Paolo Albani
POST-IT

           
    Forse sarà perché sto perdendo la memoria, e mi dimentico le cose, a volte mi succede di non ricordarmi quello che devo fare, entro sparato in una stanza e dopo un attimo mi chiedo: cosa ci sono entrato a fare? Oppure apro il frigo e mi chiedo: perché ho aperto il frigorifero, cosa volevo prendere? Sarà per tutte queste occorrenze da smemorato che adoro i Post-it, quei quadratini o rettangolini (ne esistono anche a forma di mela, foglia, ecc.), di preferenza gialli, ma pure di altri colori, blu, arancione, verde, fucsia, grigio, ecc., che hanno una serie di foglietti con un lato adesivo, che si possono appiccicare dove si vuole.

     I Post-it sono i miei salva-memoria, senza di loro non so come potrei fare a colmare i continui vuoti della mia memoria, sempre più labile. Credo di essere il più grande consumatore di Post-it al mondo. Me ne faccio sempre una scorta ragguardevole, non posso rimanere senza Post-it, entrerei subito nel panico, in una crisi d’astinenza da Post-it, perché sono prigioniero dentro il tunnel della Post-it-dipendenza, intossicato da quei foglietti adesivi. I produttori di Post-it dovrebbero farmi un monumento o almeno regalarmi un viaggio premio nel paese dei Post-it, che è l’Ameria (l'adesivo originale è stato inventato nel 1968 da Spencer Silver, un ricercatore dell’azienda statunitense 3M) al pari di ciò che accadeva un tempo ai più grandi diffusori porta a porta de “L’Unità” cui, per il loro attaccamento al quotidiano comunista, si regalava un viaggio premio in Unione Sovietica.

    Se venite a casa mia potrete constatare di persona che in ogni stanza, in ogni angolo, in ogni spazio remoto, in ogni anfratto, mobile, cassetto, ripostiglio, pagina di libro, c’è un Post-it con un breve appunto sopra, una noticina, una frase sintetica scritta a mano, seguita dalla data e l’indicazione del giorno della settimana e l’ora precisa.

Non riguardano solo gli affari correnti, la banale gestione domestica della casa, i miei Post-it, tipo “ricordati di comprare il burro”, “domani in mattinata viene il tecnico Sky”, “chiudi sempre il gas quando esci”. Un certo numero di Post-it ha un taglio, diciamo così, di tono decisamente esistenziale, un approccio più astratto alla realtà, sono messaggi che non scadono mai, di un valore maieutico che va al di là del particolare periodo in cui sono stati redatti: “la notte è un bene-rifugio di pensieri caldi”, “una benefica solitudine, da coltivare come una pianta medicinale” (questo Post-it ha stazionato a lungo sul coperchio della mia cassetta delle medicine, in bagno), “esistono uscite di sicurezza di cui fidarsi?”, “oggi scoppio di noia”.

Raramente può accadere che, nonostante contengano ogni indicazione temporale (giorno della settimana, data e ora), il messaggio di un Post-it rimanga incomprensibile, misterioso. L’altro giorno, ad esempio, ne ho trovato uno – risalente a lunedì 23 marzo 1998 ore 10:44 – su cui era scritto “piove sul bagnato, ma intanto piove e non devo dimenticarmi di lei, oggi pomeriggio”; questa frase non mi diceva niente, non ricordavo perché e la circostanza in cui l’avevo scritta. Chi era la “lei” menzionata? Buio assoluto. Questo tipo di Post.it è ciò che chiamo un “Post.it cieco”.

Li lascio dove sono i Post-it, dove li ho appiccicati la prima volta, restano al loro posto per un sacco di tempo, a volte trascorrono degli anni, perché – questo è un punto cruciale – rileggendoli riesco a ricostruire non solo i pensieri che hanno attraversato la mia mente, gli stati d’animo vissuti molti anni prima, ma anche quello che ho fatto, ad esempio gli appuntamenti mancati o realizzati, riesco a ricordarmi le persone con cui mi sono incontrato, persone care che ho frequentato e con cui ho condiviso alcune esperienze che, se non avessi usato i Post-it, sarebbero cadute facilmente nel dimenticatoio, sparite, svanite nel nulla.

