ANDERSEN
libri
& idee - scuola & biblioteca
n. 258, aprile 2009
Paolo Albani
BIBLIOGRAFIA DI DOSSENA
SCRITTA DA LUI MEDESIMO
Il 28 ottobre del 1995 Giampaolo Dossena mi spedì
- allora abitavo in una casa di campagna
a Rignano sull’Arno - un pacchetto contenente
un documento di 32 fogli a stampa intitolato:
Scritti di Giampaolo Dossena,
Sandro Coggi, Mario Xavier Rossi, Mario Zaverio
Rossi,
Giovenale Santi e altri / dal 1950 al …
Era l’abbozzo di una autobibliografia (così
la chiamò lui stesso) cui stava lavorando da qualche tempo, «per ragioni tutte mie»
mi disse in una lettera del 25 ottobre 1995 (non ho mai incontrato Dossena di
persona, abbiamo avuto per un certo periodo una
fitta corrispondenza e qualche chiacchierata
telefonica, ma non ci siamo mai incontrati viso
a viso), aggiungendo: «Lei è l’unico a cui ne parlo».
La prima e l'ultima pagina della bibliografia inviatami
da Giampaolo Dossena il 28 ottobre 1995
Lettera di Giampaolo Dossena inviatami il 25 ottobre 1995 in cui
mi preannuncia l'invio del dattiloscritto della sua bibliografia
Fui molto contento e, come si dice in questi
casi, onorato di quel dono preziosissimo.
L’ultima segnalazione dell’autobibliografia dosseniana
si riferiva al Dizionario di retorica e
stilistica, pubblicato dalla Tea nel 1995,
comprendente tre voci (anagramma; calembour;
palindromo) scritte da Dossena per il Grande
dizionario enciclopedico Utet.
Da allora, cioè dal 1995, anno in cui
s’interrompe, immagino che Dossena abbia continuato
a tenere aggiornata, e a correggere, la sua autobibliografia,
e mi auguro che questo lavoro di
spulciatura bibliografica possa trovare quanto prima un’adeguata collocazione
pubblica.
In questi giorni (febbraio 2009) ho ripreso in mano quelle 32 pagine,
che riportano qua e là,
anche su dei foglietti incollati, alcune annotazioni scritte a mano,
quasi sempre in rosso, dal suo
autore, e di nuovo, come la prima volta che li esaminai, ho provato
un piacere enorme, da topo di
biblioteca che scopre di fronte a sé un testo raro, impressionato
dalla mole di ricerche compiute e
dalla loro varietà.
Per quanto limitata al periodo 1950-1995, si tratta di una ricognizione
sufficiente a restituire
e far emergere un profilo davvero sorprendente di Dossena.
Quelle che seguono sono delle brevi impressioni, delle riflessioni
buttate giù a caldo, dato
che un vero e proprio lavoro critico sulla poliedrica attività
intellettuale di Dossena richiederebbe
ben più tempo e dispendio di energie.
In quelle pagine autobibliografiche c’è in primo luogo il Dossena
studioso di letteratura, o
meglio sarebbe dire di fatti e luoghi letterari: il termine «critico
letterario» gli stava stretto, anzi non
gli piaceva proprio: ricordo che mi chiese esplicitamente di eliminare
quest’appellativo - «critico
letterario» - da una nota che avevo scritto su di lui. Ci sono
dunque i primi passi intrapresi, a partire dagli anni cinquanta, sulle
pagine dell’Alfieri (a un suo saggetto «Sul diario alferiano»
apparso su Studia Ghisleriana, sereie II, vol. I, 1950, pp. 235-241,
dedicò benevola attenzione Benedetto Croce), di Renato Serra, de
Il
Baldo di Merlin Cocai, del Dossi, del Bertoldo e Bertoldino
di Giulio Cesare Croce, di Giambattista Biffi, di Gadda, di Emilio Salgari,
di Luigi Malerba, di Agata Christie, di Lewis Carroll, di P.G. Wodehouse,
tanto per citare alcuni degli autori amati da Dossena.
E ci sono naturalmente i quattro volumi della Storia confidenziale
della letteratura italiana,
usciti da Rizzoli fra il 1987 e il 1994, che coprono le vicende letterarie
italiane dalle origini fino al
seicento (e qui al seicento l’impresa dosseniana ahimè si ferma).
Le raccontano, quelle vicende,
mettendo mano a un metodo innovativo, originale che permette di scoprire
- così recita la nota di
presentazione sul risvolto di copertina del primo volume - come e perché
a un tale è saltato in mente di scrivere una certa cosa (e se poi
questa certa cosa era un capolavoro tanto meglio), e in modo confidenziale,
ovvero parlando di certi vecchi libri con segretezza e discrezione, chiamando
difficili i libri difficili e noiosi i libri noiosi e spiegando con franca
brutalità perché certi libri bisogna
leggerli e perché certi altri è meglio non leggerli.
Lo stesso metodo Dossena adotterà per scrivere il più divertente
(ma serio) libro per conoscere vita, tempi e opera di Dante (Longanesi
1995).
