Paolo Albani
JOSEPH CRABTREE 
E LE GRAPPISTE DI MONTELUCO

 
 


The Distinguished Men of Science of Great Britain
Living in the Years 1807-8
designed by Sir John Gilbert.
Il penultimo scienziato da destra, voltato di schiena, è Joseph Crabtree.



    C'è un aspetto della vita di Joseph Crabtree (1754-1854) che non ha ricevuto fino a oggi la meritata attenzione da parte degli studiosi e che invece rappresenta un elemento non trascurabile per ampliare gli orizzonti conoscitivi sulla complessa personalità del poeta e uomo d'ingegno inglese.
    Nell'ottobre del 1817 esce a Roma per i tipi dell'editore Franco Bonfantini un opuscoletto di 32 pagine (più otto tavole), scritto in francese, intitolato Le langage endophasique ou phasigraphie de l'ordre religieux des Grappistes de Monteluco a firma di un certo Ph. Breterac.
    Soltanto in epoca recente, più esattamente dopo la scoperta di una lettera scritta il 15 giugno 1818 al conte Giulio Crespini, proprietario terriero oltre che cultore di studi sull'origine del linguaggio, lettera ritrovata per caso sul fondo di un vecchio baule del nobile italiano, si è potuto accertare che «Ph. Breterac» altri non è che lo pseudonimo di Joseph Crabtree.
    Nella lettera, dopo aver svelato all'amico il giochetto dell'anagramma nascosto nel finto nome dell'autore francese, Crabtree invita il conte italiano a mantenere il segreto perché - afferma - la maschera dello pseudonimo è una burla che lo diverte molto, ma soprattutto che lo protegge dall'assalto noioso di possibili dispute accademiche sull'argomento da lui trattato.
    Il libretto di Crabtree si apre con una piccola cronistoria dell'ordine religioso delle «Grappiste». Si tratta di un gruppo di religiose francesi, trasferitesi nel 1682 da Tolosa a Monteluco, monte a sud-est di Spoleto, luogo sacro fin dall'antichità. Nel secolo V s'insediò infatti a Monteluco una comunità eremitica e successivamente, nel 1218, S. Francesco vi fondò un convento, trasformato poi in santuario. In virtù della sacralità del posto, le religiose francesi decisero di costruire lì, su un verde pendìo del Monteluco, il loro convento di clausura e di chiamare la nuova congregazione con il nome di «grappiste», dal francese «grappe», cioè «grappolo», volendo significare con ciò lo spirito di forte comunione che caratterizzava il loro sodalizio, oltre che fissare con quella parola l'anima geografica del rifugio spoletino che si affacciava davanti a un grande terreno a vigna.


