Paolo
Albani
UN BREVE VIAGGIO
INTORNO AL
LIMERICCO
ITALIANO
postfazione al
libro di
Virginia Boldrini,
Viaggio a Limerick e dintorni,
Campanotto, Udine, 2006, pp. 111-120.
I fantasiosi e divertenti limericks
di Virginia Boldrini,
in numero di 99 come gli «esercizi di stile» di Queneau
(sarà
un caso?), storielle di personaggi stravaganti e candidamente illogici
nel rispetto della migliore tradizione di questo genere letterario, ci
offrono lo spunto per intraprendere un breve viaggio intorno al
limericco
italiano.
Cominciamo con una fugace digressione storica. Il limerick
è
una poesiola nonsensica in cinque versi, con uno schema ben preciso (il
primo, il secondo e il quinto verso rimano fra loro, mentre il terzo
verso
rima con il quarto), di ritmo giambico-anapestico, contenente in genere
nel primo verso il riferimento a un luogo geografico. I limericks
(per alcuni la parola deriva da Limerick, città irlandese,
famosa
per l'assedio del 1690-91 di cui parla Laurence Sterne nel Tristram
Shandy) furono resi famosi da Edward Lear (1812-1886), pittore,
insegnante
di disegno della regina Vittoria. In realtà, come precisa
Dossena,
Lear «non scrisse veri limerick (cose da osteria, volgari e
sensate),
ma dei nonsensi, che hanno la forma del limerick ma argomenti e toni
ben
diversi» (Giampaolo Dossena, «Limerick» voce dell'Enciclopedia
dei giochi, 3 voll., Utet, Torino, 1999).
Da Il libro dei nonsense (Einaudi, Torino, 1970) ecco
un limerick di Lear nella traduzione di Carlo Izzo:
C'era un vecchio di Caltagirone
Con la testa non più grande d'un bottone;
Quindi, per farla sembrare più grande,
Comperò una parrucca gigante
E corse su e giù per Caltagirone.
In quanto espressione
letteraria il limerick è una cosa
seria. Hanno scritto dei limericks scrittori come Lewis
Carroll,
Robert Louis Stevenson, James Joyce e anche il filosofo Bertrand
Russell,
premio Nobel per la letteratura nel 1950. Sembra ci sia un limerick
citato
fra i versi de La terra desolata di T.S. Eliot (T.S. Eliot, La
terra
desolata, Einaudi, Torino, 1963, p. 31). Ai limericks fanno
pensare alcuni brani contenuti nel racconto Mondanità di
Edgar Allan Poe (in Racconti del comico e del grottesco,
SugarCo,
Milano, 1985, pp. 134-140).
Il limerick è la più popolare delle forme
epigrammatiche
inglesi. Lo dice anche l'Encyclopaedia Britannica del 1951 dove
si legge che «Il limerick è [...] un tipo di epigramma
licenzioso
che passa di bocca in bocca più spesso sussurrato che
cantato».
Dopo le traduzioni delle poesie di Lear ad opera di Camilla Poggi
Del Soldato (verso il 1930 per l'Enciclopedia dei Ragazzi), di
Carlo
Izzo (1935, 1945 e 1970) e di Mario Praz (1938), in Italia il limerick
raggiunge una certa popolarità con il Giro d'Italia in
limericks
promosso dai «Wutki» sulla rivista Linus negli anni
1972-1974. «Wutki» (nome di un pittore svizzero) è
il
titolo della rubrica di giochi diretta da Sergio Morando (1923-1982),
che
è stato condirettore editoriale alla Bompiani, assieme a Paolo
De
Benedetti (di cui parleremo fra poco) e a Umberto Eco, passato poi alla
Garzanti e a Mondadori. Nel 1966 Morando cura l'Almanacco Letterario
Bompiani dedicato al gioco, che contiene un bellissimo saggio di
De
Benedetti sulla «Letteratura nonsensica» (ora anche in
Paolo
De Benedetti, Nonsense e altro, Libri Scheiwiller, Milano,
2002,
pp. 104-128). In quegli anni i Wutki scoprono che i limericks
sono
«una passione italiana latente», ne arrivano tantissimi in
redazione, qualcuno ne manda addirittura cento.
Nella sezione intitolata «Nonsense» di Che puzo!
