L'AMICIZIA
A me fanno
ridere quelli che sproloquiano teorizzando che l’amicizia – quand’è vera amicizia
– è un sentimento indistruttibile, che dura in eterno superando ogni difficoltà
(più dell’amore: quanti divorzi e famiglie spezzate si perpetuano ogni giorno nel
mondo?). Certo, come no, in eterno… Provate a chiedere cosa ne pensano al
riguardo Cézanne (qui sotto nella foto) e Zola, Buñuel e Dalí, Cancogni e Cassola, e molti altri
personaggi famosi, e vediamo cosa vi rispondono. Dopo un
folgorante avvio, le loro amicizie sono naufragate miseramente. Prendiamo ad
esempio Paul Cézanne e Émile Zola: fin dall’infanzia i due sono grandi amici.
Si conoscono al Collège Bourbon di Aix-en-Provence verso la metà del 1800,
accomunati – scrive Zola – «dal vago tormento di una comune ambizione, dallo
stimolo di un’intelligenza superiore». Nonostante le differenze economiche –
dopo la morte prematura del padre, Zola vive in ristrettezze economiche, mentre
Cézanne è figlio di un facoltoso banchiere – i due stringono un’appassionata
amicizia che durerà trent’anni. Zola dedica a
Cézanne Mon Salon (1866), un libro
che raccoglie i suoi scritti sulle mostre del Salon, l’esposizione annuale di
pittura che si tiene al Palais de l’Industrie di Parigi, apparsi sul giornale
«L’Événement», fondato da Victor Hugo: «È solo per te che scrivo queste poche
pagine, so che le leggerai col cuore e che domani mi amerai con più affetto.
[…] Tu sei tutta la mia giovinezza, ti trovo unito a tutte le mie gioie, a
tutte le mie sofferenze. I nostri spiriti, in fraternità, si sono sviluppati
fianco a fianco. Oggi abbiamo fede in noi perché abbiamo penetrato i nostri
cuori e la nostra carne». Nonostante
queste belle premesse, sopraggiunge la rottura fra i due. La crisi avviene con
la pubblicazione del romanzo di Zola L’œuvre
(1886). Probabilmente è la goccia che fa traboccare il vaso. Cézanne si riconosce
nel protagonista, il pittore Claude Lantier, che si batte per imporre una nuova
forma d’arte, lontana dagli imperanti canoni neoclassici; non sentendosi realizzato,
alla fine Lantier si suicida. Cézanne è ferito da quelle pagine, sente che
l’amico scrittore è deluso dalle sue opere pittoriche, lo testimonia il
silenzio su di lui negli articoli critici di Zola, la costante reticenza nel
lodarlo. I due non si parleranno più. Altro che AMICIZIA
ETERNA! INTRAMONTABILE! Parlo di
queste cose con cognizione di causa. Ho una certa esperienza in fatto di
amicizie finite, interrotte bruscamente, in apparenza senza alcun motivo serio.
All’inizio sembra che tutto fili liscio, d’amore e d’accordo, c’è un grande
affiatamento, una splendida complicità; poi a un tratto l’amicizia entra in
crisi, qualcosa si rompe, e quelli che una volta erano amici inseparabili, due
persone in una, diventano acerrimi nemici, prendono a odiarsi ferocemente, e la
ferocia con cui si odiano deriva dal fatto che – alla luce della passata
amicizia – si conoscono bene, sanno entrambi i lati oscuri della personalità
dell’altro, del vecchio ex-amico, e quindi sanno dove colpire per fare del male,
dove lanciare le loro frecce avvelenate. La mia più recente
esperienza (triste) di amicizia interrotta è con Fabio Ghirelli, l’ultimo di
una lunga schiera di amici abbandonati. La nostra rottura si è consumata appena
una settimana fa, è fresca fresca. Io e Fabio
siamo stati amici fin dalla scuola superiore, abbiamo frequentato l’Istituto
Tecnico per Ragionieri «Duca d’Aosta» di via Giusti a Firenze. Ci vedevamo
tutti i giorni, o quasi, anche fuori della scuola, e abbiamo continuato a
vederci anche dopo il diploma. Fra le altre cose ci accomunava una grande
passione per la Fiorentina. Tante volte siamo andati insieme allo stadio Artemio
Franchi al Campo di Marte, in curva Fiesole, a tifare per la Viola. Il primo
grosso screzio fra noi è avvenuto per futili motivi: la colpa è stata della
maionese. Quando cucinavo il bollito, lui s’impuntava di voler fare la maionese
in modo artigianale, sbattendo le uova in una terrina e colandovi sopra
lentamente l’olio d’oliva, e regolarmente, tutte le volte, la faceva impazzire;
sempre la stessa storia: la maionese impazziva e allora io gli proponevo di
usare quella in tubetto, industriale, che a me piace lo stesso, anzi, se devo
essere sincero, la preferisco a quella fatta a mano, ma lui s’infuriava
urlandomi che «Non capivo un cazzo di cucina!», che era meglio che andavo a
mangiare al McDonald’s (che per altro adoro). Una volta, dalla rabbia, gli ho
strizzato in faccia un tubetto di maionese, che, spalmato di giallo, sembrava uno
che avesse avuto l’itterizia; lui ci è rimasto male: mi ha lanciato contro un
