Paolo Albani
ELOGIO DELLE DONNE BRUTTE,
CON RISPETTO PARLANDO

  
Faccio una breve premessa. Voglio avvertire le mie (poche) lettrici che la questione che sto per sollevare è particolarmente spinosa e può prestarsi a spiacevoli malintesi, ma non per questo intendo sottrarmi al difficile compito di affrontarla.
  Ricordo che un tempo, all’interno di quel sorprendente movimento liberatorio che fu il sessantotto, circolava uno slogan coniato dalle femministe che suonava così: «Donna è bello!», una parola d'ordine condivisibile (e che io infatti ho sempre apprezzato) nella sua essenza rivendicativa, perché poneva l’accento sul sacrosanto diritto delle donne di riappropriarsi del loro corpo, della loro femminilità.
    Detto questo, non si può negare, e sarebbe ingeneroso e da miopi farlo, che esistono al mondo delle donne brutte, direi, sbilanciandomi un po’, oggettivamente brutte, anche se so bene che i canoni fisici della bellezza e della bruttezza sono labili, discutibili, cambiano da persona a persona. Tuttavia al di sotto di un certo livello, che gli studiosi del comportamento umano chiamano «soglia minima di apprezzamento estetico», ognuno di noi, facendo appello al buon senso, è in grado senza possibilità di errore di distinguere una donna brutta (il che non significa, va da sé, priva di fascino) da una donna bella, piacente.
    Rilevato questo fatto incontrovertibile, e cioè, lo ripeto, che vi sono al mondo delle donne fisicamente brutte, la cui bruttezza è imputabile per lo più a fattori di sproporzione nei lineamenti del volto o difformità delle parti con il tutto, oltre che a bassa statura, gambe arcuate, grassezza, ecc., ciò non legittima in nessun modo giudizi sbrigativi e trancianti, né autorizza alcuno a emettere condanne discriminatorie nei confronti delle donne brutte.
    Mi rendo conto che il tema, comunque lo si guardi, è delicato, scivoloso. Vedo già le mie lettrici (e qualcuno dei miei lettori che si atteggia a paladino del «sesso debole») storcere il naso e sentire odore di bieco maschilismo. Perciò a scanso di equivoci desidero chiarire fin da ora che io sto dalla parte delle donne brutte, che nutro per loro una stima incondizionata, un’ammirazione profonda. E se avete un po’ di pazienza vorrei spiegarvi in poche righe il perché, sì insomma farvi capire il perché le donne brutte da sempre mi ispirano un sentimento di assoluto rispetto.
  Secondo me, e questo è il nodo cruciale della mia argomentazione, le donne brutte assolvono nella società un ruolo importante, decisivo, oserei dire quasi strategico, un ruolo che tuttavia è stato loro sempre negato, non riconosciuto. Fino a oggi nessuno si è mai preso la briga di riflettere sul fatto che le donne brutte, proprio in virtù della loro bruttezza, fungono da calmiere, da forza frenante, inibitoria nei confronti degli impulsi sessuali maschili che, quando sono a lungo repressi, non appagati, possono dar luogo, come purtroppo si legge spesso nelle cronache dei giornali, a esplosioni di violenza inaudita.
  Del resto non è una novità che molte ricerche scientifiche condotte da prestigiose università soprattutto americane abbiano dimostrato, adducendo prove inconfutabili, che il desiderio sessuale del maschio è strettamente correlato all’aspetto fisico della donna (lo sanno bene i pubblicitari), ovvero si è appurato che tale desiderio diminuisce a tutti gli effetti con l’aumento delle caratteristiche di scarsa appetibilità corporea della donna, e viceversa. Questo almeno è il punto di vista che ci offre la scienza.
    Ma facciamo un ragionamento più semplice, una considerazione terra terra.
   Proviamo per un attimo a ipotizzare che il mondo sia abitato da sole donne belle, ovvero a supporre che non vi sia nemmeno una donna classificabile sotto la cosiddetta «soglia minima di apprezzamento estetico». Sforziamoci a questo punto d’immaginare cosa accadrebbe se un uomo in qualunque posto si recasse – per esempio al cinema, in biblioteca, in un ristorante, a teatro, a una festa da ballo, al supermercato, in spiaggia, ecc. – si trovasse ogni volta circondato da donne decisamente e esclusivamente belle, affascinanti, irresistibili.
    Com’è facile intuire la pulsione sessuale del maschio, già di per sé così instabile e pronta a recepire i più piccoli segnali di richiamo, anche involontari, provocati dalla controparte femminile, sarebbe costantemente messa a dura prova, sottoposta a una fibrillazione spasmodica, snervante, a una continua sovrapproduzione di energia ormonale, insomma a un accumulo di bacilli di emotività tanto rimarchevole da configurarsi come una minaccia, per le cose accennate prima e che troppo spesso, ahimè, si leggono sui giornali.
    Al riguardo si potrebbe obiettare che, se al mondo le donne fossero tutte belle, indistintamente belle, allora è quasi certo che gli uomini finirebbero per abituarsi alla bellezza femminile, ormai diventata la norma, e di conseguenza i loro bollori sessuali tenderebbero a smussarsi, a depotenziarsi.
  A questa obiezione sarebbe tuttavia facile replicare che la bellezza femminile, come di nuovo ci aiuta a capire la scienza, sulla base di numerose ricerche svolte in autorevoli università specie americane, non ingenera assuefazione o derive rilassanti; al contrario è fonte di inesauribili e sempre rinnovate fantasie sessuali da parte del maschio che su questo versante opera in uno stato di allerta che non conosce pause.
    Se tutto ciò è vero, allora il ruolo giocato dalle donne brutte, la loro funzione calmierante, dissuasiva, decisamente benemerita, acquista sul piano delle relazioni sociali un peso non trascurabile e spero che questo scritto, nel suo piccolo, possa contribuire a valorizzare l’influsso benefico che esse esercitano sugli uomini, magari senza saperlo o volerlo o addirittura vivendolo, quest’influsso, in modo problematico e sofferto. 


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