Paolo Albani
POESIE VISIVE 1985-1989

Cabianca

Spazio espositivo 
curato da Adriano Spatola 

Sant'Ilario d'Enza (Reggio Emilia) 

28 maggio-24 giugno 1989


 



Spleen, 1989

Rubinetto in ottone, lastra in ottone con scritta [GOCCE DI PAROLE
MELANCONICHE CHE CADONO DAL RUBINETTO
APERTO DELLA FANTASIA DI UN POETA ROMANTICO
]
e lettere in ottone su plexiglas
cm 60x30x15
Collezione Carlo Palli



Oggi quest'opera si trova nell'abitazione
del collezionista Carlo Palli
(nella foto a destra insieme a me):

   



HOMO LUDENS
di 
Eugenio Miccini

Il gioco, senza capacità di invenzione, senza fantasia — lo si sa — si riduce ad una povera tecnica, a un puro passatempo per lo più «terapeutico». Privato del suo fantasma, è su questo che si avventano, sia pure in modo discreto e suadente, tutte le industrie del divertimento e dello spettacolo. L'homo ludens è ormai scomparso dalla faccia del pianeta. In tutte le professioni, anche le più eccellenti, il gioco è un corpo separato, ha perfino i suoi tempi previsti e i suoi paradigmi o modalità. È, insomma, un'ombra di lavoro. Solamente gli artisti e i poeti, e non tutti neppure tra loro, giocano davvero perché inventano, usano la fantasia, in altre parole «creano». Sono tuttavia anch'essi riserva di caccia dell'apparato festaiolo del Sistema, ma ne sono almeno consapevoli e perciò critici. Ma ciò che li differenzia dalla massa è che tendono a una sorta di koinè, ad unificare i tempi di una separazione. Dico «tendono» perché non possono eludere quella sorta di alienazione che si patisce nel lavoro, cioè nel regno della necessità. Il gioco comunque non li abbandona mai; sia esso nella combinazione di immagini, suoni, parole e pensieri, sia esso nel modo di vivere la propria alienazione. 
Paolo Albani gioca, cioè agisce in quella dimensione mentale e linguistica nella quale anch'io sono immerso. È un mio compagno di giochi. Paolo gioca con arguzia e sceglie per oggetto della sua ilare ironia se stesso e i segni del linguaggio verbale, iconico, oggettuale. Solo ai saggi è concesso di revocare in dubbio i pensieri e le scritture, le immagini e le cose. Vedi Socrate & C. In fondo, l'ironia è una sorta di distacco da sé e dalle cose della vita, è un doloroso distacco dal dolore. Nell'ironia, nel gioco il dramma è sospeso, non appare. È come un passeggero clandestino a bordo della nostra coscienza. E dalle sue dimore rimosse... parla, suggerisce, rinvia ai tempi lunghi della riflessione il quid, il perché della sua stessa esistenza. Perché, quindi, Albani prende di mira proprio quei luoghi assai consacrati del logos? Si direbbe per esorcismo. Il che suppone un demonismo di quel «sacro» che in modo perverso regola la nostra vita di relazione, in primo luogo la comunicazione sociale. Il sottoporlo ad una rivisitazione è perciò un atto critico, una sorridente dissacrazione. Questo fa l'ironia che relega il consueto nel regno dell'ovvietà, del banale.
Ma Paolo Albani sa che tutto questo è un'operazione a rischio. È un gioco drammatico, come quello del torero: si muore per un «difetto di eleganza», come suonava un mio vecchio sonetto “minore”. Di che morte si tratti è subito detto: nientemeno che della rottura del gioco medesimo, della sua degradazione a rituale, a consuetudine, a una sorta di coazione a ripetere. Paolo Albani ha un'acuta vigilanza. Le sue tavole sorprendono anche chi, come me, di «giocolieri» prestigiosi ne ha visti tanti. Il sorriso e la grazia di costoro, il segreto ma severo ammonimento di costoro e di Paolo — che benissimo vi si annette — sono una risposta assai attuale agli eccessivi miti della nostra cultura e soprattutto della nostra otherdirected civility.

***

Dalla presentazione della mostra Paolo Albani. Poesie visive 1985-1989, Cabianca, spazio espositivo curato da Adriano Spatola, Sant'Ilario d'Enza (Re), 28 maggio-24 giugno 1989.
Lo scritto è stato ripubblicato in Eugenio Miccini, Poesia visiva e dintorni, Firenze, Meta, 1995, pp. 64-65.



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A proposito delle mostre a Cabianca, scrive Giuseppe Cavatorta:



Il testo di Cavatorta, intitolato "Scrivere significa costruire il linguaggio, non spiegarlo". La manovalanza di Adriano Spatola verso una poesia totale, è in I verbovisionari. L'altra avanguardia tra sperimentazione visiva e sonora, a cura di Fabrizio Bondi e Andrea Torre, Edizioni Engramma, Venezia, 2017, pp. 83-98, il brano riprodotto è a p. 88.
Il libro contiene gli atti di un convegno tenutosi alla Scuola normale Superiore di Pisa dal 24 al 25 novembre 2016.






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