Aga magéra difúra Dizionario delle lingue immaginarie Zanichelli 2011 RECENSIONI ALLA RISTAMPA 2011 Luca Bombardieri
Rip da du da du da du-va da da dit dip bah!, con questo profondo aforisma (e acuta riflessione) che dobbiamo al vocione di Louis Amstrong si apre, in forma di ersergo-scat, Aga magéra difúra. Dizionario delle lingue immaginarie di Paolo Albani e Berlingruero Buonarroti (Prima edizione Zanichelli 1994, ristampa 2011). E bisogna confessare che la debole mano del recensore, morsa da debita tarantola, sarebbe davvero tentata di vergare (in omaggio agli autori, sia chiaro) nella lingua palindroma degli abitanti di Sirap (città della Megapatagonia agli antipodi di Paris), in Klingoniano, nella lingua di Sevarambia o proprio e direttamente in scat queste poche righe dedicate alla recente ristampa, anastatica del volume nella collana "i libri sempre aperti" di Zanichelli. Eppure no, non si può, perché Aga magéra difúra è oramai un classico. E, di più, trova luogo nella ridotta e preziosa schiera dei classici che divergono (e divertono). Col rispetto che si deve, dunque, a questa rara specie è il caso di mettere i panni del critico di classici. Il Dizionario delle lingue immaginarie ha rappresentato, infatti, senza dubbio una novità fortunata sotto due differenti punti di osservazione. Il primo, per così dire, di soggetto è legato all'apertura di orizzonte nello studio delle lingue “non naturali”; definite nel loro complesso senza alcun limite storico e geografico al raggio di azione della ricerca (così nell'introduzione alla prima edizione). Le lingue "immaginarie" di cui vanno a caccia Paolo Albani e Berlinghiero Buonarroti, a fronte di precedenti (e non molto numerosi) studi di dettaglio, si distribuiscono infatti su un terreno vasto per cronologia e tipologia. È proprio rifiutando confini precostituiti sulla base degli ambiti di interesse e di studio (la gabbia e al tempo stesso la trappola più comune per la ricerca nella sua accezione accademica più triste), che Aga magéra difúra raccoglie, descrive e, soprattutto, affianca nel più democratico e sincero degli ordini, ovvero l'ordine alfabetico del dizionario, lingue artificiali di carattere sacro (glossolalie, lingue iniziatiche, etc... ) e non, e fra queste ultime, lingue inventate con fini di comunicazione (gerghi, linguaggi di programmazione, linguaggi ibridi come i pidgìn) accanto a lingue ludiche puramente espressive o di natura letteraria (il titolo, come è noto, ricalca il primo verso di una poesia scritta in una lingua inventata dal signor Y, protagonista del Dialogo dei massimi sistemi di Tommaso Landolfi). Il
secondo elemento di novità che introduce
Aga magéra difúra è di
ordine compositivo, letterario si dovrebbe dire.
L'invito rivolto al lettore, nell'introduzione
al Dizionario, ad accostarsi ai singoli lemmi
come a capitoli di altrettanti romanzi
incompleti, legati all'estro e alla
varietà dei linguaggi artificiali,
rappresenta in effetti quasi una dichiarazione
di intenti e inaugura una forma di narrazione
per lemmi, che si può considerare una
felice variazione sul tema delle narrazioni
costrette (si pensi ai Romanzi in tre righe di
Félix Fénéon o a i Delitti
Esemplari di Max Aub), non tanto o soltanto nate
dalle sperimentazioni Oulipiane. Da Aga
magéra difúra fino al più
recente Dizionario degli Istituti Anomali nel
mondo (Quodlibet 201O; un repertorio dedicato ai
"pazzi letterari" italiani è in attesa
per lo stesso editore e vedrà la luce nei
prossimi mesi) questa forma, che tradisce il
Dizionario rimanendo rigorosamente
(mimeticamente) legato alla sua struttura, svela
la cifra leggera ed il carattere della scrittura
di Paolo Albani, l'instancabile, unico,
"spiritello ludico" che trama e ordisce. Il Nuovo Corriere di Firenze,
suppl. "Cultura commestibile", a cura di Sara
Chiarello, Aldo Frangioni, Rosaclelia Ganzerli,
Simone Siliani, Michele Morrocchi, 6 agosto
2011, p. 3.