Dalle pagine del documento speditomi da Dossena emerge in modo chiaro
anche la sua
profonda passione per le guide, naturalmente letterarie. Dossena è
stato un meticoloso, fervido
compilatore di Guide ai misteri e segreti di varie città
(Milano, Roma, Cremona) e di regioni e zone d’Italia (Emilia-Romagna, Brianza),
redatte con il gusto per l’aneddoto letterario, in cui convivono riferimenti
poco noti, a volte sconcertanti ad autori grandi e minori o marginali.
Anche molti dei capitoli del libro di saggi di letteratura, turismo e bricolage
Fai
da te (Rizzoli 1991) sono dedicati a città: Francoforte, Asti,
Modena, Bologna, San Remo.
Questa passione per le guide avrà il suo apice nel voluminoso
I
luoghi letterari. Paesaggi,
opere e personaggi, uscito presso Sugar nel 1972 (poi ristampato
nel 2003 da Sylvestre Bonnard), che doveva essere il primo di tre libri
rispettivamente dedicati all’Italia settentrionale, centrale e meridionale,
progetto anche in questo caso sfortunatamente rimasto incompleto. È
«un’opera consapevolmente personale, ma condotta secondo criteri
rigorosi quanto a storia, a letteratura e a pedagogia», puntualizza
Dossena nella prefazione alla prima edizione del libro, lamentando fra
l’altro che nelle guide canoniche, tipo Touring Club Italiano, si dedichi
«uno spazio nullo alle notizie di carattere letterario, in confronto
allo spazio dedicato alle notizie di carattere artistico, storico-politico,
economico ecc.»
Ricorda Dossena che l’idea embrionale di fare un libro dall’esatto
titolo di Guida all’Italia letteraria gli era venuta insieme a Mario Spagnol con il quale
in precedenza aveva scritto Avventure e viaggi di mare. Giornali di
bordo, relazioni, memorie (Feltrinelli 1965) e curato una Guida
all’Italia leggendaria misteriosa insolita fantastica, due volumi dedicati
rispettivamente al «Nord» e al «Centro-Sud e isole»
usciti da Sugar nel 1966-1967: in quest’occasione Dossena appare con lo
pseudonimo di Giovenale Santi.
Si delinea infine dall’autobibliografia dosseniana la figura dell’esperto
di giochi, e non solo
di parole, forse l’anima del Dossena più conosciuta dal grande
pubblico, legata alle rubriche da lui
tenute per anni su alcuni quotidiani (La Stampa, la Repubblica,
Il
Sole 24 ore) e riviste (fra tutte si ricorderà la mitica rubrica
dei «Wutki» su Linus).
Le enciclopedie e i dizionari sui giochi compilati da Dossena (Vallardi
1994; Utet 1999;
Zanichelli 2004) sono dei veri e propri libri d’autore. Dossena non
è un semplice compilatoredivulgatore-classificatore, le sue voci,
oltre che dotte senza esagerazione e ricche di gustose curiosità,
sono piccoli gioielli di letteratura, quasi sempre divertente. Perché
Dossena, anche quando veste i panni del giocologo, mantiene il piglio e
la cadenza del narratore autentico, resta comunque uno scrittore, uno «scrittore
vivacissimo» come lo definì Franco Fortini.
La sua scrittura è intrigante, originale, piena di umorismo,
anche nero, costellata di giudizi
irriverenti (contro il mondo dell’editoria, ad esempio, che conosceva
bene per averci lavorato a
lungo) e scatti generosi, di cortocircuiti insoliti, imprevedibili,
di allusioni stimolanti. Una scrittura
dal sapore «lombardo», in certi frangenti al limite dello
sperimentale, ma senza mai scadere
nell’astruso o nell’ermetico. In una lettera degli anni sessanta annota
il suo amico Luciano
Bianciardi: Dossena «ha una preparazione di prim’ordine e sa
scrivere».
Sfogliando l’autobibliografia del Dossena ci sono altri lati della
sua personalità che
meriterebbero un qualche approfondimento, come l’amore per il collezionismo,
quello dei
giocattoli, delle carte da gioco, ecc. Nella primavera del 1986 gli
mandai una lettera dentro una
busta che avevo preso in un albergo (non ricordo più quale),
e lui mi rispose chiedendomi ragguagli sulla provenienza di quella busta
perché mi disse: «Io faccio (sto cominciando a pensare come
si
possa fare) una collezione di carte da lettere intestate d’alberghi».
Per ultimo un cenno agli eteronomi dosseniani. Dossena si divertì
a creare dei personaggi
immaginari, degli eteronomi alla Pessoa (secondo alcuni «io sarei
Pessoa», scrive in una nota a
pagina 54 del Garibaldi fu ferito, il Mulino 1991).
A questo riguardo abbiamo già citato Giovenale Santi, autore
fra l’altro di un articolo
intitolato «Il modenese Delfini vuol rubare a Parma la “Chartreuse”
di Stendhal», apparso il 3
marzo 1961 sulla Gazzetta di Reggio Emilia, dove la questione
dibattuta è la tesi di Delfini secondo cui fu Modena, e non Parma,
a ispirare Stendhal.
