Paolo Albani
LA «STANZA DELLE MERAVIGLIE» 
DI PATRIZIO FUMAGALLI

 
Quando l’estate scorsa finii di leggere la ristampa de Les chambres des Merveilles (Paris, Éditions «Théâtre du Monde», pp. 344, Euro 65,00) di Patrizio Fumagalli (1911-1994), un farmacista veneziano che passò gli ultimi anni della sua vita a Parigi, dedicandosi totalmente allo studio delle Wunderkammern, ricordo che fui incuriosito da una noticina buttata lì in un angolo, al fondo della pagina 342, in cui si diceva: 

L’autore sarà ben lieto di accompagnare personalmente i gentili visitatori nella Stanza delle Meraviglie da lui costruita in lunghi anni di ricerca, situata al numero 14 di rue de Marignan a Parigi, aperta tutti i giorni, esclusa la domenica, dalle 10 alle 12,30 e dalle 16 alle 19, ingresso gratuito.

 Qualche mese dopo, trovandomi a Parigi per consultare dei libri alla Biblioteca Nazionale, mi ricordai della promessa fatta dal Fumagalli in quella nota. Allora, per sincerarmi che non si trattava di uno scherzo, presi un taxi e mi recai in rue de Marignan, al numero 14. Accanto al portone, poco distante dalla mascherina dei campanelli, vidi che c’era una targhetta in alluminio con su scritto:

CHAMBRE DES MERVEILLES DE M. PATRIZIO FUMAGALLI 

Nelle stanze delle meraviglie, specie nel XVII secolo, i collezionisti – arciduchi e sovrani, ricchi mercanti o eruditi come il gesuita Athanasius Kircher – si sforzavano di «concentrare un’intera libreria in un unico libro», ovvero di raccogliere in appartamenti di palazzi o in una singola stanza gli oggetti più curiosi: corni di unicorni, scheletri di sirene, fossili misteriosi, animali imbalsamati, conchiglie, figure di cera, maschere funerarie, parti mostruosi, orologi, strumenti musicali, globi terrestri ed altre stranezze disposte su ripiani, armadi o appese al soffitto.
 Non nascondo che, quando decisi di suonare il campanello dell’appartamento di «M. Fumagalli» e avevo già il dito indice sospeso a un millimetro di distanza dal pulsante, provai una certa emozione, pensando che, da lì a poco, avrei scoperto i fantasmagorici pezzi raccolti dal farmacista veneziano, di cui, per altro, non si diceva nulla in quella noticina de Les chambres des Merveilles.
 Venne ad aprirmi una signora di mezza età, un volto dai lineamenti nettamente parigini, naso dritto, gote rosee e lisce come la porcellana ed un nastrino nero intorno al collo. Madame Gisèle Patin si presentò come la nipote di Monsieur Fumagalli e mi disse che era lì perché, ogni tanto, svolgeva le funzioni di custode della Stanza delle Meraviglie ereditata dallo zio, ma che lei faceva l’insegnante di musica e viveva nei pressi della chiesa della Madeleine.
Dopo questa breve presentazione, senza ulteriori convenevoli, mi accompagnò in un salottino disadorno che brillava di una luce densa proveniente da due finestrone rettangolari, e che, sul momento, non so bene perché, mi parve la stanza di un ospedale.
- Qui c’è tutta la collezione di mio zio - disse Madame Patin. Poi, senza guardarmi negli occhi, aggiunse: - Se ha bisogno di me, mi chiami pure – e si allontanò di fretta, come se avesse lasciato un lavoro a metà.
Rimasto solo, cominciai a guardarmi intorno, con l’aria di uno che si è perso, e iniziai la visita, un po’ contrariato dalla precipitosa fuga di Madame Patin. Al centro della stanza notai un tavolo da cucina con un piano di marmo. Sopra il tavolo, abbandonata al suo pungente destino, c’era una forchetta e accanto un biglietto, fregiato da un bordo nero, con questa iscrizione:

Un couteau sans lame,
auquel manque le manche

Georg Christoph Lichtenberg


Al centro della parete con le due finestre, in una quadreria formata da pezzi di piccole dimensioni completamente bianchi, spiccava un foglio bristol, anch’esso di colore chiaro, e vergine, come tutti gli altri, cioè privo di qualsiasi intervento visivo, sotto il quale era stata posta questa dicitura:

remière communion 
de jeunes filles chlorotiques 
par un temps de neige

Alphonse Allais

Era la riproduzione di una delle sette composizioni monocromatiche di Alphonse Allais, contenute nell’Album primo-avrilesque, una piccola brochure edita da Ollendorff il 1 aprile 1897, ed ispirata, com’è noto, dal «tableau» di Paul Bilhaud presentato nel 1882 alla prima mostra delle «Arts Inchohérents» con il titolo: Combattimento di negri in un tunnel. Tutto ciò accadeva molto tempo prima del 1919, anno in cui Kazimir Malevic espose a Mosca il suo Quadrato bianco su fondo bianco.
Ogni pezzo di quell’insolita galleria, come delle altre due che stavano sulle pareti adiacenti, aveva, appena sotto, un titolo, a giustificarne, si fa per dire, il candore. Per quanto potei constatare erano titoli concepiti tutti, o quasi, sul modello di quelli presenti nell’album di Allais. Uno in particolare mi colpì, per la sua  gratuita sfrontatezza:

Ingrandimento dello spazio esistente fra la parola «cerchiolino» e la parola «pallido» nella poesia Diafana come un velo la foglia secca di Eugenio Montale.