      Li lascio sedimentare, i Post-it che dissemino per casa, li lascio maturare nel tempo, perché – è questo un altro aspetto interessante della loro natura comunicativa – cambiano di senso a seconda dell’umore in cui mi trovo quando li leggo. Sono davvero delle opere aperte.

     Naturalmente ci sono dei punti in cui, dentro la mia casa, la densità dei Post-it è più alta. I maggiori picchi di affollamento si hanno intorno al computer (questo è normale, poiché uso il computer per il mio lavoro) e in cucina, dato che a me piace cucinare, per gli amici e anche per me, e passo in cucina un certo numero di ore della giornata, quando non sono fuori, in viaggio. Mi rilassa trafficare fra i fornelli.

     A qualcuno, dopo che ha visto l’esagerata proliferazione casalinga dei miei Post-it, viene in mente di chiedermi, e sento un filo di compatimento nella sua voce: “Ma perché ti ostini a voler ricordare cos’hai fatto il giorno X dell’anno Y all’ora Z? A che ti serve? In certi casi può essere anche spiacevole, doloroso. Meglio dimenticare, non credi?” A queste insensatezze (non so come definirle altrimenti) mi limito a rispondere con una semplice domanda: “Cosa sarebbe l’uomo se smarrisse il filo della sua memoria?”

     Dal punto di vista estetico, la prima (superficiale) impressione che la mia casa può offrire è quella di uno spettacolo disturbante, assurdo. Tutti quei Post-it disseminati, sparsi ovunque, in un accumulo di segnalazioni frammentarie, solo a me familiari. Può fare un effetto strano, un effetto che come minimo, nell’economia della visibilità, falsa la luce dell’appartamento, la ingiallisce. L’architetto che ha ristrutturato la mia casa – lo conosco da una vita, siamo amici – ogni volta che viene a trovarmi protesta, si arrabbia, dice che la mia mania per i Post-it rende un cattivo servizio all’ambiente in cui vivo, comunica un che di sciatto, di trasandato, di maledettamente precario, di ossessivo, un’aria da ufficio del comune in procinto di traslocare.

Ti sbagli profondamente, gli rispondo, caro mio. Secondo me, al contrario, i Post-it trasmettono un che di vissuto, di frenetico legato alle tante cose da sbrigare segnalate su quei foglietti gialli (il mio colore preferito), di movimento vitale; danno alla casa una vivacità che la disposizione degli oggetti, l’arredamento (che per altro ha scelto lui, il mio amico architetto), da soli, non sono in grado di suscitare.

Potrei scrivere un romanzo in forma di Post-it, mettendo insieme, cucendo una dopo l’altra le frasi contenute sui Post-it della mia vita, seguendo un criterio cronologico o tematico o di altro tipo. Sarebbe un’operazione quanto meno originale. Un romanzo dallo stile sintetico, un po’ alla Baricco, un Baricco portato alle estreme conseguenze. Non ci ho mai provato, ma sono sicuro che l’esperimento non sarebbe male, dal punto di vista letterario. Niente male.

Per fortuna non ho di queste velleità scrittorie. Ho solo una sana passione per i Post-it, mi piace tenerne una scorta consistente in casa e usarli non appena avverto il pericolo della dimenticanza. Avere tanti Post-it a disposizione è un fatto che mi dà una certa sicurezza, mi tranquillizza, come far l’amore usando il profilattico.

Lo dico sempre ai miei amici: se volete farmi felice, quando cade il mio compleanno o arrivano le feste comandate – altro che calzini, cravatte, camicie, guanti, libri o dopobarba del cavolo – regalatemi piuttosto una bella confezione multicolore di Post-it. Mi farete davvero contento.

 

In questo momento sono le 11:37 del mattino di domenica 24 febbraio 2019, voglio prendermi una pausa, mi sono stancato di scrivere intorno al mio amore per i Post-it.

Faccio uno stacco.

Prendo un Post-it che ho qui accanto, sulla mia sinistra, un Post-it giallo di forma rettangolare, 3,8x5 cm, e ci scrivo sopra, insieme alla data di oggi, giorno e ora: “RICORDARSI DI FINIRE IL RACCONTO SUI POST-IT”, e lo attacco vicino allo schermo del computer, non si sa mai, dovessi dimenticarmene.


marzo 2019

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