Paolo Albani
  PAROLE FRA MUSICA E SILENZIO




Galleria Marcantoni
via Manzoni, 21h - Pedaso (Fermo)

10-31 gennaio 2015

Catalogo a cura della Galleria Marcantoni
testi critici di Ada De Pirro e Claudio Marcantoni


Alcune opere in mostra:


ACCORDO IN BE MOLLE, 2003
(chiave di sol, simbolo di be molle, molle e tondini metallici
su tavoletta di legno) (cm70x100)


VISUALIZZAZIONE DEL TEMPO DI ASCOLTO DI 4’ 33’ DI JOHN CAGE
(OMAGGIO A G.P. TORRICELLI), 2012
(pannello con scritte) (cm70x100)



OMAGGIO A RAVEL, 2005
(spartiti su tela) (cm40x70)



CENTRALITÀ DEL SILENZIO NELLA STANZA DI PROUST, 1990
(sugheri su tavoletta di legno) (cm100xcm70)


REBUS MUSICALE (6, 2, 7), 2014
(chiave, calendarietto, colino da tè e lettere adesive) (cm60x40)

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Ada De Pirro

NOVITÀ IMMEDIATE

 

Sentono? Questa zona di silenzio propone
un bellissimo problema metodologico...
Io amo i problemi di metodo.
Possiamo definire il silenzio come
un rumore di grado zero? Il silenzio è
dunque un documento?

     Giorgio Manganelli, Iperipotesi, 1963

            
       
        Ancora La Bellezza Aiuta Novità Immediate
è l’acrostico che Giuseppe Chiari dedicò nel 2000 a Paolo Albani. E anche questo gioco, come spesso accade, è portatore di (seppur ironiche) verità. Parlare di bellezza può essere complicato e scivoloso visto che definirne il senso in maniera risolutiva è praticamente impossibile, meno difficile è cogliere con immediatezza le novità dei lavori musicali qui presentati, dispositivi visivi che non emettono alcun suono ma che stimolano attività sinestetiche  tali da modificare la nostra percezione.
         Musica e relativi stati di quiete sono incarnati da oggetti di vari materiali che a volte hanno a che fare con la produzione o riproduzione di suoni, ma spesso no. È l'ironico assemblaggio degli oggetti - e la relativa decontestualizzazione data anche dai titoli - che ci coglie di sorpresa offrendo 'novità immediate' create dagli slittamenti di senso, calembour e rovesciamenti a cui gli oggetti trasformati in parole sono coniugati. Il mondo dei suoni è nel campo di interessi di Albani che, da non-musicista ma da fonopoeta, lo pratica da alcuni decenni utilizzando, come dice Giovanni Fontana, «tecniche di déplacement ed effetti sorpresa molto raffinati e godibili». La sua attività sonora è basata sul gioco di parole dall’effetto spiazzante perché attinto al vasto repertorio del quotidiano e del luogo comune che con arguzia viene manipolato con il gusto del nonsense e dell'assurdo.
            Anche grazie alle sperimentazioni di Cage, Chiari e di altri artisti della poesia visiva e dintorni, lo sconfinamento tra le arti è avvenuto, i diversi codici espressivi dialogano tra loro in libertà e la Musica, come l’Arte, ha perso la sua aura sacrale coniugandosi in suoni, parole immagini e anche oggetti di varia provenienza.
         Come nelle fonopoesie la parola diventa musica nella ripetizione, nell'onomatopea, nell'alternarsi di suoni dai timbri diversi che creano il proprio spazio d'azione negli accostamenti stravaganti e bizzarri, così nei lavori di Albani – opere di poesia visiva come quelli esposti -, lo slittamento avviene tra il montaggio di oggetti eterogenei e i loro (spesso) assurdi significati a cui si arriva attraverso le assonanze e le collisioni concettuali messe in gioco. 
         La musica è il tema dei lavori esposti e così il silenzio, entità ‘scoperta’ da John Cage e diventata cult con l’opera 4’ e 33’’ a cui Albani, con la pazienza di un certosino tecnologico, fa un omaggio in forma grafica. Il silenzio carico di tutto ciò che pulsa dentro il nostro organismo e di qualsiasi rumore esterno è il contrario di un’assenza di suono, diventa musica e si va a coniugare con la miriade di altre suggestioni acustiche. Nello stesso modo l’uso di oggetti di provenienza e uso disparati, di materiali eterogenei (oltre la carta, nastri magnetici, sughero, vinile, marmo, componenti di computer,  carta abrasiva, molle, metalli, legno) danno la possibilità di formulare ipotesi divergenti dalla norma essendo gli accostamenti frutto di suggestioni, lampi, intuizioni che hanno preso una forma scavalcando il loro uso abituale. Lontano dalla ricerca di relazioni emotive tra arte e musica o dell’opera d’arte totale, Albani si muove con leggerezza tra le pieghe del linguaggio permettendoci di esplorare le novità immediate offerte dalla sua brillante combinatoria.