L’ultima parete, quella di fronte al quadro di Allais, era occupata da una libreria di legno, alta fino al soffitto, e completamente vuota, nel senso che non conteneva nemmeno un libro. Dentro gli scaffali, c’erano soltanto dei mucchietti di fogli bianchi, formato 19x13, e dei cartoncini, uguali a quelli che avevo visto in precedenza, fermati ai pannelli di legno della libreria con puntine da disegno. Mi avvicinai e lessi alcune diciture (per quelle in alto mi aiutai montando sopra uno scaleo):

- Il capitolo diciottesimo del volume nono del Tristram Shandy di Laurence Sterne (di fianco, un’altra pila di fogli bianchi con una didascalia identica in tutto alla precedente, tranne che nel numero del capitolo, che recitava: Il capitolo diciannovesimo del volume nono del Tristram Shandy di Laurence Sterne).

- Miscellanea di spazi bianchi nel poema Un coup de dés jamais n’abolira le hasard di Stéphane Mallarmé.

- Alcune pagine bianche di libri scozzesi, raccolte da Julio Cortázar (sono andato a rivedere le Storie di cronopios e di famas: c’è un punto in cui lo scrittore argentino riferisce che in un paese della Scozia vengono venduti libri con una pagina bianca sperduta in un punto qualsiasi del volume; se un lettore s’imbatte in quella pagina allo scoccare delle tre del pomeriggio, muore).

- La riga inesistente offerta al tipografo da Giorgio Manganelli.

- Una pagina del Cappuccetto Bianco di Bruno Munari (dove c’è una bambina tutta vestita di bianco, sperduta nella neve, e non si vede niente, proprio niente, perché tutto è coperto dalla neve).

- Il «Libro su niente» sognato da Gustave Flaubert.

- La «Pagina inedita non scritta di Samuel Beckett» (un chiaro riferimento alla pagina 89 del Quo lapis? di Lino Di Lallo: giudicai incredibile che Fumagalli conoscesse quest’autore!).

- Un’antologia del silenzio di Macedonio Fernández (a commento di una risma di carta).

All’interno di quell’ampia libreria contai almeno un centinaio di etichette bianche. Ordinate così, tutte insieme a formare un mosaico senza colore, mi fecero venire in mente l’installazione di un artista concettuale o quei segnaposto che stanno sulle poltroncine delle prime file di un teatro con il nome degli invitati, gente importante, stampato sopra. E devo dire che anche lì, nella libreria allestita da Monsieur Fumagalli, di nomi famosi ce n’erano molti: Ludwig Wittengstein, Edmond Jabès, Paul Eluard, Henri Michaux, Bruno Schulz, Angelo Maria Ripellino, Charles Cros, Ezra Pound, René Daumal ed altri ancora.
Continuando nella mia visita, sopra uno scaffale in basso, osservai una pila di fogli, alta non più di 3-4 centimetri, il primo dei quali, neanche a dirlo di colore bianco, aveva delle minuscole screpolature e recava questa (ridicola) scritta:

Frontespizio ispirato al quadro di Alberto Burri Tutto bianco del 1958.

Ricordo poi che sopra un comodino vidi una vecchia macchina fotografica, di quelle con l’obiettivo a fisarmonica, e una piccola foto di un biancore che dava sul grigio, intollerabile, come se qualcuno avesse fotografato un paesaggio avvolto nella nebbia, insieme ad un cartoncino che diceva:

Visione dall'alto della punta del capello di una vecchietta ultracentenaria dopo uno spavento agghiacciante.

Prima di uscire e congedarmi da Madame Patin ringraziandola per l'ospitalità, un po’ deluso (meglio sarebbe dire abbagliato) dall’eccessivo biancheggiamento che si sprecava in ogni angolo di quel salottino artificiale (non aprii, per saturazione, un armadietto con numerosi cassetti, ma posso immaginarmi il suo contenuto), feci in tempo a notare, alzando lo sguardo, che dal soffitto cadevano giù dei cartoncini, rigorosamente bianchi, appesi a delle catenelle d’ottone, che ad ogni impalpabile spostamento d’aria giravano su stessi come farfalline metalliche intorno alla culla di un neonato.
Su uno di essi riuscii a leggere questa frase: 

Particolare dal sogno di un albino fatto all'alba durante una settimana bianca passata con tre infermiere albanesi, un imbianchino e la vedova di un operaio edile precipitato da un'impalcatura.

Fu l'ultima provocazione che mi lasciai alle spalle. Ero disarmato, e un po' indispettito, ma ciò nonostante mi venne da sorridere, bonariamente. E in quell'attimo, uscendo, pensai che Fumagalli doveva essere un tipo eccentrico, un buontempone, forse un tantino matto, ossessionato com’era dal bianco delle pagine bianche che, in fondo, come ha detto Vassilij Kandinskij, non sono che un ricettacolo di immagini mentali e di un silenzio ricco di possibilità.

novembre 2002




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