Poesia visiva
La pittura da leggere e viceversa
di
Lea Vergine
La pittura da leggere, o poesia da guardare, attraverso
l'ironica riutilizzazione di immagini e slogan di vasta circolazione, capovolge
il significato dell'informazione diffusa dai media. Si persegue una ritorsione
critica nei riguardi dell'ossessionante panorama di segni, simboli e figure
che la pubblicità propina. «La merce respinta al mittente»,
come scriveva Pignotti.
In Italia, nel '63, si fa molta attenzione alla Poesia Tecnologica
del gruppo fiorentino con Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci,
Ketty La Rocca, Luciano Ori, Malquori e a quella dei napoletani con Stelio
Maria Martini (e, in seguito, Luciano Caruso, Giovanni Rubino, Felice Piemontese,
Carlo Nazzaro). Quasi contemporanee, a Roma, vi furono le sperimentazioni
"collagistiche" e "grafiche" di Nanni Balestrini, Alfredo Giuliani, Renato
Pedio e Antonio Porta; e le indicazioni di Emilio Villa e Mario Diacono,
inventori della rivista "Ex".
Sono anche da ricordare, tra Bologna e Milano, episodi come quelli
firmati da Patrizia Vicinelli e Roberto Sanesi.
Altri nomi fanno sì che si arrivi alla definizione di Poesia
Visiva vera e propria: Ugo Carrega, Adriano Spatola, Martino e Anna Oberto
(fondatori della rivista "Ana. etc."), Vincenzo Accame, Emilio Isgrò,
Luciano Caruso; e ancora Mirella Bentivoglio, Franco Vaccari, Rolando Mignani,
Rodolfo Vitone, Liliana Landi, Vincenzo Ferrari, Corrado d'Ottavi, Giulia
Niccolai, Maurizio Nannucci, Magdalo Mussio, William Xerra, Michele Perfetti,
Sarenco (organizzatore, insieme al belga Paul de Vree, delle edizioni Amodulo
e della rivista «Lotta Poetica»).
Lettere alfabetiche, ideogrammi, corsivi, arabeschi, immagini, geroglifici,
combinati in modo da scuotere il linguaggio e la lettura d'uso abituale,
sono i "materiali" della Poesia Visiva. Segni che significano se stessi
e rimandano ad altro da sé, consentendo interpretazioni mutevoli.
A volte si tratta di esprimere un'idea più prepotentemente, raddoppiando
l'intensità del messaggio; si ricorre all'antitesi del segno e della
figura. E’ in questo senso che tali proposte si distaccano da quelle dell'avanguardia
dei primi del secolo; esse si pongono come linguaggio peculiare e non come
virtuosismo di artifici tipografici. Alle immagini vengono accostate scritte
con sapore di contrasto, aventi funzione di stimolo in vista del processo
associativo che avviene in chi guarda. Così ci si rende conto che
il significato attribuito a quella parola scritta o stampata o a quella
immagine letta abitualmente in tutt'altro contesto è, alla fine,
solo frutto di un condizionamento associazionistico istituzionalizzato
dalle convenzioni dei media. Altre volte si tratta, invece, di organizzazioni
di materiale segnico: nelle opere di Franz Mon, Yasuo Fujitomi, Adriano
Spatola, Vàclav Havei, Ladislav Novàk, Jirì Kolàr,
Furnival, ad esempio, sia la scrittura sia i caratteri di stampa mantengono
la loro veste tipografica e si propongono come oggetti. In altri ancora
- basterà ricordare Tom Ulrichs - la componente tipografica-ideogrammatica
genera una sorta di pagina-quadro non priva di riferimenti linguistici.
Il che è molto vicino alla poetica dei concreti. Ma prima di passare
alla Poesia Concreta e alle differenze rispetto alla visiva ortodossa,
se così si può dire, occorre soffermarsi su Ugo Carrega,
fondatore del milanese Centro Tool dove, dal gennaio '71, ha fornito una
sistematica informazione internazionale su quanto hanno prodotto e producono
i poeti visivi. Carrega (che aveva già curato le Edizioni Tool,
sei quaderni di scrittura simbiotica usciti dal '65 al '67) sostiene
che non si tratta di conferire alle parole una conformazione mimetica ma
di usare tracciati spaziali come significanti. In altri termini, tutto
ciò che viene messo sulla pagina deve rispondere a una necesità
di rapporto tra i segni.
Alle spalle della Poesia Concreta c'è il Lettrismo di Isidore
Isou. Isou, fondatore della corrente Lettrismo nel '45, sostenne
che la lettera alfabetica costituisce valore di per sé, a prescindere
dalla parola. Ma è con Decio Pignatari e i fratelli Augusto e Haroldo
De Campos, Carlo Belloli, José Grunewald, Jirì Kolàr,
Eugen Gomringer che la ricerca poetica si identifica con la possibilità
visiva della parola-segno.
Negli anni Sessanta, Ilse e Pierre Garnier parlano di nuova poesia
fonetica; apparentabili a questa piccola eresia furono anche Henry Chopin,
François Dufrêne e Dieter Rot. In Italia, Arrigo Lora Torino
ne è il principale esponente. Insieme a Max Bense, Heine Gappmayr,
Ferdinand Kriwet e Dieter Rot, realizzano una forma paraideogrammatica
che ricorre prevalentemente a modalità geometrico-simmetriche.
La semplice traccia di qualsiasi macchina da scrivere intende provocare
la riflessione sulle qualità estetiche delle lettere, al di là
di ogni loro intrinseco significato. Il dattiloscritto si impone quasi
feticisticamente.
Possiamo concludere che ci sono stati diversi modi di operare: quello
in cui l'elemento verbale ha valore visuale e di conoscenza; quello che
adopera l'elemento tipografico per comporre delle forme; quello che usa
i segni alfabetici.; quello per cui la lettera alfabetica ha intenzionalità
linguistica e rompe la dimensione della pittura.
Tutti questi fenomeni hanno le loro radici nella cultura di fine Ottocento,
quando non ci si voglia togliere il gusto di andare a ripescare le opere
di Bernowinus, Scotus, Maurus, Da Fiore e altri autori medievali come ha
fatto Luciano Caruso. Gli antecedenti - senza voler risalire ai carmina
figurata degli alessandrini - si chiamano Apollinaire, Mallarmé,
Kassak, Breton, Tzara, Picabia, Van Doesburg, Balla, Morgenstern ecc.
Negli anni Sessanta e Settanta, essendo la Poesia Visiva divenuta una
specie di chiamata a testimonianza, molti pittori diedero un contributo
di scrittura. Si pensi a Gastone Novelli, Gianfranco Baruchello,
Irma Blank, Betty Danon, Mimmo Rotella, Bruno di Bello, Luca Patella, Claudio
Parmiggiani.
Tra le episodiche situazioni di transito nell'area della Poesia Visiva
vanno ricordati i musicisti Paolo Castaldi, Sylvano Bussotti, Franco Battiato,
Walter Marchetti, Juan Hidalgo e fluxers come Giuseppe Chiari e
Ben Vautier.
Da: Lea Vergine, L'arte in trincea. Lessico delle tendenze artistiche
1960-1990, Milano, Skira, 1999, pp. 107-111.
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