novembre
2014
   
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Claudio Marcantoni

UNA NOTA CRITICA

 

 

         L’impatto ottico visivo e di conseguenza un qualsivoglia spontaneo e naturale giudizio estetico dinnanzi a un’opera d’arte risulta essere da sempre l’incipit più istintivo, più utilizzato da coloro che intendono argomentare (talvolta con cognizione di causa, spesso con tesi surreali e bizzarre)   una composizione pittorica. Tale assioma lo si ritrova altresì in molte altre forme d’arte che non siano quelle prettamente visive. L’aggettivo bello lo si cuce, lo si adatta, lo si modella spesse volte in maniera arbitraria addosso a molteplici espressioni artistiche del genere umano. Bella è una tela, bella risulta essere un’opera teatrale, lo è anche un concerto, un’opera lirica, una poesia, una costruzione architettonica. Ma ci siamo mai veramente interrogati e soffermati a riflettere in maniera critica e oggettiva su cosa sia veramente interessante, sul vero significato del termine ricercare, del sostantivo curioso, in un linguaggio artistico? Di esempi a sostegno di quest’ultima tesi la storia ce ne propone molteplici e il novecento, il cosiddetto secolo breve lo è forse testimone molto di più di tante altre epoche passate. L’aggettivo bello risulta essere assai poco calzante, stretto, a molti linguaggi, teorie, manifesti artistici che hanno visto la luce nel XX secolo. Forse il Pierrot lunaire di Schoenberg è bello? Il Suprematismo del russo Malevič risulta esserlo? o il provocatorio squarcio di Lucio Fontana esprime una concezione oggettiva dell’idea di bellezza? No di certo, nessuno di questi esempi, di queste idee, di queste opere possono essere giustificate, argomentate, suffragate con la teoria del bello. A questo punto dovremmo dire che il novecento ha ucciso il bello! Sarebbe troppo semplicistico e alquanto elementare soffermarsi e accettare una così fragile verità. La risposta va trovata nell’approccio e nell’utilizzo di sempre diversi alfabeti che gli artisti a loro volta hanno utilizzato come espressione di nuovi “volgari”. È così che si arriva alla critica e scientifica giustificazione delle prime avanguardie novecentesche passando attraverso tutti quei movimenti storicizzati che hanno caratterizzato un quarantennio di storia europea e extraeuropea per poi approdare, più vicino ai giorni nostri, alle neoavanguardie post millenovecentoquarantacinque.

         Proprio in quest’ultime spinte di ricerca artistica possiamo collocare la figura di Paolo Albani. Artista poliedrico, generazione anni quaranta, il suo pensiero e il suo operare è la naturale conseguenza di eterogenee contaminazioni, di variegati alfabeti artistici che si andavano delineando nell’Italia post bellica. A Albani non interessa piacere, nel senso estetico del termine. Le sue opere non hanno lo statico ruolo di oggetti inanimati di puro ornamento. Albani ci stuzzica, ci solletica, ci interroga. Le sue opere sono lì, ma sono contemporaneamente altrove. È un continuo rimando sensoriale che non muore nelle teche, nelle cornici. L’opera non vive solo negli occhi ma risuona, si modella in un turbinio di sensazioni sinestetiche. Il pensiero e l’opera dell’artista toscano non è assolutamente confinata in un solo ambito artistico sensoriale. Sarebbe riduttivo indicare Albani come poeta visivo. Lo sarebbe anche se lo si presentasse solo come poeta sonoro, o come scrittore, o come performer. Albani è tutto questo. Nelle sue creazioni, nel suo modo di essere, di pensare niente è tralasciato. Tutto vive in un filo rosso che collega in maniera sempre geniale e mai banale esperienze verbo-visive, sonore, tattili, e fonetiche. La mostra che qui viene presentata ne è la prova tangibile. Omaggia il suo amico Giuseppe Chiari (fluxus) sottolineando così la sua vena di grande performer. Non tralascia il suo interesse e studio per il pentagramma. A J. Cage è dedicata un’opera che “verbalizza” il suo silenzio (4’33”). Ironizza con i “concerti per orecchio sinistro e destro” parafrasando in maniera autentica e intelligente Ravel. I suoni diventano scritture e le scritture risuonano in un continuo scambio sensoriale che non annoia mai, che risulta sempre equilibrato, mai urlato. Il tutto è presentato in maniera elegante, ironica, sottile. La personalità dell’artista vive nelle sue opere, e quest’ultime rispecchiano in maniera inequivocabile l’eleganza intellettiva e la genialità pura di una figura intrisa di ricerca, sperimentazione e buon gusto.




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