Paolo Albani
SU ALCUNI LIBRI PROGETTATI 

E MAI SCRITTI

 
Fra le molteplici forme in cui un libro immaginario, inesistente può mettersi in opera c’è quella del libro pensato, progettato e però alla fine, per varie ragioni, mai realizzato. Un libro che esiste solo in teoria, ovvero, se mi si passa il gioco di parole, sulla carta, apparente paradosso per un libro che di carta è fatto.

 L’oggetto di cui ci occupiamo non è dunque un libro perduto, lasciato incompiuto o semplicemente inedito, ancora sonnecchiante dentro il classico cassetto dei manoscritti dimenticati: si tratta bensì di un libro ideato, concepito da uno scrittore, ma rimasto, ahimè (o per fortuna), nella sua mente in stato embrionale, nella condizione di non nato, cioè di mai scritto.


     


 «Un libro mai scritto - afferma George Steiner - è più di un vuoto. Accompagna l'opera che si è compiuta come un' ombra fattiva, insieme ironica e dolente. È una delle vite che non abbiamo potuto vivere, uno dei viaggi che non abbiamo intrapreso». Sono sette i libri che Steiner dice di non aver scritto: per discrezione; perché l'argomento era per lui troppo doloroso; perché la sfida personale o intellettuale del progetto era troppo ardua (George Steiner, I libri che non ho scritto, Milano, Garzanti 2008).
 Il protagonista del racconto Le nevi del Kilimangiaro di Ernest Hemingway ha in mente almeno una ventina di ottime storie, ma non riesce a scriverne nemmeno una. 
Ancora prima di Steiner, il segretario permanentemente provvisorio e provvisoriamente permanente dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle), Marcel Bénabou, ha scritto un libro per spiegare il perché non ha scritto nessuno dei suoi libri, enumerando in maniera meticolosa tutti gli ostacoli (logici, psicologici, epistemologici) frapposti tra lui e l’Opera (Pourquoi je n’ai écrit aucun de mes livres, Paris, Hachette 1986, trad. it. Roma, Theoria 1991).
Un’ulteriore segnalazione. C’è un libro dello scrittore e saggista Grytzko Mascioni (1936-2003) interamente dedicato ai suoi «libri mai nati» (Grytzko Mascioni, Di libri mai nati. Inizi, indizi, esercizi, Locarno, Pro Grigioni Italiano 1994).

Sarebbe bello, oltre che stimolante, trovare nelle biblioteche - ad esempio in una sezione al primo piano della Biblioteca San Giorgio di Pistoia - uno scaffale (aperto) dedicato ai libri mai scritti, ai libri potenziali, volumi in fieri destinati a formare una sorta di «Biblioteca del Possibile», una biblioteca che si prospetta, non c’è da dubitarne, di vaste dimensioni e di godibile consultazione. 
L’utente della «Biblioteca del Possibile» avrebbe a disposizione, seguendo le tracce di un’apposita segnatura, una scheda con le notizie relative al libro mai scritto e al suo autore, notizie dettagliate sul titolo del libro mai scritto, sul suo contenuto e la sua struttura ricavata in certi casi dagli appunti lasciati dallo scrittore su un brogliaccio, l’eventuale editore a cui inviare il manoscritto una volta finito, il giudizio critico espresso da chi, amico dello scrittore, ha discusso con lui il progetto mai realizzato ecc.

 A questo punto non ci resta che andare a curiosare fra i libri di questa nutrita «Biblioteca del Possibile» e vedere quali sorprese ci aspettano. Per ovvi motivi di spazio ci limiteremo ad alcuni esempi, fra i più bizzarri e meno conosciuti, forse.
 In una lettera indirizzata a Luise Colet, preziosa confidente letteraria e amante troppo invadente, Gustave Flaubert confessa di aspirare a scrivere:

un libro su niente, un libro senza appigli esteriori, che si tenesse su da solo per la forza intrinseca dello stile, come la terra si regge in aria senza bisogno di sostegno; un libro quasi senza soggetto o almeno il cui soggetto fosse, se possibile, quasi invisibile (Claudio Magris, «Flaubert e il libro su niente», in Gustave Flaubert, L’educazione sentimentale, Torino, Einaudi 2002, pp. XXIII-XXIX).

