Paolo Albani
  L'ORDINE

 

   C’era una volta un tale che...
   No, scherzo, un attimo: l’espressione “c’era una volta” non è esatta, bisogna dire “c’è” perché il tale di cui parlo esiste davvero, è vivo e vegeto. È il mio vicino di casa, si chiama Perso Arrangiàti. Abita nel villino di fianco al mio. Lo vedo quasi tutti i giorni. Siamo buoni amici. Ci accomuna il fatto di essere entrambi vedovi e pensionati, con figli all’estero. Siamo due single, come si dice oggi.   La nostra comunanza tuttavia finisce qui, per il resto siamo diversissimi su ogni cosa, agli opposti.

   Il mio vicino di casa è l’uomo più ordinato del mondo, per quanto io non conosca tutti gli uomini che vivono in questo mondo e le loro abitudini. So più o meno quanti siamo su questa terra, credo, se non mi sbaglio, che al momento ci siano circa 8 miliardi di persone. Dunque fate un po’ i vostri calcoli, per conoscerli tutti, uno a uno, dovrei campare più di Matusalemme, sempre ammesso che non abbia altra occupazione giornaliera se non quella di conoscere uno alla volta gli 8 miliardi di persone che vivono sulla terra.
   La mia affermazione – il mio vicino di casa è l’uomo più ordinato del mondo – è palesemente un’esagerazione, non va presa alla lettera, mi è utile per inquadrare il personaggio, cioè il mio vicino di casa e la sua mania per l’ordine. Un’ossessione.
  La prima volta che entro a casa sua percepisco subito che regna un ordine esagerato, opprimente. Tutto è al suo posto, esattamente dov’è prevedibile che sia, non un centimetro più in là, né più sotto né più sopra. Lo deduco in primo luogo dalla disposizione dei libri su un’enorme libreria in legno bianca: i libri sono disposti per altezza e per colore (è probabile ci sia qualche altro vincolo che mi sfugge), per cui la libreria del mio vicino sembra un quadro di Mondrian (avete presente Composizione con giallo, blu e rosso), un reticolo di spazi colorati che sfumano gradatamente d’intensità. Niente è lasciato al caso.
  Sulla libreria l’ordine la fa da padrone. Mi domando se Perso li legga i libri che compra, o gli servano solo a scopo decorativo, per allestire il suo mondrianiano puzzle cartaceo.
  Un altro elemento che mi colpisce durante la mia prima visita in casa di Perso è la circolarità dei tavolini disseminati per la casa. In ogni stanza i tavoli, sebbene di diversa dimensione, sono circolari e con il piano di vetro. Non un tavolo quadrato o rettangolare. Il cerchio è la forma geometrica assoluta, imperante in quella casa. Perfino in bagno, di fianco al lavabo, c’è un tavolinetto circolare di vetro, alto non più di 30 cm, dove, in due file di uguale lunghezza, è poggiato un kit di forbici per ogni uso: taglio delle unghie, dei peli del naso, ecc.; ci sono anche forbicine di lusso, in oro con foderi di pelle impressa, che uno gli viene il sospetto: «Questo mica le usa le forbicine, le colleziona».
  Noto anche che alle pareti i quadri sono tutti ovali, dipinti del XIX secolo che riproducono in prevalenza paesaggi marini e nature morte. Presumo  che la Weltanschauung del mio vicino di casa (la sparo grossa) contempli che la posizione occupata dall'uomo nel mondo sia espressa da un cerchio, forma che «rappresenta la perfezione, la compiutezza, l’unione, ciò che non ha rottura e cesura, emblema di ciò che non ha inizio né fine, formato da un’unica linea le cui estremità si ricongiungono per annullarsi l’una nell’altra».
  Non metterei la mano sul fuoco su questa supposizione, forse però non è lontana dal vero.
  Una volta, a casa del mio vicino, lui mi offre del tè. Tutti i giorni alle cinque in punto, quando l’orologio a pendolo del suo soggiorno, regolato sul fuso orario di Roma, batte le cinque, lui si fa il tè, né un minuto prima né un minuto dopo. È un’abitudine che ha preso – così mi ha detto – dopo un soggiorno a Londra, in visita al figlio maggiore che lavora in una banca inglese.
  Alle cinque in punto, nel soggiorno, quando sono suo ospite, Perso arriva con un vassoio contenente una teiera, due tazzine di porcellana, una zuccheriera e un piattino con dolcetti inglesi al limone ricoperti di zucchero a velo. Mi serve il tè poggiando la mia tazzina a due centimetri dalla zuccheriera. Sorseggio il mio tè, tranquillo, poi ripongo la tazzina sul tavolo, in un punto lontano dalla zuccheriera, non lo faccio apposta, il mio collocamento sul tavolino (di vetro e circolare) non vuol essere una provocazione. Non ci crederete: con un gesto veloce della mano, un colpetto leggero, continuando a parlarmi, impassibile, di quello di cui stavamo parlando (mi sembra del cinema di Truffaut), Perso sposta la mia tazzina a due centimetri dalla zuccheriera, ricomponendo magicamente l’ordine iniziale della disposizione degli oggetti traslocati dal vassoio al tavolo, disposizione da lui scelta non casualmente.
  Lo giuro, non sto inventando nulla: ha fatto quello spostamento millimetrico in modo meccanico, automatico, come se rispondesse all’impulso di un ordine cosmico da cui è dominato.
