SONETTI AL LUME DELLA FOLLIA
«Io riconosco di non essere né più savio né più matto degli altri, ma più sventurato e meno cattivo»: così scrive il poeta e scrittore anarchico Giovanni Antonelli (1848-1918) nell’introduzione al suo Il libro di un pazzo. Note autobiografiche e rime, edito la prima volta a Civitanova Marche nel 1892 (seconda edizione a Reggio Emilia nel 1893) e ora ristampato da Giometti & Antonello, lodevole casa editrice di Macerata. Per Massimo Gezzi, curatore del libro, Antonelli è «una delle figure più eccentriche, scomode e incomprensibilmente dimenticate della società letteraria italiana a cavallo tra Otto e Novecento». Chi è Giovanni Antonelli? Nato a Sant’Elpidio a Mare (oggi provincia di Fermo) nella notte tra il 20 e il 21 marzo 1848, Antonelli ha una vita travagliata e errabonda. Giovanissimo si arruola come mozzo su un battello da guerra e qui subisce da parte degli ufficiali («fetentoni») i più scandalosi atti tirannici. Spirito ribelle non si piega ai soprusi e più volte è condannato per insubordinazione dai Tribunali militari visitando numerosi carceri; in uno di questi a Prato compila un libro intitolato I misteri della stupida brutalità marittima, ossia il mozzo di marina. Ottenuto finalmente il congedo illimitato, Antonelli inizia un lungo e tormentato pellegrinaggio che lo porta in diverse città quali Roma, Rimini, Reggio Emilia, Rovigo e altre dove fa conferenze su temi sociali o letterari, legge i suoi versi (a volte sommerso da «una salva di fischi») e dove viene spesso arrestato perché privo di mezzi di sussistenza, per insulti ai carabinieri o come sospetto internazionalista. In carcere scrive altri libri come Il pauperismo in Italia ed i mezzi per estirparlo e legge ai suoi compagni di sventura Rocambole del «sommo fantastico Ponson du Terrail». Nel maggio 1877 Antonelli, «l’uomo più sfortunato di un mondaccio vile», entra nel manicomio di Macerata diretto in quel periodo da Enrico Morselli (1852-1929), noto psichiatra e antropologo, che lo incoraggia a scrivere. Così Antonelli compone vari opuscoli, tra cui uno in cui stigmatizza l’istruzione del prete, e poi romanzetti, commediole, versi. Come contributo ai rapporti fra genio e follia, Morselli annota un testo di Antonelli intitolato Un genio da manicomio. Autobiografia d’un alienato (Sanseverino Marche 1877) collocando il suo autore nella «classe de’ mattoidi politicanti». Nella quarta edizione (1882) di Genio e follia, Cesare Lombroso gli riserva un capitolo, riproducendo uno stralcio della citata prefazione di Morselli e definendo il poeta marchigiano «una mezza celebrità letteraria nelle Marche, benché i suoi versi, già editi, non passino la mediocrità, e meglio valga la sua autobiografia». Lettore di Tasso, Leopardi, Giusti e «altri sommi», Antonelli privilegia il sonetto per la sua brevità che «sfida l’inerzia del periodo che attraversiamo, e perché meglio vi riesco». Pubblica un certo numero di raccolte, l’ultima delle quali a Fermo nel 1909. Il suo nome compare in repertori di poeti della rivolta; in uno di questi, coordinato dallo scapigliato Cletto Arrighi (1828-1906), è descritto come «uno zingaro poeta, pieno d’ingegno». Il sonetto Autoritratto, in cui Antonelli descrive se stesso echeggiando il foscoliano Il mio ritratto, termina con il verso «e morte sol potrà darmi riposo». Antonelli dedica un sonetto anche al «superbo e maligno» Lombroso «di tutti i matti, eterno nume!» Il poeta marchigiano muore nell’Ospizio Vittorio Emanuele II di Ancona il 9 gennaio 1918. Domenica - Il Sole 24 Ore, 160, 12 giugno 2016, p. 25. Per vedere l'intera pagina della Domenica (in pdf) cliccate qui. Di questa recensione ha parlato venerdì 10 giugno 2016 Marzia Coronati a Pagina 3,
programma radiofonico di approfondimento delle pagine culturali e dello
spettacolo di Rai Radio 3, per ascoltare il passaggio sul libro di
Antonelli cliccate qui.
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