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Raffaele
Aragona
Si tratta di un insolito dizionario, a cominciare dal titolo che riprende l'inizio di una poesia contenuta nel «Dialogo dei massimi sistemi» di Tommaso Landolfi e composta in «persiano» da un suo personaggio, un poeta che credeva di aver appreso quella lingua da un capitano inglese tanto da comporre tre liriche. In realtà si trattava di una lingua inesistente, del tutto inventata e l'autore se ne accorse soltanto quando si ritrovò per le mani un libro scritto in autentico persiano. Insolito anche per il contenuto, giacché un normale dizionario riferisce di un idioma esistente mentre questo tratta di tante lingue, e per giunta immaginarie. L'aggettivo, però, è qui fortemente semplificativo, in quanto si tratta anche di lingue realmente esistenti, ideate per il gusto di realizzare un linguaggio diverso o generate artificialmente in una sorta di laboratorio linguistico o anche di linguaggi inventati più per gioco che per comunicare, di glossolalie o ancora di lingue costruite all'insegna del nonsenso: è il caso dei versi metasemantici di Fosco Maraini (molte parole sono frutto di fantasia ma, nella loro studiata successione, diventano quasi credibili):
Ci son dei giorni smègi e lombidiosi col cielo dagro e un fònzero gongruto ci son meriggi gnàlidi e budriosi che plògidan sul mondo infrangelluto...
In alcuni casi si tratta proprio di lingue immaginarie, appartenenti a un paese inesistente, come la Megapatagonia di un romanzo di Restif de la Bretonne, dove si parla una lingua palindroma e che ha per capitale Sirap, poiché si trova agli antipodi di Paris... Altre volte il linguaggio, nato in effetti per comunicare, viene mascherato proprio per evitarne la comprensione a chi non ne possiede la chiave di lettura: è il caso dei codici segreti o addirittura dei linguaggi infantili, che deformano le parole in vario modo. L'indagine di Albani e Buonarroti va decisamente al di là del gioco o della curiosità. Sono tanti gli scritto e i poeti che hanno inventato qualcosa in termini di linguaggio con effetti diversi e imprevedibili: da Swift a Rabelais, da Perec a Calvino, da Queneau a Mathews: né mancano gli uomini di spettacolo (Dario Fo, ad esempio, con il suo «grammelot» o Monicelli con l'indimenticabile «supercazzola» del film Amici miei): Molte «voci» del dizionario, poi, si riferiscono a quelli che sono stati nei secoli i tentativi scientifici di una lingua artificiale, universale, utile per comunicare, ma con esiti sempre modesti, a riprova di quanto sostengono i linguisti: l'uomo parla soltanto l'idioma che apprende naturalmente, la lingua costruita va bene per i computer, ma non serve alla comunicazione. Il dizionario di Albani e Buonarroti riporta
le caratteristiche e gli inventori di una
molteplice varietà di linguaggi con
un sistema di rinvii e di citazioni
incrociate che non lasciano scoperto alcun
riferimento. Il Mattino, 12
agosto 2011, p. 21.
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Bruno Ventavoli [LO SCAFFALE]
Nel 1772,
György Kalmàr, nobile ungherese
pubblicò una
«pasigrafìa» filosofica di
sua invenzione, ovvero una lingua universale per
esprimere con 400 caratteri 400 nozioni metafisiche
fondamentali, e affratellare gli europei sempre
parecchio litigiosi sulle sfumature dei
concetti. Nel 1660 un gesuita francese, Philippe
Labbé, distillò dal latino una
lingua di soli monosillabi e bisillabi,
«facillima» da imparare, per
diffondere la fede nei continenti selvaggi e
facilitare i commerci. Sono due esempi dalla
ristampa del Dizionario
delle lingue immaginarie, che raccoglie
strambi personaggi veri, idiomi che sono vissuti
solo in romanzi (da Gulliver a Dune),
incunaboli, fumetti. Un dizionario rutilante non
da consultare, ma da leggere di palo in frasca,
come se fosse a sua volta un immaginario
romanzo. Con la voglia di saperne di più,
quando si inciampa in un folle linguista,
sepolto dall'oblio, che s'è spremuto per
aiutare gli uomini a capirsi meglio. (Fatica
vana). TuttoLibri
supplemento de La
Stampa, 7 gennaio 2012, p. II.
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