Paolo Albani
LA LETTERATURA FAMILIARE


Di cosa stiamo parlando? Un fenomeno di superficie? Un fattoide? Di recente ho letto sulle cronache letterarie che Gianrico Carofiglio, affermato scrittore-magistrato-politico, autore di libri di successo, pluripremiato, ha scritto un libro con la figlia Georgia. Anche Marco Malvaldi, scrittore-chimico, altrettanto affermato, noto giallista, ha scritto un romanzo con la moglie Samantha Bruzzone, anche lei chimica di professione. (1)
    Se usciamo dai nostri confini nazionali, il caso più eclatante di coppia di scrittori è quello di Lars Kepler, pseudonimo dietro il quale si celano Alexander Ahndoril (1967) e Alexandra Coelho Ahndoril (1966), coniugi svedesi che vivono a Stoccolma, vicino alla centrale di polizia. Molti dei loro libri sono stati tradotti anche in Italia, pubblicati da Longanesi. (2)
    Che c’è di strano nello scrivere a quattro mani? Nulla, calma, non vi agitate. Le scritture a più mani sono un fenomeno non nuovo. Penso ad esempio a Fruttero&Lucentini, una coppia che ha scritto libri memorabili. Una vera e propria “ditta letteraria”. Ce ne fossero ancora in giro di “ditte” così ben assortite. (3)
    Nei casi sopra citati, però, una particolarità non trascurabile c’è: le coppie in questione sono da un lato un padre e una figlia, e dall’altro marito e moglie. Questo sembrerebbe prefigurare all’orizzonte del mondo delle lettere una sorta di “letteratura familiare (o “parentale”), progettata fra le mura domestiche (è troppo poco per avallare questa tendenza?). Un nuovo genere letterario che certo avrebbe degni rappresentanti nei fratelli Edmond e Jules de Goncourt (quelli da cui deriva il Premio Goncourt), che insieme scrissero, oltre al Journal, diario di pettegolezzi letterari, uno dei primi romanzi di stampo naturalista, Germinie Lacerteux (1865). «Plagiari per anticipazione» si chiamerebbero nel linguaggio dei membri dell’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle).
    E allora mi è venuto in mente – tanto per divagare – di fare un esercizio, alla maniera dell’OuLiPo, e domandarmi cosa avrebbero scritto a due o tre mani alcuni scrittori del passato. Ad esempio, uno scrittore decisamente affermato all’epoca come Alessandro Manzoni cosa avrebbe potuto scrivere in collaborazione con alcuni suoi figli (escludendo quelli morti giovani) avuti da Enrichetta Blondel? Manzoni ebbe una famiglia numerosa, mise al mondo nove figli: Giulia, Pierluigi, Cristina, Sofia, Clara (morì a soli due anni), Vittoria, Matilde, Enrico e Filippo.
    Prendiamo quest’ultimi due, Enrico (1819-1881) e Filippo Manzoni (1826-1868), che ebbero vite tumultuose e causarono non poche angosce e preoccupazioni al povero Manzoni.
    Leggo in una nota trovata su internet:

   Allo scoppiare dei tumulti milanesi il 18 marzo 1848, Filippo, nel giorno del suo ventiduesimo compleanno, si arruolò, incoraggiato proprio dal padre, nella Guardia Civica. Gli Austriaci lo arrestarono al palazzo del Broletto, per poi deportarlo a Kufstein, in Tirolo, dove rimase fino alla metà di giugno. Una volta scarcerato, venne trasferito a Vienna in libertà vigilata. Qui il giovane si indebitò per L. 3.600, ma gli venne in aiuto il padre, ben conscio della «fatale disposizione» del figlio a spendere.
    Dopo aver saputo che voleva ipotecare il reddito ricavato dalle quote ereditate dalla nonna e dalla madre, i rapporti tra Manzoni e il figlio si deteriorarono ulteriormente, al punto che fu ventilata l’ipotesi dell’interdizione.
    Quando Enrico si sposò, il 10 giugno 1850, il padre non volle nemmeno conoscere la nuora, Emilia Catena. La donna lo rese padre di quattro figli: Giulio, Massimiliano, Cristina e Paola. Oppresso dai debiti, Filippo chiese aiuto e ospitalità al fratello Enrico, ma dopo un’aspra lite si allontanò da Renate [comune lombardo dove Enrico abitava nella villa Cagnola-Mazzucchelli]. Implorò allora l’aiuto della matrigna Teresa [Borri (1799-1861) che aveva sposato Alessandro Manzoni il 2 gennaio 1837], che non poté fare altro che mostrare le sue lettere al marito.
    Trascorse il resto della sua vita a Milano, vivendo di espedienti e del denaro che Manzoni gli mandava ogni mese. Non ebbe mai la gioia di presentare al padre la moglie e i figli.