Ce ne sono altri di eteronomi, come si deduce dal titolo della sua
autobibliografia (dove per
altro non sono riuscito a trovare alcun riferimento bibliografico a
Sandro Coggi). Di certo il più
estroso e prolifico fra gli eteronomi dosseniani è il colonnello
Mario Zaverio (o Xavier, forma
spagnola di Zaverio o Saverio) Rossi (1884-?), di Mirandola (Modena),
di cui Dossena ci offre
dettagliate note biografiche, a riprova di quanto prendesse sul serio
l’invenzione dei suoi personaggi di fantasia.
Già addetto all'Ufficio Cifra del SIM, il colonnello Rossi è
stato titolare delle cattedre di
Messaggi Cifrati e di Istituzioni Retoriche all'Accademia Militare
di Modena; ateo e non massone,
robustamente antifascista (subìto l’olio di ricino nel 1921,
conservò imbottigliati i frutti
dell’affronto, e li fece trangugiare agli invecchiati mascalzoni nel
1945) e antimonarchico, sempre
impassibile come Buster Keaton, ed erettissimo nella personcina (visto
di spalle era tale e quale
Giacomo Debenedetti), il colonnello fu un grande amante delle «rime
per l’occhio (rimes à l'oeil)» e autore di alcuni epigrammi
(si veda il Caffè, 1, 1965, pp. 56-70); il colonnello vedeva
un segno del destino di essere nato nel 1884, data in cui venne pubblicato
il romanzo À rebours di Joris-Karl Huysmans.
Del colonnello si conosce un quaderno d’appunti, intitolato Apologia
dell’aplologia, sulla
classificazione e «codificazione antinomenclatoria» di
alcuni giochi di parole, a partire da quello,
utilizzato dagli enigmisti italiani, che va sotto il nome di «lucchetto».
Ne «Le cerniere del
colonnello» (il Caffè, 3, 1977, pp. 48-61) a proposito
di questo testo Dossena afferma: «È fra i testi del colonnello
(Dio mi perdoni) più intorcinati e sbrodolati, con allusioni ermetiche
e tautologie snervanti. Non ha la struttura di un’orazione, di un saggio
o di un trattato: è un diario di ricerca,
datato giorno per giorno (con salti e lacune) dal 30 settembre 1930
(data verosimilmente casuale) al 30 settembre 1939 (data del Patto Ribbentropp-Molotov:
patto che, detto in breve con tutti i rischi della brevità, piaceva
molto al colonnello, il quale amava definirsi “stalinista dilettante”),
con
postille e interfoliazioni successive sempre datate, che ci portano
fino al cuore dei nostri anni
settanta. Non mi risultava né mi risulta che il colonnello abbia
mai tenuto altro diario: e forse
l’Apologia dell’aplologia non è affatto un diario (benché
ben architettato come trappola, con svariar d’inchiostri e tramutamenti
di grafia – facili a ottenere peraltro da chi, come il colonnello, fosse
collezionista di pennini d’acciaio) bensì un (disastroso) tentativo
di imitare Pascal».
L’opera maggiore del colonnello resta comunque un poemetto o «carme»
intitolato È morto Massinissa in 435 endecasillabi, ciascuno dei quali contiene
uno o più antipodi, gioco di parole con cui una lettera, iniziale
o finale, viene mandata agli antipodi delle lettere rimanenti, permettendo
una rilettura da destra a sinistra, così come accade, ad esempio,
con la parola «banana»: portando la «b» agli antipodi
di «anana», abbiamo «anana-b» che, letta da destra
a sinistra, dà di nuovo
«banana» da cui si è partiti; ciò succede
anche con il nome «M-assinissa». Un’edizione integrale del
libro sarebbe dovuta apparire in un volume curato dallo stesso Dossena
con il titolo Una palla di pelle di pollo, per l’editore Rizzoli.
In un lettera del 16 ottobre 2003 Dossena mi comunicava: «Mettendo
un po’ d’ordine ho
raccolto È MORTO MASSINISSA E ALTRE POESIE DEL COLONNELLO M.
Z. Rossi; forse un giorno le manderò quei pochi fogli», che
però non mi sono mai arrivati.
Andersen, libri &
idee - scuola & biblioteca, n. 258, aprile 2009, pp. 32-34.
Questo testo compare come introduzione alla mostra Scriver di giochi o giocar scrivendo. Giampaolo Dossena e i suoi libri nella Biblioteca Statale di Cremona,
mostra bibliografica a cura di Raffaele Barbierato e Francesco Cignoni,
Biblioteca Statale, Cremona, 21 settembre-5 ottobre 2019. Nel catalogo
vi sono anche testi di Beniamino Placido (Signori, si gioca!, "la Repubblica", 6 dicembre 1987) e Stefano Bartezzaghi (Una vita in gioco, "la Repubblica", 6 febbraio 2009; di
Bartezzaghi voglio ricordare anche lo scritto Giochi e vita di Giampaolo Dossena, "facetious", in Id., Scrittori giocatori, Einaudi, Torino 2010, pp. 85-108).
Per andare al menu delle mie collaborazioni
a Andersen
cliccate qui.
HOME
PAGE TèCHNE
RACCONTI POESIA
VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|