 Di fianco al Libro su niente di Flaubert, contiguo per evidente affinità, c’è la Guida al nulla, auspicata da Jaroslav Hašek, cantore delle avventure de Il buon soldato Švejk e fondatore fra l’altro del «Partito del progresso moderato nei limiti della legge». Nelle intenzioni dello scrittore praghese l’opera si occuperà delle bellezze del Nulla e riempirà «una lacuna vistosa nella nostra letteratura di viaggio. I nostri turisti sbagliano a ricercare i luoghi dove è rimasto qualcosa e dove i dintorni agiscono su di noi con la potente bellezza del paesaggio». 
Nella Guida saranno raccolti e descritti con ricchezza di particolari i luoghi dove non c’è assolutamente nulla, circostanza che fa sfumare «ogni possibilità che lo sguardo ricerchi qualcosa e che nasca con ciò per il povero turista il pericolo di torcersi il collo». La stesura della Guida richiederà un lavoro molto duro, difficile, poiché, come Hašek ricorda, non esiste alcuna fonte consultabile sull’argomento, «già per il fatto che il luogo che viene descritto non ha nessuna storia, nessun monumento storico e nessuna topografia».
Il libretto, precisa Hašek, «intende costituire un nuovo impulso all’ulteriore incremento delle Guide di Vattelapesca e Vattelacaccia» (Jaroslav Hašek, «Guida al nulla», in Racconti, Milano, Mondadori 2006, pp. 421-425). 

 Dall’autunno 1929 all’autunno 1930, Elias Canetti concepì il piano di una Commédie humaine dei folli scrivendo l’abbozzo di otto romanzi, tutti ruotanti intorno a una figura al limite della follia. Ciascuna di queste figure è diversa dalle altre in tutto, perfino nella lingua e nei pensieri più reconditi. Ogni personaggio vive un’esperienza talmente irripetibile che nessun altro potrebbe condividerla. Fra loro c’è un fanatico della religione; un visionario della tecnica che vive rimuginando i suoi progetti sugli spazi interplanetari; un collezionista, un uomo ossessionato dalla verità; un dissipatore; un nemico della morte e, infine, un uomo fatto solo per i libri, l’Uomo dei libri. La linfa segreta della Commédie humaine dei folli confluirà poi in Auto da fé (Elias Canetti, «Il mio primo libro: Auto da fé», in Auto da fé, Milano, Adelphi 1981, pp. 507-521).

 Più avanti, su un altro scaffale della «Biblioteca del Possibile», c’imbattiamo in questo titolo: Illusion, Erreur et Mensonge. L’autore è Raymond Queneau. Il libro affronta scientificamente i temi dell’Illusione, dell’Errore e della Menzogna a partire dalla prestidigitazione e dalla sofistica, invenzione greca che aveva come scopo di far passare il vero per il falso e il falso per il vero, arte che ha influenzato in particolare l’eloquenza giuridica e la retorica in generale. Queneau annuncia questo progetto di libro, mai attuato, in un depliant pubblicitario apparso nel 1956, a presentazione dell’Encyclopédie de la Pléiade da lui diretta dal 1951.
Come «enciclopedista», e autore di libri non realizzati, Queneau ha un precedente significativo. All’inizio degli anni trenta aveva intrapreso uno studio su una schiera di «paranoici reazionari e chiacchieroni rimbambiti» da lui chiamati «fous littéraires», autori le cui elucubrazioni (il termine non è usato in senso peggiorativo) si allontanano da tutte quelle professate dalla società in cui vivono, fautori di speculazioni, pubblicate quasi sempre a proprie spese, che non rimandano a dottrine anteriori e che non hanno avuto alcuna eco. Data la varietà degli argomenti a cui si dedicano questi «folli letterari» (matematica, linguistica, medicina, botanica ecc.), Queneau decide di presentare i loro deliri in un’opera intitolata Enciclopedia delle scienze inesatte. Per molti anni ricerca le tracce di questi eterocliti, come in seguito preferisce definirli, lungo chilometri di scaffali della «Bibliothèque Nationale» di Parigi, fino a scrivere un manoscritto di settecento pagine «impubblicabile e impubblicato, né finito né incompiuto», rifiutato, fra gli altri, dagli editori Gallimard e Denoël. In seguito alcuni brani di questo manoscritto confluiscono nel romanzo Les enfants du limon (1938). Solo di recente gli appunti di Queneau sui «folli letterari» hanno visto la luce (Aux confins des ténèbres. Les fous littéraires, Paris, Gallimard 2002).