Epigrammi e Nonsense di Luigi Compagnone (All'insegna del Pesce
d'Oro,
Milano, 1973, pp. 67-82) vi sono composizioni poetiche che hanno la
forma
del limerick, a testimoniare di una certa vicinanza tra epigramma e
limerick
(sul «limericco» italiano si veda Carmine De Luca,
«Limerick
all'italiana», LG argomenti, rivista del Centro studi di
letteratura
giovanile di Genova, 1, gennaio-marzo 1993).
Uno dei primi autori italiani di limericks è
Giuseppe
Isnardi, nipote di Giovenale Gastaldi l'ingegnere che costruì
per
Lear prima villa Emily e poi villa Tennyson a Sanremo. Quando Lear
morì,
Isnardi aveva solo due anni, quindi non ebbe modo di conoscerlo:
ciò
nonostante da grande scrisse su Lear, ne tradusse i Diari di
viaggio
in Calabria e nel Regno di Napoli, ma soprattutto compose lui
stesso
- «austero storico e pedagogo, collaboratore de La Voce
come
della Società geografica italiana» - decine di limericks.
Altro autore italiano di limericks è Paolo De
Benedetti,
direttore editoriale, biblista, consulente di molte case editrici. De
Benedetti
è uno dei principali biblisti italiani, docente di Giudaismo
presso
la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale di Milano e di
Antico
Testamento presso gli Istituti di Scienze Religiose delle
Università
di Urbino e Trento. Tra i suoi scritti: La morte di Mosé e
altri
esempi (1978), La chiamata di Samuele (1976), Ciò
che tarda avverrà (1992), Quale Dio? (1997), Introduzione
al giudaismo (2001). Recentemente, presso le Edizioni San Paolo di
Milano, ha pubblicato una raccolta di poesie intitolata Gattilene.
De Benedetti è l'artefice del più lungo poema in
limerick, cioè il Viaggio in Limerick sul Reno e dintorni /
dai
Paesi Bassi alla Svizzera / con osservazioni storiche & geografiche
/ & pittoriche & una incarrighiana morale / di due ill.mi
Dottori
dell'Ambrosiana (1957) (ora in Paolo De Benedetti, Nonsense e
altro,
Libri Scheiwiller, Milano, 2002, pp. 19-25). L'altro ill.mo Dottore
è
Mario Spagnol (1930-1999).
Nel titolo del libro di De Benedetti compare il termine
«incarrighiana».
Di che si tratta? L'«incarrighiana» è una poesia in
ottonari che prende il nome da Ferdinando Incarriga (o Ingarriga),
giudice
napoletano alla Gran Corte criminale nel Palazzo di Giustizia di
Salerno,
che nel 1834 a Napoli dette alle stampe l'Opuscolo che contiene la
raccolta
di cento anacreontiche su di talune scienze, belle arti, virtù,
vizj, e diversi altri soggetti. Queste anacreontiche, poi
chiamate
«incarrighiane», sono poesie di comico involontario con
strane
acrobazie verbali e spesso con l'ultimo verso apocopato, che si
prefiggono
di dare delle definizioni. Il libro ebbe molto successo, se ne
vendettero
molte copie, anche perché i parenti dell'Incarriga ne comprarono
di nascosto numerose copie per sottrarre dal ridicolo il loro
congiunto.
Ecco una tipica «incarrighiana»:
L'astronomia
Stronomia è scienza amena
Che l'uom porta a misurare
Stelle, Sol e'l glob' Lunare,
E a veder che vi è là sù.
Quivi giunto tu scandagli
Ben le Fiaccole del Mondo
L'armonia di questo tondo
Riserbata a Dio sol' è.
Le
«incarrighiane» ricordano un po' certe strofette
di Ettore Petrolini:
È la moglie quella cosa
che per lusso e per vestito
spende il doppio del marito
e si chiama la metà.