coltello affilatissimo per tagliare la carne che per fortuna mi ha appena sfiorato
e si è conficcato sulla porta della cucina. Un’altra volta
abbiamo litigato per un tubetto del dentifricio. Quando Fabio veniva a dormire
da me, perché il giorno dopo andavamo allo stadio, trovavo in bagno il tubetto
del dentifricio accartocciato a metà, lo strizzava sempre al centro, e lo
lasciava senza il tappino avvitato, cose che mi fanno imbestialire, che non ho
mai sopportato, ho lasciato una ragazza per questa sciatteria del tubetto del
dentifricio. Dopo averglielo fatto notare gentilmente una, due, tre volte, alla
quarta ho preso Fabio per le spalle e gli ho tirato un cazzotto, lui ha cercato
di difendersi, voleva strozzarmi con un asciugamano, poi però è scivolato
cadendo malamente sul pavimento del bagno; a quel punto, standogli sopra, gli
ho strizzato in faccia tutto il contenuto del tubetto del dentifricio, che alla
fine il volto di Fabio sembrava quello di una statua di marmo. Per non dire di quella volta che, durante una
gita in bicicletta verso l’Abetone – entrambi siamo appassionati anche di
ciclismo – io avevo forato, m’era entrato uno spillone di ferro nel tubolare e
Fabio si è offerto di ripararmelo con una di quelle bombolette «gonfia e ripara»
in lattice, che un ciclista si porta sempre dietro. Non ci crederete: anche
questa volta, con le sue manone da scaricatore di porto, è riuscito a rompere la
bomboletta «gonfia e ripara», l’ha strizzata al centro, dopo averla agitata, praticamente
distruggendola. Eravamo vicini a una curva, sul ciglio della strada che si
apriva in un precipizio. Di fronte all’ennesima operazione maldestra di Fabio
ho perso le staffe: ci siamo azzuffati come due cani, rotolando lentamente
verso il precipizio, dopo di che, avvinghiati l’uno all’altro, siamo caduti nel
vuoto; mentre volavamo giù l’ho morso più volte in un orecchio, lui ha urlato
cercando di cavarmi un occhio, ma non c’è riuscito perché ho fatto in tempo a
strizzargli in faccia la bomboletta «gonfia e ripara», o meglio quel che
restava della bomboletta. La schiuma collosa ha ricoperto il volto di Fabio che
sembrava un Babbo Natale fuori stagione, dato che eravamo in piena estate, e ci
ha messo un sacco di tempo a liberarsi dallo strato appiccicoso del lattice,
specie dalla bocca e dagli occhi. Insomma, dopo
questi episodi, e altri ancora dello stesso genere che non sto qui a
raccontarvi per non farla troppo lunga (in tutti, o quasi, i nostri scontri
violenti c’è sempre stato di mezzo un tubetto spremuto in malo modo), la nostra
amicizia ha cominciato a scricchiolare, a dare segni evidenti di cedimento,
fino a quando, una settimana fa circa, dopo che Fabio ha cercato di uccidermi
sparandomi due fucilate con un Beretta semiautomatico (la caccia era un’altra
nostra passione in comune) perché l’avevo ripreso per aver strizzato male un
tubetto da pasticciere mentre stavamo scrivendo BUON COMPLEANNO MARIA TERESA su
una torta alla frutta, la nostra amicizia è finita, ci siamo lasciati per
sempre. Dopo quei colpi
di fucile, fortunatamente andati a vuoto, Fabio ha iniziato a piagnucolare, si
sentiva deluso dal mio atteggiamento aggressivo – tipo Cézanne con Zola –, non
ce la faceva più, era esasperato, gli pesava il mio giudizio sprezzante ogni
volta che lui prendeva in mano un tubetto e lo strizzava al centro, che non si
fa così, d’accordo, lo sapeva perfettamente anche lui, ma a questo mondo – si
lamentava Fabio rendendosi odioso – ci sono problemi più importanti dello
strizzare erroneamente uno stupido tubetto. Per esempio? –
gli ho chiesto io, sfidandolo. Per esempio arrivare
in ritardo agli appuntamenti; russare di notte – mi ha risposto Fabio come se
stesse recitando i versi di una poesia –; posare gli occhiali dalla parte delle
lenti; replicare «assolutamente sì» a una domanda; mettersi le dita nel naso in
pubblico pensando di non essere osservati; lampeggiare nella corsia di sorpasso
in autostrada; raccontare la trama di un film a chi non l’ha ancora visto; sputare
per strada; non lavarsi le mani dopo aver usato il bagno; alzare la voce mentre
si sta telefonando al cellulare; perdere un ombrello almeno una volta alla
settimana; fare rumore mentre si mangia; poggiare i piedi con le scarpe sul
seggiolino di un treno; non rispettare la coda in un bar o in un ristorante; scrivere
sui muri o sopra i monumenti; chiedere una raccomandazione; fare una battuta
sessista; ecc. ecc. Ho la vaga
impressione che in quel lungo elenco di Fabio ci sia più di un riferimento al
mio modo di vivere.
novembre 2019 _________________________________________
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