Insieme al libro di Queneau sul tema dell’illusione, dell’errore e della menzogna, troviamo il libro di un amico dello scrittore francese, e cioè Italo Calvino (entrambi furono membri attivi dell’OuLiPo). Nel 1969 Calvino pubblica sul numero 4 de il Caffè, rivista fondata e diretta da Giambattista Vicari, quattro abbozzi di capitoli di un ipotetico libro, facendo precedere al suo scritto, intitolato La decapitazione dei capi, questa premessa:

Le pagine che seguono sono abbozzi di capitoli di un libro che da tempo vado progettando, e che vorrebbe proporre un nuovo modello di società, cioè un sistema politico basato sull’uccisione rituale dell’intera classe dirigente a intervalli di tempo regolari. Non ho ancora deciso che forma avrà il libro. Ognuno dei capitoli che ora presento potrebbe essere l’inizio d’un libro diverso; i numeri d’ordine che essi portano non implicano perciò una successione.

Un altro romanzo, L'ordine nel delitto, Calvino avrebbe voluto scrivere. Si limitò invece alla stesura di un racconto «L'incendio della casa abominevole», uscito sulle pagine dell'edizione italiana di Playboy (febbraio-marzo 1973) e, in parte, nell'Atlas de littérature potentielle dell'OuLiPo (Paris, Gallimard 1981). Alcuni appunti di Calvino con l'indicazione «tentativo di sviluppare in romanzo il racconto L'incendio della casa abominevole» portano la data dell'11-13 luglio 1977. 
L'ordine nel delitto è (avrebbe dovuto essere) una storia poliziesca strutturata in modo tale da essere risolta solo facendo ricorso all’uso del computer e in effetti, lavorando al suo racconto, Calvino si servì della consulenza di un programmatore di nome William Skyvington. 

 In un articolo uscito sulla Gazzetta di Parma del 3 settembre 1927, Cesare Zavattini confessa che avrebbe voluto scrivere «un libricino, frutto di scaltra esperienza, dal titolo curioso: L’assassinio degli insetti come arte». Da questo libricino, scaturito da una delle più dilettose occupazioni che vellicano lo spirito dell’autore nelle solitarie ore notturne, cioè uccidere, con metodo, le zanzare nate di fresco e le sopravvissute alla strage della sera prima, Zavattini si aspetta di ottenere vituperi, e non lodi e fama come per l’Assassinio come una delle belle arti di De Quincey (Cesare Zavattini, Dite la vostra. Scritti giovanili, Parma, Guanda 2002, pp. 152-155).
 Sul piano della potenzialità letteraria, Zavattini è autore generoso di progetti abbozzati, manipolati, elaborati e mai attuati. Un progetto a cui teneva molto e che portava ad esempio di come si possa raccontare una storia in cinque minuti, era quello di un uomo che esce di casa per andare ad ammazzare un altro. «Durante il tragitto le pensa tutte, come ammazzarlo, studia moralmente e tecnicamente tutte le mosse, si tocca la rivoltella in tasca, si ferma, si pente, torna indietro. Si ricrede, è disposto a tutto. Forse c’entra una donna. Guarda gli altri e la loro indifferenza; stanno camminando accanto ad un uomo che potrebbe già avere ucciso, pensa. Finalmente arriva sotto la casa dell’altro e si trova davanti a un funerale. Lo riconoscono, lo salutano; si incammina con gli altri dietro il feretro dell’uomo che avrebbe voluto uccidere e che beffardamente è morto prima, lo ha preceduto» (Cesare Zavattini, Basta coi soggetti!, Milano, Bompiani 1979).