Fra gli autori italiani di
limerick troviamo anche Gianni Rodari
(1920-1980) che nella Grammatica della fantasia. Introduzione
all'arte
di inventare storie dedica un capitolo alla «Costruzione di
un
"limerick"» (Einaudi, Torino, 1973, pp. 43-45). Nel suo saggio
Rodari
cita lo studio di due semiologi sovietici T.V. Civ'jan e D.M. Segal
«Struttura
della poesia inglese del nonsense (sulla base dei limericks
di Lear)» apparso in I sistemi di segni e lo strutturalismo
sovietico,
a cura di Remo Faccani e Umberto Eco (Bompiani, Milano, 1969), studio
che
«aprirà le porte al limerick di massa», come afferma
Pier Paolo Rinaldi nel saggio «Un girotondo intorno al limerick (bambini
e vecchi, semiologi e illustratori, poeti, poetesse e maghi)»
(in: Max Manfredi e Manuel Trucco, Il libro dei Limerick.
Filastrocche,
poesie e nonsense, con prefazione di Stefano Bartezzaghi, Vallardi,
Milano, 1994, pp. 143-246). Questo di Rinaldi è uno degli studi
più importanti sull'arte del limerick uscito in Italia (dello
stesso
Rinaldi si veda anche Il piccolo libro del nonsense, sempre con
prefazione di Stefano Bartezzaghi, Vallardi, Milano, 1997).
Ecco un limerick di Rodari:
Un signore molto piccolo di Como
una volta salì in cima al Duomo
e quando fu in cima
era alto come prima
quel signore micropiccolo di Como.
Un limerick in inglese, non
proprio canonico, compare anche in Maramao
(Longanesi, Milano, 1989, p. 108) di Guido Almansi (1931-2001):
There was a young girl from
Vancouver
Whose portrait now hangs in the Louvre.
Her name was Theresa, but became Mona Lisa
By means of a clever manoeuvre.
[C'era una giovane di Vancouver
il cui ritratto è appeso al Louvre.
Si chiamava Teresa, ma divenne Monna Lisa
con astute manovre.]
accanto a una serie di clerihews,
quartine umoristiche senza
un metro preciso su un personaggio noto, che prendono il nome dal loro
inventore, il giornalista e scrittore inglese di gialli Edmund Clerihew
Bentley (1875-1956). Un esempio di clerihew almansiana è
questo:
Dante
Dante
Era molto arrogante.
Di parlare coi santi assumeva il diritto.
Solo col Padre Eterno è stato un poco zitto.
Nel 1994 il cantautore Max
Manfredi (discografia: Le parole
del gatto 1990; Max 1994 che ospita Fabrizio De
André; L'intagliatore
dei santi 2001) e Manuel Trucco, che spero non sia l'Ambasciatore
cileno
negli Stati Uniti al tempo di Pinochet, hanno fatto «Il giro del
mondo in 320 limerick», ne Il libro dei Limerick.
Filastrocche,
poesie e nonsense (Vallardi, Milano), scrivendo limericks
seducenti,
tragici, conviviali, titanici, felici, litigiosi, gastronomici, gotici,
clericali, filosofici.
Il libro di Manfredi e Trucco si apre con alcuni limericks
autoreferenziali, nel senso che parlano del limerick, come questo:
Il limerick, t'educe il
dizionario,
è filastrocca d'argomento vario
che, con ritmo anapestico
vale a farti domestico
un mondo parallelo e immaginario.
Per quanto ci consta il
termine «limericco» è
coniato da Stefano Bartezzaghi come forma italianizzata di limerick
nella
«Prefazione» a Il libro dei Limerick del duo
Manfredi-Trucco.
Nella sua raccolta di Canzoni politiche (Feltrinelli,
Milano, 2000), Michele Serra ha inserito dei «limericks
elettorali»:
C'è una festa aziendale al
Lingotto
con Agnelli e Cipputi a braccetto.
La sinistra fa il sunto
del successo raggiunto:
ha prevalso per solo una Punto.
Altri limericks, un
po' irregolari perché di sei
versi, Serra aveva presentato in Poetastro. Poesie per incartare
l'insalata
(Feltrinelli, Milano, 1993, p. 56 e pp. 68-78).
Si è detto che in origine il limerick è un
epigramma
licenzioso. Su questo versante famosi sono quelli composti dallo
scrittore
inglese Norman Douglas (1868-1952) che nel 1928 pubblicò a
Firenze Some
Limericks: Collected for the use of Students, & Esplendour'd with
Introduction,
Geographical Index, and with Notes Explanatory and Critical. Questa
raccolta, con il titolo di Certi limerick, è stata
pubblicata
nel 1990 dall'Alessandra Carola Editrice di Napoli, con testo inglese a
fronte, tradotta e curata da Benito Iezzi, con una nota introduttiva di
Aldo Busi.