    Quello che Manzoni avrebbe potuto scrivere con i figli Enrico e Filippo, solo che questi avessero avuto un buon rapporto con il padre e l’estro della scrittura, non è facile da immaginare, e comunque suppongo sarebbero stati libri singolari, data l’autorità letteraria del capostipite.
    Un azzardo? Certo, e però esiste vertigine più emozionante che perdersi in un azzardo?
    Non penso che il terzetto avrebbe potuto dar vita a una rivisitazione dai toni goliardici del celebre romanzo (il vecchio Manzoni non si sarebbe mai prestato a un’operazione tanto ridicola e irriverente nei suoi confronti), come fu quella operata ad esempio da Guido da Verona (1881-1939), che traspose nell’attualità degli anni Venti l’ambientazione dei Promessi sposi, facendo di Lucia una tipica bellezza di provincia, che parla francese e che, per farsi strada a ogni costo, non si rifiuta a nessuno, tranne che a Renzo. Quest’ultimo viaggia su una Fiat 525, mentre Don Rodrigo su una Chrysler. L’astuto Don Abbondio, invece, va a letto con la perpetua e converte i vecchi Buoni del Tesoro in Prestito del Littorio. Per non parlare della monaca di Monza, lasciva e con spiccate tendenze lesbiche.
    Né tanto meno è ipotizzabile che il terzetto si sarebbe gettato nell’impresa di effettuare una continuazione (oggi si direbbe “sequel”) dei Promessi sposi come fece lo scrittore Antonio Balbiani (1838-1889), fondatore del giornale «Il Nuovo Lario», con il suo I figli di Renzo Tramaglino e di Lucia Mandella, seguito ai «Promessi Sposi» di A. Manzoni (1872-1873), beccandosi una ramanzina da Giosuè Carducci che lo accusò di essere «un manzoniano che tira quattro paghe per il lesso».
    Se proprio vogliamo spingerci su un terreno quanto meno labile e inverosimile, nonché scherzoso (del resto anche Manzoni scrisse testi di carattere scherzoso, come l’ode L’ira di Apollo nel 1816), credo piuttosto che lui e i suoi due figli avrebbero potuto scrivere insieme romanzi storici intitolati Diario di un monatto milanese ai tempi della peste del 1630 oppure Le amicizie pericolose del vigliacco Don Abbondio, Chi crede nella Provvida Sventura?, o anche Sermoni contro il ladrocinio delle idee, anticipando quello che ai giorni nostri hanno fatto (loro sì sul serio e con maestria) Carofiglio e Malvaldi, rispettivamente con figlia e moglie.
    Proseguendo nel mio esercizio di “letteratura familiare”, m’interrogo – sempre per gioco – su quale libro avrebbe potuto scrivere, insieme al padre, Renata d’Annunzio (1893-1976), detta “Cicciuzza” o “Sirenetta”, dotata di una forte passione per la scrittura (il suo romanzo breve Una donna è rimasto inedito fino al 2020), figlia prediletta di Gabriele d’Annunzio, nata dalla relazione fra il Vate e Maria Gravina Cruyllas, sposata al conte Guido Anguissola.
    Forse Il figlio di Dario, La principessa disgraziata, La felicità non dura, Il tradimento? Sono titoli che lasciano il tempo che trovano, svolazzi fantasiosi con nessun fondamento critico, se non qualche vaga eco di stile dannunziano.




    Resta il fatto che non ho idea se la “letteratura familiare” avrà un futuro, se prenderà campo. A volte certi fenomeni sono un fuoco di paglia, si esauriscono velocemente nell’arco di una stagione, sono mode passeggere. O magari no. La “letteratura familiare” potrebbe avere uno sviluppo imprevedibile, chi lo sa, e dopo i parenti stretti, come nel caso di Carofiglio e Malvaldi, si vedranno scrittori firmare libri insieme al loro giardiniere, alla cuoca, alla domestica, al loro avvocato, al commercialista o al carrozziere, e, perché no, finanche al proprio pizzicagnolo di fiducia (con cui scrivere un poliziesco truculento, dal titolo ambiguo: Gli affettati).



Note

(1) Gianrico e Giorgia Carofiglio, L’ora del caffè. Manuale di conversazione per generazioni incompatibili, Einaudi, Torino 2022; Marco Malvaldi, Samantha Bruzzone, Chi si ferma è perduto, Sellerio, Palermo 2022. Carofoglio è recidivo avendo pubblicato un giallo con il fratello Francesco: Gianrico e Francesco Carofiglio, Cacciatori nelle tenebre, Einaudi, Torino 2022.
(2) Cito solo gli ultimi tre romanzi della coppia svedese usciti in Italia: Lazarus, Longanesi, Milano 2018; Spegelmannen. L’uomo dello specchio, Longanesi, Milano 2020; La vendetta del ragno, Longanesi, Milano 2022, tutti tradotti da Andrea Berardini.
(3) C’è una parola, fatagaga, che a me piace molto, coniata da Max Ernst e Jean Arp per indicare le loro opere (generalmente collage) eseguite a quattro mani (Max Ernst, Scritture, con centoventi illustrazioni ricavate dall’opera dell’autore, edizione italiana a cura di Ippolito Simonis, traduzione di Ippolito Simonis e Gian Renzo Morteo, Rizzoli, Milano 1972, p. 7).

   


dicembre 2022

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