  Ho controllato: nei giorni successivi, quando mi sono trovato di nuovo a prendere il tè a casa sua, la disposizione degli oggetti del vassoio è rimasta uguale, immutata sopra il tavolino; se avessi avuto un metro per misurare la distanza fra teiera, tazzine e piattino dei dolcetti inglesi scommetto che avrei ottenuto gli stessi centimetri di divisione fra di loro. Su questo sarei disposto a mettere la mia mano sul fuoco.
  L’ordine con cui il mio vicino di casa tiene il giardino è maniacale. Una roba folle. I fiori delle due aiuole circolari che interrompono la regolarità del pratino all’inglese hanno gli stessi colori – non credo sia un caso – dei libri che stanno sugli scaffali della sua libreria. Giallo, blu, rosso. Non si sbaglia: ancora i motivi ricorrenti di Mondrian.
  Le finestre del suo villino, su due piani, sono circolari. Quella del ripostiglio, che affaccia sul giardino (anch’esso circolare, neanche a farlo apposta), somiglia all’oblò di una nave. Al centro del giardino, una piccola vasca circolare con i pesci rossi, ma non quelli comuni, bensì un tipo di pesci rossi particolari, detto Carassio a occhi a bolla d'acqua, tanto per non perdere il riferimento alla rotondità.
  Tutta questa circolarità, platealmente esibita, alla fine, se devo essere sincero, a me un po’ dà fastidio, mi urta, però mi guardo bene da dirlo al mio vicino di casa.
  C’è un famoso aneddoto secondo il quale gli abitanti di Königsberg regolavano gli orologi sulla passeggiata quotidiana di Emanuel Kant. La stessa cosa, senza far paragoni tra Perso e il filosofo tedesco, accade con il mio vicino di casa: quando Perso esce al mattino, nei giorni feriali, potete star tranquilli che sono le 7:30, quando rientra dal lavoro sono le 18:37; quando Perso va a fare la spesa al sabato esce di casa alle 16:30 esatte e rientra regolarmente alle 19:54; quando al pomeriggio, d’inverno, a domeniche alterne, Perso va al cinema, se avrete la pazienza di controllare il vostro orologio vedrete che segna le 17:11, sicuro, mentre il rientro è previsto alle 20:02 spaccate.
  Tutto calcolato, sincronizzato. Il giorno che questi orari dovessero sballare, anche di poco, ci sarà da preoccuparsi, vorrà dire che è successo qualcosa di non dipendente dalla sua volontà, un imprevisto. Fino a ora, in base alle mie ricognizioni sui tempi di spostamento del mio vicino di casa, in dieci anni, non si è mai verificato un ritardo, una sbavatura temporale. Il mio vicino di casa è come se avesse un cronometro incorporato, è una macchina programmata su certi ritmi segnati su tabelle rigide, prestabilite e inamovibili.
  Non è difficile immaginare che Perso è un amante della puntualità. Arriva sempre in orario, non sgarra mai in fatto di puntualità, non ha mai dato buca a un appuntamento, non ha mai perso (se mi passate il giochetto di parole) un treno o un aereo. Una volta siamo andati in gita al Gran Sasso, la partenza del pullman è fissata per le 7 del mattino, alle 6:10 lui è già lì, nel piazzale da cui si parte, con lo zaino in spalla, fresco come una rosa, che legge in piedi L'arte nuova, la nuova vita di Mondrian che gli ho regalato per il compleanno.
  In quanto fedele adepto del dio “ordine”, Perso Arrangiàti è un maledetto abitudinario. Frequenta gli stessi locali dove ormai sanno bene quello che gli piace, lo stesso bagno – il Capri di Forte dei Marmi – d’estate, sempre nello stesso periodo (dal 16 al 25 agosto), compra le stesse scarpe da una vita, le stesse giacche, le stesse magliette Lacoste dello stesso colore (giallo, blu, rosso), gli stessi calzini Gallo, fuma le stesse sigarette, mangia le stesse pietanze secondo un menu settimanale che non varia mai.
  Insomma, senza girarsi troppo intorno, Perso Arrangiàti è un uomo ferocemente noioso, prevedibile.
  Solo una cosa – in modo inspiegabile – il mio vicino di casa non si cura di mettere in ordine. È la sua piccola stranezza, un buco nero, se così si può definire, un aspetto indecifrabile della sua vita che incrina, sia pure marginalmente, la sua totale dedizione all’ordine.
  Da quando è morta la moglie, al mattino, non appena si sveglia, Perso Arrangiàti odia rifarsi il letto e lo lascia disfatto tutto il giorno finché non torna a dormire, ogni volta alle 23 in punto, nel momento preciso in cui, alla radio, parte la sigla del giornale radio che lui ascolta nelle cuffiette del cellulare.

 giugno 2018

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Una versione ridotta di questo racconto è apparsa in una plaquette dell'editore Babbomorto, intitolata Amici, con uno scritto di Antonio Castronuovo, impressa a Imola nel mese di marzo 2019, in 33 esemplari, plaquette stampata in memoria di sabato 16 marzo 2019, giornata di incontro tra amici nella dimora bolognese di Maria Gioia Tavoni, il cui anagramma è:"io artigiana, ma voi?"



Una recensione, a firma MG (alias Massimo Gatta), di questo testo
è uscita sul numero 164, anno 28, luglio-agosto 2019, di "Charta.
 Antiquariato - Collezionismo - Mercato",
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