Di tipo decisamente erotico sono le 366
«limèriche»
(una al giorno, compreso l'anno bisestile, 46 in più dei limericks
di Manfredi e Trucco), poesie nonsensicali contenute nel libro di un
certo
Sergio Sesto Serpillo dall'inequivocabile titolo Che Dio la
benedica!
(Scipioni, Valentano, 2001), con un saggio introduttivo di Giorgio
Weiss,
anch'egli autore di limericks sul tema delle nuvole, apparsi
sul
numero 14 della rivista La Corte del 1992.
Recentemente, per via di alcune recensioni di «libri
immaginari»
apparse su una rubrica intitolata «Equilibri» de il
Caffè
di Giambattista Vicari, sono entrato in contatto epistolare con Pier
Francesco
Paolini, scrittore, anglista e traduttore, che, donandomi il licenzioso
libretto di «limèriche», mi ha svelato di essere lui
quel tal Serpillo.
Nell'ultimo paragrafo della postfazione ai Limericks di
Edward Lear, pubblicati nel 2002 nella «Collezione di
Poesia»
dell'editore Einaudi, il curatore e traduttore, Ottavio Fatica, ha
riportato
una «lima ricca» indirizzata a se stesso:
C'è un poeta che faccio
fatica
A tradurre, che vuoi che ti dica,
Si tiene per savio
Ma è solo un ottavio
Di poeta, e non senza fatica.
Un'ultima curiosità
bibliografica. Nel già citato
saggio «Un girotondo intorno al limerick», Rinaldi cita il
libro di Giampaolo Dossena Luoghi letterari. Paesaggi, opere e
personaggi
(Sugar, Milano, 1972, poi Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 2003) che
si apre, nel primo luogo letterario preso in considerazione,
cioè
Abano Terme (Padova), con questo limerick, datato 1955 e
successivamente
attribuito a Sergio Morando:
C'era un vecchio goloso di Abano
le cui figlie coi Turchi folleggiavano
inventando sempre nuove tecniche erotiche
però mangiando unicamente cotiche:
il che stupiva quel vecchio di Abano.
La voce «Abano
Terme» è interamente dedicata
al limerick, su cui Dossena ritorna anche discorrendo di altre
città.
Fra le altre cose, Dossena pubblica alcune prove di Gian Carlo Cabella,
come questa:
C'era un vecchio quadrivio a Novi
Ligure
ove ogni notte stazionava un Lèmure
che, non avendo spiccioli da spendere,
le sigarette si faceva accendere
dai nottambuli, rari a Novi Ligure.
Questo, come altri limericks
di Cabella riportati nel libro
di Dossena (si vedano Novi Ligure e Piovera, in provincia di
Alessandria;
Ronco Scrivia in provincia di Genova; Vobarno in provincia di Brescia),
sono tratti da Tuctitalia in limericks dello stesso Cabella
pubblicato
nel 1964 a Pasturana (Alessandria) presso la Tipografia Artigiana. Ora,
se vi venisse voglia di ricercare il libro di Cabella in biblioteca o
presso
i più accreditati librai d'antiquariato, vana risulterebbe
l'impresa.
Nel 2012 la Boldrini ha pubblicato sempre con Campanotto un altro libro
di limerick, intitolato Limericcando.
Il libro di Virginia Boldrini, Viaggio a Limerick e dintorni,
Campanotto
2006, è stato segnalato da Stefano Bartezzaghi su il
Venerdì
di Repubblica del 2 giugno 2006 (p. 158).
Nel libro di Alessandro Giammei, Nell'officina del nonsense di Toti Scialoja. Topi, toponimi, tropi, cronotopi, edizioni del verri, 2014, viene citato questa mia introduzione (p. 48).
* * *
Se
vuoi leggere altre mie prefazioni, postfazioni e affini clicca qui.
HOME
PAGE TèCHNE RACCONTI POESIA VISIVA
ENCICLOPEDIE
BIZZARRE ESERCIZI
RICREATIVI NEWS
|