Il convento delle Grappiste di Monteluco 

    Sul motivo della fuga da Tolosa, Crabtree non dà alcuna spiegazione, limitandosi a ricordare che durante il burrascoso viaggio verso Spoleto morirono due anziane religiose per i postumi della caduta da una carrozza, sbalzata fuori della strada a causa dell'impennata di un cavallo impauritosi alla vista di un branco di lupi. 
    Le ultime notizie sulle Grappiste si perdono negli anni 1731-1732, quando le cronache locali riferiscono di un incendio nel convento delle religiose francesi di Monteluco.
    Nella biblioteca municipale di Rouen esiste un voluminoso dossier intitolato «Antologia di documenti vari raccolti da Gustave Flaubert per la preparazione di “Bouvard e Pécuchet”». Sono otto fascicoli rilegati contenenti circa trecento fogli ciascuno: ritagli di stampa, schede di lettura e note diverse, quest'ultime quasi tutte di mano dello scrittore francese. Fra le schede, una riguarda le Grappiste e si limita a questa esortazione: «Approfondire!».
    La vita delle Grappiste, modellata sulle rigide regole della clausura, notoriamente più severe per le donne, non offrirebbe alcuno spunto interessante per il lettore e si perderebbe come una goccia d'acqua nell'immenso oceano delle vocazioni religiose, se non fosse per le bizzarre elaborazioni linguistiche sperimentate fra le mura silenziose del convento di Monteluco.
    Di questa felice scoperta linguistica Crabtree parla con grande orgoglio nella parte iniziale del suo volumetto. Egli racconta di aver sentito parlare per la prima volta del linguaggio delle Grappiste nel 1786 a Velletri, durante una cena nella villa di campagna del conte Giulio Crespini. Fra gli ospiti del conte, figura un certo Paul Sicard, giovane elegante, poliglotta e raffinato conversatore, nipote dell'abate francese Roch-Ambroise Cucurron de Sicard che da lì a qualche anno, esattamente nel 1808, avrebbe pubblicato a Parigi il libro Théorie des Signes pour l'instruction des Sourds-Muets
    È proprio un accenno alle Grappiste e al loro linguaggio figurato, fatto da Paul Sicard fra un brindisi e l'altro, che colpisce la curiosità di Crabtree che, per approfondire l'argomento, prolunga il suo soggiorno italiano e si reca nei giorni successivi alla Biblioteca Vaticana dove, con sua grande gioia, trova una miscellanea del 1704 contenente un saggio intitolato L'esperienza delle monache Grappiste di Monteluco, con un'appendice di preghiere fasigrafiche a firma L.D.L., canonico di una chiesa padovana.
    Per quanto si sa le notizie contenute nello scritto di Crabtree sono tratte quasi esclusivamente dal reseconto di quest'anonimo ricercatore.
    Una delle regole principali delle Grappiste, come del resto di molti altri ordini monastici (si veda ad esempio il cluniacense e il cistercense) prescrive il silenzio assoluto. Per ovviare a questo divieto, nei monasteri di clausura furono escogitati in epoche diverse vari accorgimenti, fra cui, il più diffuso, consiste nella creazione di un linguaggio di tipo gestuale.
    Su questo piano, come ricorda Crabtree, le Grappiste furono più originali. Dopo tre anni dalla fondazione dell'ordine, alcune grappiste elaborarono una sorta di sistema di comunicazione basato sui borbottii provocati dal ventre, ma non solo. Secondo il giudizio di L.D.L., riportato da Crabtree, l'origine di questo linguaggio va individuata nell'alimentazione delle suore grappiste. Esse infatti avevano fra i piatti più diffusi della loro dieta vegetariana una zuppa a base di fagioli e di un radicchio amaro di colore rosso, molto diffuso nella zona spoletina, miscela vegetale che, a sentire L.D.L., avrebbe favorito nelle religiose la produzione di un gorgoglìo addominale spontaneo, conseguenza del rapido spostamento dei gas e liquidi intestinali.
    Ispirate a questi rumori corporali, motivo d'ilarità da parte delle religiose francesi più che di preoccupazione, alcune di esse pensarono di codificare un vero e proprio «linguaggio interiore» strutturato in emissioni di suoni o voci interne al corpo (e perciò stesso battezzato da Crabtree «linguaggio endofasico») in modo da poter aggirare la regola del silenzio. 
    Sfruttando i diversi modi di produzione dei suoni interni (appoggiandosi di più al ventre, al palato, alle labbra, ecc., tanto che L.D.L. si sentì in obbligo, da fonetico ante litteram, di distinguere i «suoni ventrali» da quelli «palatali», «labiali», ecc.) e inoltre le differenti altezze delle vibrazioni, alcune grappiste escogitarono una sorta di «alfabeto sonoro», pronunciato a labbra chiuse, senza l'ausilio di nessuna forma di mimica facciale o di altro tipo di gestualità, grazie al quale erano in grado di costruire tutte le frasi che volevano, preferendo, com'è ovvio, quelle più brevi, telegrafiche e dunque meno complesse, in ciò facilitate anche dal fatto d'aver semplificato al massimo le regole grammaticali.
    Di linguaggi simili - «endofasici», cioè basati su rumori provenienti dall'interno del corpo - Crabtree non ne ricorda altri prima di allora. Solo verso la fine del secolo XVIII, egli aggiunge, si hanno notizie da più fonti di esperienze di trasmissioni endofasiche del pensiero, ad esempio, fra i membri di una setta segreta cinese e all'interno di una comunità americana di ventriloqui che, pare, abbia influenzato Samuel Finley Breese Morse nell'invenzione del suo alfabeto a linee e punti.
    L'esperimento delle Grappiste, tuttavia, non durò a lungo e questo per una ragione molto semplice, facilmente intuibile. 
    Se usato contemporaneamente da più suore, il «linguaggio endofasico» finiva per trasformarsi in un brusìo continuo, in una musica bisbigliante che andava a infrangere la dolce quiete del convento di Monteluco. Poiché nell'arco della giornata le occasioni d'incontro fra le suore grappiste si limitivano alle ore dei pasti, non di rado accadeva che in quei momenti dal refettorio si alzasse un ronzìo cupo e sostenuto, simile a quello prodotto da uno sciame di api, per di più amplificato dalle alti pareti che racchiudevano l'antica mensa.
    Tutto ciò indusse nel 1694 la Badessa del convento a prendere una drastica decisione: abolire l'uso individuale e collettivo, in qualsiasi luogo e per ogni evenienza, del «linguaggio endofasico».
    Ma le Grappiste non si arresero e dopo qualche tempo escogitarono un altro artificio. Prima di avventurarsi nella descrizione di questo nuovo esperimento linguistico, Crabtree nota a pagina 18 del suo opuscoletto:

    La natura femminile, per quanto camuffata sotto ogni sembianza e latitudine, e per quanto si manifesti in forma religiosa oppure frivola od in altra ancora a noi non sempre riconoscibile, racchiude in sé una forza vitale che la sposa inscindibilmente alla parola, alle saporite note della loquacità. La ruota libera del verbigerare come quella variopinta del pavone è mossa in primo luogo da una molla femminile.

    Racconta Crabtree che una sera, durante la consueta ora di preghiera prima del rientro nelle celle, una grappista, suor Philomène, con lo sguardo fisso rivolto verso l'unica finestrella che si apriva in alto nella parete di fronte a lei, vide comparire a un tratto un puntino fosforescente da cui s'irraggiava un'intensa luce bianca. L'improvviso bagliore la rapì. Come preso da un incantesimo, il suo sguardo s'incollò alla piccola fessura affacciata su quel pezzetto di cielo e vi rimase lì, in estasi, fino a che la sfera luminosa della luna non ebbe attraversato tutto lo spazio del minuscolo spiraglio.
    Lentamente suor Philomène vide crescere dal basso, dentro la finestrella, la luna piena nel suo magnifico pallore e altrettanto lentamente la vide poi scomparire in alto. Ora, bisogna aggiungere che l'apertura era ostruita da cinque sbarre di ferro, particolare importante perché la cosa fece venire in mente a suor Philomène la struttura di un pentagramma. 
    Fu così che, quella notte stessa, suor Philomène pensò d'inventare una pasigrafia, cioè una lingua «muta», una lingua esclusivamente scritta, composta di segni convenzionali non pronunciabili, in modo da comunicare con le altre sorelle senza infrangere la regola del silenzio assoluto.
    L'idea non era nuova. Sull'argomento Crabtree si era ben documentato appurando che il primo sistema pasigrafico completo si doveva all'ingegno di un professore di medecina tedesco, Johannes J. Becher (1635-1682), autore di un progetto di lingua a chiave numerica esposto nel libro Character pro notitia linguarum universali, inventum steganographicum hactenus inauditum, quo quilibet suam legendo vernaculum, diversas imo omnes linguas, unius etiam diei informatione, explicare et intelligere potest pubblicato a Francoforte nel 1661. Il procedimento di Becher consisteva nell'aggiungere al numero che esprimeva un concetto generale, separato da un punto, un altro numero indicante il caso della declinazione oppure la forma verbale nei verbi, il comparativo negli aggettivi, ecc. Così, ad esempio il numero «9.406» significava "vulpes" (volpe), «9.406.8» "vulpium" (delle volpi) dato che il numero 8 indicava il genitivo plurale. Tali numeri applicati a tutti i dizionari vernacoli insieme a quello latino offrivano la possibilità, secondo Becher, di una rapida traduzione da una lingua all'altra. Per ovviare al fatto che alcune nazioni potevano non conoscere la notazione numerica araba, Becher inventò un complesso e ingegnoso sistema di grafia, da lui chiamato delografia, in cui ogni numero era descrivibile graficamente con un segno composto di linee rette e curve, a cui angoli venivano applicati speciali puntini e linee esprimenti i segni dei numeri ausiliari delle declinazioni e delle coniugazioni, dando vita così ad una delle più antiche pasigrafie che si conoscano. 
    Ma torniamo all'invenzione di suor Philomène, databile con un piccolo margine di errore verso l'anno 1710. Essa adottò come segno-base un cerchio, raffigurazione elementare della luna che, com'è noto, in tempi antichi è stata spesso considerata il simbolo della «Madre generatrice», e quindi della Creazione. A questo proposito Crabtree ricorda di aver letto in un libro di astrologia mistica, di cui però non fornisce alcuna indicazione, che:

    la Luna sembra dare dell'esistenza del Creatore una prova scritta. Infatti nel suo ciclo mensile, essa comincia a crescere e prende la forma di una D, poi quella di una O ed infine quella di una C. Queste tre lettere, D.O.C., ripetute eternamente nel cielo, formano un misterioso acronimo la cui interpretazione può essere risolta solo pensando alle iniziali della giaculatoria latina: «Deus Orbem Creavit, Delebit Orbem Creator», che significa «Dio ha creato il mondo, il Creatore distruggerà il mondo».

    I tratti distintivi fondamentali della lingua artificiale di suor Philomène erano cinque: un cerchio vuoto [ O ], un cerchio pieno [nero], un semicerchio («croissant» nella terminologia di suor Philomène) con gobba a sinistra [come una D maiuscola ruotata], un semicerchio con gobba a destra [ D ] e infine un cerchio con una macchia nera all’interno, simbolo dell'eclissi lunare. Ogni segno assumeva un significato diverso a seconda della riga del pentagramma in cui era collocato. In questo modo, con cinque segni e cinque righe si ottenevano 25 possibili combinazioni, corrispondenti alle 25 lettere dell'alfabeto francese. Per gli accenti, la cediglia e la punteggiatura, suor Philomène inventò poi una serie di segni particolari. Ogni frase si leggeva da sinistra verso destra come la musica in un pentagramma. La spaziatura fra una parola e un'altra era indicata da una barra verticale.
    Così ad esempio un cerchio pieno sulla prima riga era una A, mentre nella seconda riga indicava una E, nella terza una I, nella quarta una O, nella quinta una U; la S era un semicerchio con gobba a sinistra nella quinta riga; una T un cerchio vuoto nella prima riga; ecc.
    Poiché si era ispirata al ciclo lunare ossia in qualche modo alle fasi della rotazione della luna, suor Philomène chiamò la sua lingua fasigrafia.
    A proposito del ricorso al pentagramma, Crabtree fa notare come quest'espediente fosse già conosciuto e segnala, fra i tanti, l'esempio di lingua lunare inventata dal vescovo inglese Francis Godwin (1562-1633) nel romanzo The Man in the Moone or a Discourse of a Voyage thither by Domingo Gonzales, the Speedy Messenger pubblicato a Londra nel 1638. L'eroe del romanzo, Domingo Gonzales, scopre che, a differenza dei terrestri, sulla luna tutti parlano una stessa lingua che non consiste di parole e di lettere, ma di strani toni; si esprimono cioè attraverso un linguaggio musicale. Ad esempio, i lunatici si salutano con la frase «Solo gloria a Dio» che può essere rappresentata, senza parole, in questo modo:


    Ugualmente essi esprimono i nomi degli uomini; ecco allora che il nome Gonzales viene indicato così:

   

    Per far comprendere meglio la struttura della lingua artificiale di suor Philomène, Crabtree riporta alcuni esempi di scrittura fasigrafica (l'inizio del «Pater noster» e altre preghiere) fra cui questa locuzione che significa «Vive Jésus-Christ, fils de Dieu»:


 
    Una delle cose più strabilianti del racconto di Joseph Crabtree resta tuttavia l'ipotesi sull'identità di suor Philomène che soltanto nel finale del suo libretto viene svelata, con un colpo di scena che bene s'inquadra nella migliore tradizione della letteratura poliziesca inglese.
    Citando a sostegno della sua tesi alcuni libri consultati nella Biblioteca Vaticana, fra cui la famosa Storia universale degli ordini monastici dall'antichità fino ad oggi, con una particolare riflessione sui loro contributi all'economia, all'agricoltura, alla cultura e alla liturgia (Roma, PierLuigi Ferrari e figli, 1785) del benedettino Carlo Volgiati, Crabtree afferma con estrema sicurezza che il vero nome di suor Philomène è Isabelle De Maimieux, personaggio che, nell'albero genealogico da lui pazientemente ricostruito, risulta essere un'antenata - per l'esattezza la zia del padre - di Joseph De Maimieux (1753-1820), letterato francese cui si deve un famoso progetto di pasigrafia filosofica riassunto nel libro Pasigraphie, ou premiers éléments du nouvel art-science d'écrire et d'imprimer en une langue de manière à être lu et entendu dans toute autre langue sans traduction pubblicato a Parigi nel 1797, con prefazione, guarda caso, dell'abate Roch-Ambroise Cuccuron de Sicard, a sua volta zio di quel Paul Sicard che è, come abbiamo già visto, l'ispiratore del lavoro di Crabtree sulla fasigrafia delle Grappiste di Monteluco.
     Il cerchio delle coincidenze, come quello del simbolo fasigrafico di suor Philoméne, a questo punto si chiude e si chiude anche l'opuscolo di Crabtree che però, prima di congedarsi dal lettore, si lascia andare a una melanconica considerazione che in qualche modo tradisce il vero motivo del suo interesse per il linguaggio fasigrafico:

    Al di là di ogni valore umano e scientifico - scrive Crabtree - l'esperienza storica dell'ingegno comunicativo delle Grappiste di Monteluco, sia pure in modo emblematico, dimostra ancora una volta l'essenza profondamente lunatica del carattere delle donne.



Relazione letta, insieme a Berlinghiero Buonarroti, l'11 marzo 1995 presso l'Hotel Park Palace di Firenze ai membri della Sezione italiana della "Joseph Crabtree Foundation", in seguito pubblicata nel mio Il sosia laterale e altre recensioni, Edizioni Sylvestre Bonnard, Milano, 2003, pp. 11-20. 
Una prima versione di questa relazione è apparsa, a firma mia e di Berlinghiero Buonarroti, su Tèchne, 6, 1997, pp. 64-73.
Il testo è uscito anche su The Crabtree Foundation Sezione Italiana Atti 1994-2008, a cura di Maurizio Bossi, Elena De Feo e Marco Montesanti, Edizioni Casciavolesi, Casciavola (Pisa), MMVIII, pp. 18-35.







Mercoledì 23 maggio 2017, alle ore 18:00, a Spoleto, alla Biblioteca Giovanni Carandente, presso il Palazzo Collicola Arti Visive, in piazza Collicola (info: 0743 46434 - fax: 0743 46434), nell'ambito della manifestazione Maggio dei Libri, dedicata al viaggio e al paesaggio, ho tenuto, grazie all'interessamento di Andrea Tomasini, giornalista e professionista della comunicazione, una "conferenza" sul tema: Il convento delle Grappiste a Monteluco: un paesaggio "potenziale", in cui ho parlato del convento e dell'esperienza "linguistica" delle suore Grappiste, quest'ordine religioso da me inventato, ma ritenuto vero in molti siti web, italiani e stranieri, compresa la voce Monteluco di Wikipedia che, nello spazio dei "Collegamenti esterni", riporta un link al mio testo.
Per leggere il comunicato dell'incontro di Spoleto uscito su "Umbria Cronaca", cliccate qui.


Ecco la voce Monteluco su Wikipedia italiana
con il link al mio testo sulle Grappiste a Monteluco:




Lo stesso link compare nella voce Monteluco su Wikipedia portoghese:




Il riferimento alle Grappiste di Monteluco
compare in un blog italiano:




Il riferimento alle Grappiste di Monteluco
ripreso in un blog spagnolo:




Il riferimento alle Grappiste di Monteluco
compare anche in un blog finlandese:




... e allora un saluto "grappista" da Monteluco!





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