funziona che è una meraviglia, mentre sto scrivendo, mi lancia un messaggio, racchiuso dentro una finestrina rettangolare sulla destra dello schermo, in alto:

 

L’ARRETRAMENTO DEL TUO SISTEMA OPERATIVO

SARÀ EFFETTUATO FRA CINQUE MINUTI.

ARRETRA SUBITO OPPURE RITARDA A DOMANI.

 

Oggi è tornato alla carica e ha scritto:

 

ARRETRAMENTI DISPONIBILI.

VUOI INSTALLARE GLI ARRETRAMENTI ADESSO?

 

Gli arretramenti? Come sarebbe a dire gli arretramenti.

Siamo impazziti? Che razza di proposta è. Non esiste.

Io non ho chiesto nessuna installazione di una versione precedente del software (downgrade). Mi sembra un controsenso tornare indietro. Non è questa la filosofia che muove l’attività dei cervelloni delle Silicon Valley. Loro guardano in avanti, al futuro, a nuovi meccanismi operativi.

Questa degli arretramenti (mai sentita la parola “arretramenti” nel vocabolario informatico) è un’iniziativa spontanea del mio computer, se l’è inventata lui di sana pianta. E non so perché. Chissà quali sono le sue mire. Dove vuole parare. Almeno mi avesse avvisato.

Intanto, per prendere tempo, clicco su “RITARDA”. E vediamo che succede…


 

agosto 2021

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