 Un intero, lunghissimo scaffale della «Biblioteca del Possibile» è dedicato ai libri che, «se la vita non lo tradirà a mezza strada», Carlo Dossi avrebbe voluto scrivere e i cui progetti si è appuntato qua e là sulle pagine dei sedici quaderni dalla copertina azzurro oltremare che riempì di riflessioni e commenti di varia natura (le cosiddette «note azzurre») tra il 1870 circa e il 1907.
Su questo scaffale, ben ordinati, ci sono Il libro delle bizzarrie, dove si drammatizzeranno temi di filosofia e di economia sociale; Il premio dell’Onestà, che tratterà di come la virtù, al pari della letteratura, sia premio a se stessa; le Prime pagine di una Storia dell’Umorismo in Italia e le Note umoristiche di letteratura alta e bassa; Dell’onestà politica e dell’onestà artistica; I grandi sconosciuti; i Cascami dell’imaginazione del Dossi, cioè tutti gli avanzi e i ritagli dei precedenti lavori; e molti altri progetti di libri mai scritti (Carlo Dossi, Note azzurre, Milano, Adelphi 1988; si veda in particolare la nota 3496).

 Per tutta la vita Antonio Delfini ha inseguito l’idea di scrivere un romanzo intitolato Storia d’amore intorno a un quaderno smarrito, di cui parla più volte su riviste e in interviste rilasciate negli anni sessanta, e che sarebbe dovuto uscire da Garzanti. Cesare Garboli apprese dall’amico Delfini, in un incontro avvenuto a Roma nel 1959, che lo scrittore modenese aveva iniziato un romanzo il cui titolo era, appunto, Storia d’amore intorno a un quaderno smarrito: «Ebbi la sensazione» - commenta Garboli - «che non l’avrebbe mai finito». E così fu. Il capitolo di quel romanzo mai scritto fu poi pubblicato come un racconto con il titolo Il 10 giugno 1918 (Antonio Delfini, Autore ignoto presenta. Racconti scelti e introdotti da Gianni Celati, Torino, Einaudi 2008).

Per finire non possono mancare sugli scaffali della nostra ipotetica «Biblioteca del Possibile» i volumi di Ernesto Ragazzoni, composti da «invisibilissime pagine». Poiché «son fatte per rimanere idee», è meglio che le idee siano lasciate allo stato di puro spirito: questo teorizzava Ragazzoni per il quale il non scrivere era uno dei lavori più graditi e appassionanti. Tradurre un’idea in atto, cioè su carta, significa farsene tiranneggiare ed escludere tutte le altre possibili: un po’ come quando, per educare una rapa, si finisce per soffocare i mille e mille germi odorosi di un giardino incantato (Ernesto Ragazzoni, Buchi nella sabbia e pagine invisibili, Torino, Einaudi 2000).
Ragazzoni fornisce una serie di titoli dei libri fuori catalogo della sua «biblioteca invisibile», libri in gran parte di genere giudiziario e romanzi d’avventura. Il suo libro (mai scritto) preferito è La trovata del professor Sophus della Università di Upernawick, che ha per protagonista il professor Sophus dell’Università di Upernawick, deciso a capovolgere le proporzioni delle cose, con il dichiarato intento di stupire il mondo. Sophus ha trovato il modo di ingrandire enormemente l’infinitamente piccolo e di impicciolire quello che è immensamente grande: le cose sono sempre le stesse, ma cambiano le proporzioni. Dall’applicazione della sua scoperta Sophus ottiene tappeti di querce minuscole che si stendono vellutati all’ombra di prezzemoli giganteschi; bacilli della mole degli iguanodonti che paventano le insidie di un’umanità diventata microbica, veicolo di tutte le pestilenze; senza contare che, grazie alla sua invenzione, sono le pulci che si grattano i leoni, e non più i leoni a grattarsi le pulci.

"Culture del testo e del documento",
30, settembre-dicembre 2009, pp. 5-10.

 



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