LO SCRITTORE CHE VOLEVA DIVENTARE OULIPIANO topi che costruiscono da sé il labirinto da cui si propongono di uscire. Il riferimento ai
«topi» di Queneau - si apprende
dalla quarta di copertina del libro di cui ci occupiamo - è
stato
il pungolo che ha fatto scattare nell’animo di Giorgio Pardini,
analista-programmatore
svizzero, non nuovo a spericolate «prove d’artista» (due
anni
fa editò un video di due ore e mezzo sulla forma delle mani dei
pianisti), il desiderio di diventare uno scrittore oulipiano. talo, taro, taso, tato, teco, telo, temo, teso, tifo, timo (in un primo tempo, scambiando la «t» con la «l», Pollard scrive erroneamente «limo», omaggio fin troppo scoperto ai Figli del limo di Queneau), tino, tipo, tiro, toco, tofo, togo, tolo, tomo, tono, toro, toso, toto, trio, tubo, tufo, turo e tuto. Il primo capitolo de I topi di Babilonia si apre con la descrizione minuziosa di una cena nell’ambasciata francese di Bagdad, cena le cui portate sono tutte a base di formaggio. Anche gli altri tre capitoli del romanzo ostentano all’inizio chiare allusioni ai formaggi: La pelle di Madame Robillard, si legge ad esempio nelle prime righe del terzo capitolo, era bianca e flaccida come un pezzetto di tenero stracchino dentro un piatto di porcellana. Ogni pagina del romanzo di Pardini è un susseguirsi di acrobazie e funambolesche manipolazioni linguistiche. Vi sono poesiole d’amore in forma d’acrostico («Tesoro mio, / Oggi il tuo volto, / Più argenteo che mai, / Ò visitato in sogno») o lunghi periodi lipogrammati, privi delle lettere «o», «p» e «t», che scorrono per pagine intere, come in questa il cui incipit è: Era una ragazza di una bellezza lunare, ma fragile, simile ad una farfalla in balia di una brezza crudele. In fede sua, Claudine si augurava di vivere felice a Bagdad, insieme alla madre, e vagheggiava un avvenire senza macchie... All’alba, una bufera di sabbia fece cadere le vecchie mura della casa in cui risiedeva il generale Biddle. Claudine udì dei sibili, quindi le grida di un mullah che fuggiva dalla medina in fiamme. Gettate qua e là ad arte lungo il flusso della narrazione s’incontrano parole-valigia (topazio da «top-o + s-azio»; topiario da «top-o + d-iario»; toponimo da «top-o + an-onimo»; toppa da «top-o + map-pa»; il neologismo tossulta da «to-po + su-ssulta» che esprime un modo secco, stridente di tossire); paginate di tautogrammi in «t»; logogrifi (top, Po, op!); centoni con brani presi da autori che hanno parlato di topi: ben riconoscibile è quello copiato da Il primo libro delle favole di Gadda: Il topo, penetrato nel credenzone, vi messe tutto a soqquadro: pur d’arrivare a le polpette. Ed ancora palindromi: la carovana che, a metà romanzo, attraversa una striscia del deserto di Al Hamad, è guidata da un certo Opot; un’infinità di monovocalismi: Pollard, rapito da un gruppo di fanatici religiosi che vive nell’oscurità delle grotte sulle montagne Zagros, ascolta i lamenti di uno dei suoi carcerieri prostrato ai piedi di una gigantesca colonna con una testa di topo sporgente dall’estremità: O profondo Topo, io sono goffo, provo sconforto, non trovo sonno, soffro molto. Vi sono metagrammi su cui si esercita Brett, figlio dodicenne dell’assistente di Pollard: topi-tipi-tifi-tufi-gufi-guli-muli-mulo-melo-meco-mico-mici e persino un anagramma, dissimulato in un frammento di dialogo fra Pollard e l’amico Mulay: - Adesso ti
senti meglio, più leggero? - disse
Pollard appoggiandogli una mano sulla spalla. dove poto, prima persona
del presente indicativo del verbo «potare»,
è per l’appunto l’anagramma di «topo». giugno 2003 Apparso anche su il Caffè illustrato, 13/14, luglio-ottobre 2003, pp. 10-11. Per tornare al sommario de il Caffè illustrato cliccate qui. HOME PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA |