Paolo Albani
PAESE CHE VAI
GIOCATORE CHE TROVI



    Ogni volta che si affronta l’affascinante tema del gioco, il primo riferimento che viene in mente è il libro dello storico e linguista olandese John Huizinga Homo ludens (1939) dove il gioco è considerato un importante base e fattore di cultura, dato che le grandi attività originali della società umana – linguaggio, mito, culto, giustizia e ordine, traffico e industria, artigianato e arte, poesia, filosofia e scienza – sono tutte intessute di gioco.
    Il gioco è un’attività libera, non imposta da una necessità fisica o da un dovere morale, è un’azione provvisoria, svolta entro limiti di tempo e di spazio, una ricreazione fine a sé stessa, eseguita per amore del piacere che sta nella sua esecuzione; indispensabile all’individuo, osserva Huizinga, in quanto funzione biologica, e anche alla collettività per il senso che contiene, per il valore espressivo e i legami spirituali e sociali che crea.
    Il gioco si svolge con ordine secondo date regole, suscitando rapporti sociali che facilmente si circondano di mistero o accentuano mediante travestimento la loro diversità dal mondo solito, quello di tutti i giorni.
    Il gioco si contrappone alla serietà della vita reale, al lavoro come il tempo perso al tempo bene impiegato, non produce alcunché: né beni né opere; anche i giochi a base di denaro, scommesse o lotterie, non fanno eccezione: non creano ricchezze, le spostano soltanto, come ricorda un altro attento studioso del gioco, Roger Caillois ne I giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine (1958), ulteriore caposaldo per capire il gioco come fenomeno culturale.
    Per cercare di districarsi nell’ampia varietà dei giochi inventati dall’uomo, in Italia abbiano due strumenti formidabili: un’Enciclopedia dei giochi (1999), scritta da uno dei maggiori esperti in materia, Giampaolo Dossena, uscita per i tipi dell’Utet in tre ponderosi volumi, e un Dizionario dei giochi (2010) di Andrea Angiolino e Beniamino Sidoti, edito da Zanichelli. Inoltrarsi fra le pagine di questi due testi provoca una vertigine, un godimento davvero giocoso («se mi passate il gioco di parole», frase da sprovveduti che andrebbe bandita, sanzionata, dato che non c’è niente di scandaloso, di sconveniente nel fare un gioco di parole).
    Al gioco è dedicato Il giro del mondo in 80 giochi di Marcus Du Sautoy, professore di matematica all’Università di Oxford, fra i più importanti scienziati del Regno Unito, Fellow della Royal Society, collaboratore di “Times”, “Daily Telegraph”, “Guardian” e Bbc. Oltre a questi titoli, Du Sautoy è un appassionato di giochi, che colleziona, quando può, durante i suoi numerosi viaggi all’estero legati all’attività di matematico.
    Il libro, come si deduce dal titolo, prende a modello narrativo il viaggio intrapreso dal gentleman londinese Phileas Fogg, insieme all’aiutante Passepartout, per circumnavigare il globo in 80 giorni, a seguito di una scommessa di 20.000 sterline stipulata con cinque soci del Reform Club. La storia è raccontata da Jules Verne nel romanzo di enorme successo Il giro del mondo in ottanta giorni (1872).



    Ciò che muove Du Sautoy non è però una scommessa, lo sorregge, come detto, il suo sconfinato amore per i giochi, perché i giochi sono storie, «reperti archeologici viventi», riflettono le culture dei paesi in cui nascono, e dunque aiutano a comprendere le somiglianze e le differenze fra le varie culture. In più c’è che Du Sautoy è un matematico e fra il gioco e la matematica esiste un rapporto stretto. I giochi, confessa Du Sautoy, sono per me un modo di fare matematica, dato che, in moltissimi casi, un gioco ha alla propria base un’idea matematica astratta (ne sanno qualcosa i membri dell’OuLiPo come Raymond Queneau e Italo Calvino).
    Il luogo da cui “salpa” Fogg-Du Sautoy per il suo viaggio, non è un club aristocratico, ma il mitico British Museum dove, da bambino, il matematico inglese scopre il Gioco reale di Ur, gioco sumero risalente alla metà del terzo millennio avanti Cristo, la cui tavola è composta di conchiglie intarsiate in una scatola di legno colorata in diverse tonalità di colore. Il gioco, di cui si conosce poco, veniva giocato con dadi a forma di piccole piramidi.
    Per ogni tappa del suo viaggio, Fogg-Du Sautoy compila un resoconto dei giochi più significativi incontrati nel paese che visita, mostrandone, in appositi utili riquadri, i risvolti matematici. Così in Medio Oriente, insieme al Gioco reale di Ur (luogo situato nell’attuale Iraq), Fogg-Du Sautoy si sofferma sul backgammon, pieno di colpi di scena come accade nella matematica del caos; in India parla in primo luogo degli scacchi, uno dei più straordinari giochi di guerra inventato dagli uomini; in Cina del go, gioco di conquista territoriale dove i pezzi non vengono rimossi dalla tavola (Georges Perec, insieme a Pierre Lusson e Jacques Roubaud, ha scritto un delizioso Breve trattato sulla sottile arte del go), gli shanghai, il domino; in Giappone le carte Pokémon, bizzarri mostriciattoli in lotta fra loro, e via di seguito.
    Una curiosità. La narrazione di Fogg-Du Sautoy è ricca di stuzzicanti curiosità storiche. Come questa. Ai suoi tempi, Buddha mise al bando molti giochi, considerati una distrazione dal serio compito di raggiungere l’illuminazione. Fra i giochi banditi dal Buddha figurano quelli con i dadi e qualunque gioco con una palla. A proposito di quest’ultimo, mi sono chiesto: Roberto Baggio, soprannominato «il codino», estroso giocatore di calcio convertitosi al buddismo nel 1988, conosceva questa proibizione?




Marcus Du Sautoy
Il giro del mondo in 80 giochi

Traduzione di Daniele Didero
Rizzoli, pagg. 516, € 20
   

Domenica - Il Sole 24 Ore, N. 354, 24 dicembre 2023, p. VI.
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